Ci sono persone che se ne sono andate da tempo, ma che continuano a essere presenti nella vita di coloro che li hanno conosciuti, perché pur attraversando tempi difficili, hanno diffuso, citando Paolo Rumiz ,“uno zelo buono”.
Rodolfo
Il 5 ottobre di cento anni fa, a Masareto, vicino a Tincana, nel comune di Carpineti, nasceva Rodolfo Beretti, figlio primogenito di Tancredi ed Elena Montanari. Si può immaginare che i genitori, i nonni paterni e gli altri componenti della numerosa famiglia, che arrivò a contare trentacinque persone, fossero contenti dell’arrivo di un maschio.
Non fu l’unica nascita in quella casa quell’anno: prima di lui erano nati Francesco e Maddalena, figli di due fratelli di Tancredi. Nel 1927 Tancredi e la sua famiglia fecero “San Martino” e si trasferirono a Valestra dove lavorarono come mezzadri uno dei poderi della parrocchia; solo nel 1940 si spostarono di nuovo a condurre con un contratto di mezzadria “La Costa”, fondo di proprietà della famiglia Ferrari, che in anni successivi riuscirono poi ad acquistare.
Proprio nel 1940 Rodolfo viene chiamato alle armi a Pinerolo e a causa di un incidente e di cure sbagliate, riporterà una disabilità permanente per la quale verrà poi riconosciuto invalido di guerra. Accettare la sua condizione fu per lui davvero difficile: seguirono anni di isolamento e profonda tristezza. Il padre decise perciò di aprire a Valestra una piccola bottega di ferramenta che Rodolfo condusse fino a quando l’avvento della modernità rese inutile l’offerta di quella mercanzia. Per muoversi utilizzava la biroccina trainata dal cavallo, a metà anni sessanta si fece costruire una motocarrozzella dalla ditta Gialdi di Reggiolo e quel mezzo rappresentò per lui una vera svolta: la possibilità di essere indipendente, di muoversi, al punto che lui amava definire questo mezzo “le mie gambe”.
Io sono entrata nella sua vita a partire dalla mia nascita, quando la mia famiglia era ancora patriarcale e insieme ai miei genitori convivevano il nonno, uno zio sposato, un fratello e una sorella ancora giovani e Rodolfo, lo zio “putto”. Evidentemente per me, le mie sorelle e mia cugina, non deve essere stato facile imparare a pronunciare il suo nome: noi lo chiamavamo “Bopo” e con quel diminutivo, dandogli del voi, ci siamo rivolte a lui tutta la vita. Aveva il dono speciale di entrare presto in sintonia con i bambini: raccontava che aveva un sacco di caramelle, li canzonava, facendo credere che lui dormiva con gli occhi aperti per potersi accorgere di quello che succedeva, risultando convincente, sempre senza umiliare.
Se ripenso a lui, lo rivedo avvolto nel tabarro, intento a uno dei suoi gesti consueti: prepararsi una sigaretta con il trinciato forte e le cartine. Era un giocatore di carte provetto, trascorreva molto tempo al bar a Valestra, ma soprattutto a Carpineti, al bar Centrale e a noi bambine riservava i risultati delle sue vincite: le cioccolate, “i mignini”, e a Natale il panettone.
Quando mio padre se ne andò prematuramente, lasciando mia madre nella disperazione e con il compito di crescere da sola tre figlie piccole e di accudire lui e il suocero, divenne un sostegno fondamentale, affiancando, consigliando, mostrando in modo concreto la vicinanza. Per me, per noi bambine, rappresentò, in modo fermo ma discreto, mantenendo la giusta distanza, il padre che così presto ci era venuto a mancare.
Aveva alcune fondamentali convinzioni che a me sembravano bizzarre e di cui solo negli anni ho compreso il valore: dovevamo avere un bosco e un pozzo ed era altrettanto importante avere il castagneto che poteva avere la funzione di salvadanaio. A ottobre poi si doveva fare scorta di farina e zucchero per essere autosufficienti in caso di nevicate. Ripeteva spesso che è la terra che ci dà da mangiare e perciò bisogna averne cura. Ogni mese, quando riscuoteva la pensione, c’era sempre una piccola somma per noi, la condizione era che andasse a incrementare i risparmi.
Aveva un’arguzia e una lungimiranza rare: riusciva sempre a trovare una soluzione più semplice che consentisse anche a lui di partecipare a un lavoro, a una attività. So quanto fosse orgoglioso di me, di noi, delle persone che eravamo diventate, dei risultati che avevamo raggiunto. Io, oggi, lo sono altrettanto di lui, di quello che è stato e mi ha trasmesso. Mi riempie di gioia mantenere vivo il suo ricordo nelle persone che lo hanno conosciuto.
(Nicoletta Beretti)
Un bel racconto di cose di un passato a me molto vicino, grazie a chi lo ha fatto di vero cuore
Elda Zannini
EldaZannini
Ciao Nicoletta,
ho ancora un ricordo lo zio Bopo molto vivo in me,e chi se lo dimentica.
Quasi tutta la mia infanzia l’ho trascorsa a Valestra dalla mia nonna Rosa soprattutto le estati.
Lo zio passava sempre di lì e non mancava mai la cioccolata con le noccioline o le caramelle!!! Ancora oggi quando trovo la stessa marca di cioccolata penso a lui. Resterà nel mio cuore come tutti i fratelli e le sorelle BERETTI e anche i suoi insegnamenti. Non so senza la mia nonna Rosa e la sua famiglia e tutti voi dove sarei oggi. Grazie di cuore. Giuliana.
Giuliana