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I racconti dell’Elda 25 / “Sono stata alla fiera”

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È sabato 28 settembre, mamma mia come vola il tempo, mi pareva che fosse ieri che vi avevo raccontato della fiera di una volta, ed eccola già arrivata, mi è volato via un anno e neanche me ne sono accorta. Forse quando si è vecchi non si percepisce bene il tempo che passa.

Va bene, questa volta non voglio raccontarvi quella di una volta, di quando di fronte al Buio non c’era nessuna casa e, il giorno di San Michele, il prato brulicava di bovini. Di quando mio fratello aspettava davanti a casa, che passasse un mercante con due o tre mucche e gli chiedesse se voleva guadagnarsi la “bendiga” era la mancia che davano ai ragazzini che in fiera badavano le mucche, mentre i padroni mercanteggiavano la compra e vendita del bestiame. Molte volte queste persone si perdevano dentro qualche osteria e questi bambini aspettavano delle giornate intere sotto il sole, se il tempo era clemente, oppure sotto la pioggia. Poi finalmente arrivava la sospirata “bendiga”, allora via di corsa, sperando di fare in tempo per l’ultimo giro della giostra, altrimenti dovevano rimandare a un altro anno, la fiera allora durava solo un giorno, il 29 settembre e basta.

Quella famosa giostra, “il calcinculo” che si trovava nel piazzale del consorzio, che quando girava vorticosamente, si allargava come la corolla di un gigantesco fiore e a me sembrava che prendesse tutta la piazza e passavo molto tempo a guardare i ragazzini che tentavano di agganciare il sedile di quello davanti per farlo volare più in alto.

Vi racconterò come l’ho vista quest’anno. Sono passata in piazzale Collodi dove ora si radunano i giostrai coi loro caravan lussuosi, ma poi son dovuta scendere davanti al centro Coni dove hanno sistemato i loro autoscontri, i vari giochi tecnologicamente perfetti, con i tira segno e altro, poi giostre intramontabili fatte per i più piccoli con cavallucci, carrozze e fuoristrada che girano intorno al suono di una dolce musica e ho anche notato che il famoso “calcinculo” è ancora di moda, ma chissà perché mi sembra più piccolo.

Poi ci sono i ragazzi che non si accontentano di guardare come facevamo noi, ma fanno la fila per procurarsi i biglietti, tirando fuori dalle tasche euro di carta, verdi rossi e azzurri, piccoli e grandi. Mai vista tanta abbondanza in mano a dei giovanissimi “poi dicono che c’è la crisi…”. Infine questi ragazzi frastornati dalla musica e dal chiasso, non si accorgono che il giorno della fiera i giri sono cortissimi, non fanno in tempo a salire che devono già scendere.

Intanto scendo verso Bagnolo dove cominciano le bancarelle, le ammiro stando dalla parte opposta, per non farmi spintonare dalle ragazzine che passano a gruppi e neanche cercano di evitare di spingerti. Tante bancarelle, maglie, scarpe, pigiami, calze, quante calze e vengono vendute a pacchi, una volta queste venivano fatte a mano e quando si rompevano si ricambiava il pezzo e si rammendavano, le donne d’oggi non hanno più tempo per questo, appena c’è un buchino vengono buttate, per questo le comprano a pacchi. Poi ci sono ceste, cestini, prodotti artigianali oppure taroccati, poi il croccante e lo zucchero filato che propaga nell’aria quel buon odore di bruciaticcio.

Non comprerò niente, ogni volta che l’ho fatto poi mi sono pentita, l’unica cosa sarà il bombolone, caldo tenero profumato, quello non ti penti, perché lo mandi giù e non ci ripensi.

Si penso proprio che la fiera non sia adatta per i vecchi, ma per me è un’usanza antica non posso farne a meno, forse una volta non c’era questa calca, le bancarelle erano solo nelle due piazze del paese, lasciando liberi i negozi di mettere in mostra la loro merce.

Comunque arrivo in piazza Gramsci e il profumo di pane appena sfornato, la banda che suona l’inno di Mameli, il gonfalone comunale, tutti i rappresentanti dei vari corpi di polizia e la gente che applaude, mi danno una scossa di buonumore. Questa scossa però si tramuta subito, inciampo in qualcosa che attraversa il mio percorso, traballo pericolosamente, mi giro a guardare hanno ricoperto dei fili con una bella striscia gialla bella rigonfia, l’avevo notata qualche metro prima, ma l’avevo scambiata per una striscia pitturata per terra, per poco non mi ammazzo. Ringrazio le mie gambe ancora forti e anche l’angelo custode che mi ha sorretto, non mi ha fatto stramazzare per terra, allora mando la mia “benedizione” alla striscia e a chi aveva avuto la malaugurata idea di posare questo travetto fra una bancarella e l’altra. Forse questo non aveva capito che se si va alla fiera non è per guardare per terra, forse un cavalletto ben visibile, di quelli rossi e bianchi alto un metro posato nel bel mezzo, certo che non sarebbe stato così elegante, ma avrebbe evitato tanti guai, che purtroppo ci sono stati e come lo so io lo sapete anche voi. Se fossi caduta avrei avuto la magra consolazione che la Croce Verde era presente col suo banco a pochi passi, ben magra consolazione, ma come si diceva una volta “pitòst che gnent le mèi pitòst”.

Per evitare la confusione, prendo per la strada vecchia del paese, via Primo Maggio, passo davanti all’oratorio di Santa Maria Maddalena, una volta era aperto, così la gente si fermava per accendere un cero e dire una preghiera, ora è sempre chiuso con quel brutto lucchetto e le macchine parcheggiate davanti al portale sembra vogliano dire: “Di qui non si passa”. Anche lui è troppo vecchio, perciò non merita rispetto, aspetteranno che crolli per accorgersi che hanno perso un pezzo prezioso della loro storia.

Più avanti ci sono i lavatoi e risento nelle orecchie le voci argentine delle lavandaie, i canti, i bisticci, poi la piazzetta sempre piena di bambini che giocavano e il mio pensiero, con tanta nostalgia, vola alla finestra più alta a sinistra del vecchio palazzo, a Suor Giulia al suo laboratorio.

Vedo il voltone e mi ricordo che mio padre mi aveva proibito di passare da lì sotto, perché c’erano i pisciatoi per gli avventori delle osterie. Gli ubbidisco anche questa volta, perciò giro a sinistra passo vicino al Bar Italia e mi trovo in piazza Peretti e qui cioccolato a volontà. Nell’aria c’è un profumino che ti inebria, praline, cioccolatini di ogni forma e colore, piccole sculture fatte di cioccolato e i negozianti che ti offrono l’assaggio.

Risalgo via Roma in mezzo alla gente che parla ad alta voce, bambini che frignano nei carrozzini spinti da mammine nervosette, che si trascinano dietro nonne con lo sguardo stanco e il portafogli pieno, sapete un regalino per la fiera non si nega a nessuno, magari hanno “tiracchiato” tutto l’anno per poter fare qualcosa per i nipoti. Poi i papà, i dolci papà del giorno d’oggi coi bimbi più grandicelli per mano, e vedo uno che passa delicatamente la mano sotto la giacchina del figlio per rassicurarsi che non sudasse.

Ecco la piazza del consorzio e il profumo del mio diletto bombolone si fa sentire da lontano è anche ora di riposare un po’, così mi siedo nell’angolo di una panca rimasto libero e mi gusto questa bontà ancora caldo e fumante, non importa se mi resteranno le mani appiccicose e qualche granello di zucchero attaccato ai peli del labbro superiore, mi lascio andare come una bambina felice della sua marachella.

Così il primo giorno lo concludo lì, anche se le bancarelle mi accompagneranno per Via Dante fino alla scaletta che mi porterà fuori dalla confusione.

Domenica altro giro in compagnia di mia figlia e naturalmente facciamo rifornimento di calze invernali e di fiori finti da mettere sul balcone durante la brutta stagione, cosa volete che vi dica a me i fiori sintetici piacciono, ci sono delle imitazioni molto belle.

Poi scendiamo alla piazza dei bovini, non possiamo evitarla, la fiera di San Michele una volta era conosciuta solo per questo. Così passo davanti al centro sociale, non c’ero più stata da quando Giuliano se n’è andato, lui era appassionato di ballo liscio, aveva imparato da adolescente in Molise dove una vecchia signora aristocratica “Donna Rosa”, per diletto insegnava il ballo ai giovani. Io ho continuato a portarlo qui anche quando la sua mente ormai era da un’altra parte, quando sentiva la musica il suo passo diventava leggero, il suo sorriso raggiante, e volteggiava senza incertezze come sempre.

La fiera dei bovini di una volta

Mi distoglie dai miei pensieri il muggito delle mucche che ormai hanno le mammelle piene di latte sarà arrivata l’ora di mungerle. Sono molto belle, lisce, in carne, di razze diverse e di colore diverso, in passato le tenevano tutte ammucchiate nel campo della fiera, ora hanno costruito due comode tettoie che le riparano dal sole e se ce ne fosse bisogno anche dalla pioggia, sono state fatte apposta per questi tre giorni, non ci sono più ragazzini che sognano la “bendiga”, hanno il loro fieno e l’acqua sono trattate molto bene. No, mi sono sbagliata, non sono affatto trattate bene, vengono inseminate per mettere al mondo vitellini, che poi vengono loro immediatamente tolti, li portano lontani dalle mamme, che devono solo produrre latte per il casello e hanno anche perso la libertà di correre e pascolare per i boschi. Molto meglio quando si sdraiavano nel fango e nello sterco della fiera attorniate da nugoli di mosche e tafani, coi loro vitellini che succhiavano latte dalle loro mammelle.

Terzo giorno lunedì, bè chi me lo fa fare di stare a casa, ogni lunedì io scendo per il mercato, poi oggi è il giorno della calma, un piccolo giro non me lo nego. Questo è il giorno che incontri qualcuno che conosci e magari è molto tempo che non lo vedi, difatti è stato così. A me piace andare a zonzo sola e osservare, noto che certe bancarelle hanno abbassato i prezzi, c’è gente soddisfatta degli affari e chi no, c’è chi vuol vendere ad ogni costo e insegue gli avventori che si erano fermati a osservare, ci sono scatoloni vuoti ammucchiati negli angoli, carte, sacchetti trasparenti vuoti, fazzolettini e tovagliolini un po’ dappertutto e banchi che stanno levando le tende.

Poi a sera i bravi ragazzi del “Ginepro” si metteranno all’opera, lavoreranno tutta la notte, così al risveglio il paese si presenterà lindo e pulito come sempre.

Mi ero proposta di parlarvi solo della fiera di quest’anno, scusatemi se ogni tanto mi  sono girata a dare uno sguardo al passato, è più forte di me.

Elda Zannini (e grazie a Iolanda per la bella foto di una volta)

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