Tempo fa il mio accompagnatore e alleato nelle mie ricerche di ruderi, mi aveva mandato un messaggio:
“Clicca qui, questa sarà la nostra gita primaverile fuori porta”.
Guardavo incuriosita, si trattava del castello delle Verrucole di San Romano in Garfagnana. Questo messaggio mi era arrivato verso la fine di aprile, poi maggio è stato molto piovoso, giugno molto afoso, così ci siamo portati a luglio e lui mi dice:
“Non ci sono più scuse, giovedì partiamo, portati un’amica che ti faccia compagnia”.
L’amica è subito pronta, naturalmente si tratta della zia Imelde, alle nove in punto lui arriva sorridente come sempre quando mi porta in giro, noi eravamo già pronte da mezz’ora sull’attenti come due soldatini.
Questa volta per arrivare in Garfagnana passiamo dal Pianello, attraversiamo il fiume e vedo che è completamente in secca, quest’anno è mancata la neve, le stagioni stanno cambiando. Poi su, Ligonchio, Ospitaletto, Pratorena e giù dai numerosi tornanti in mezzo a un verde che toglie il fiato, questa è la Garfagnana, una striscia di terra che fa parte della Toscana e fa da divisorio con l’Emilia. Fin da piccola ne avevo sentito parlare come di una terra infertile molto povera, non vi cresceva il frumento, ora resto stupita vedendo come l’hanno resa attraente con laghetti trasparenti che invitano i campeggiatori, con grandi parcheggi, posti per caravan e bungalow.
Continuiamo a scendere, abbiamo dovuto scavalcare la catena delle nostre montagne e notiamo il profilarsi delle Alpi Apuane. Arrivati a Sillano troviamo l’indicazione per San Romano, paese bellissimo con grandi abitazioni antiche in sasso, Chiesa antichissima e grande campanile con la copertura piatta. Questa è una cosa che ho notato altre volte, in Garfagnana i campanili sono così, in Emilia invece li abbiamo a punta così si vedono da lontano. Da lì cominciamo a risalire e dopo un curvone scorgiamo sul culmine di una montagna, il Castello delle Verrucole, là di fronte a noi si erge maestoso molto grande con lunghe mura smerlate. Dopo una serie di curve e contro curve, arriviamo ai suoi piedi in un paesino che ci offre il suo parcheggio, lì le macchine si devono fermare. Scendiamo e seguiamo le indicazioni prendendo il sentiero indicato per i disabili, certamente questi devono essere dotati di buone braccia, poi grande scoperta un trenino a cremagliera munito di due soli vagoncini, ci aspetta sotto una tettoia fatta con canne.
Il conduttore si presenta educatamente, con quel tanto di chiacchiera toscana che ti conforta, intanto controlla che la carrozzella di Gabri abbia le ruote ben fissate al pavimento, trattenute da grosse catene, io e l’Imelde ci sediamo nel vagoncino davanti, mentre l’autista mette in moto e si gira per chiacchierare con noi.
Il primo pezzo del percorso è quasi pianeggiante, poi improvvisamente si inerpica per una lunga salita quasi perpendicolare e lì ti ritrovi con le gambe più alte del resto del corpo, poi ancora pianeggiante, ma non fai in tempo a dare un respiro di sollievo, che un’altra volta ti ritrovi mezza capovolta: “Adrenalina, ragazzi, adrenalina pura”.
Finalmente entriamo in questa fortezza, munita di vari ascensori e arriviamo al culmine del torrazzo principale, una stanzona rotonda, grande munita di ampie finestre a volta dove puoi guardare a 360° e scorgere tutti i paesi che la circondano e tutte le strade che arrivano fin lassù.
Poi cosa molto bella, lì trovi un giovane vestito in costume medioevale, tipo Dante Alighieri, che fa da cicerone e ti racconta la storia di questo Maniero, ma in modo semplice senza paroloni difficili da interpretare e risponde esaurientemente a qualsiasi domanda, parla in italiano con traduzione simultanea in inglese, con noi c’era una famiglia americana con bambini.
E lì Gabriele si interessa molto a una catapulta medioevale ricostruita nei minimi particolari in miniatura, poi una vera e ancora funzionante, la trovi fuori da questa torre.
Questa Fortezza è stata innalzata nel 1250 circa, così come si vede attualmente risale al periodo di Alfonso D’Este, è stata costruita totalmente con sassi arrotondati di fiume usando la manodopera di centinaia di schiavi che li raccoglievano e li trasportavano su, anche se si parla di un certo architetto, Marc’Antonio Pasi che adeguò il fortino alle esigenze belliche del tempo. Il poeta Ludovico Ariosto in quel periodo ebbe la carica di commissario della Garfagnana e si occupò di riordinare i presidi militari fra cui anche quelli delle Verrucole, che a fine ‘800 venne abbandonato e riacquistato dal comune di San Romano nel 1986 avviandone un restauro ventennale. Ora è diventato un “Archeopark” con molte attività didattiche.
Poi andiamo al piano inferiore dove il solito cicerone ci illustra la cucina e ci parla dei cibi poveri di allora, passiamo alla stanza delle armi dove ci illustra e ci fa soppesare con mano le mazze e gli spadoni del tempo e ci illustra le armature, i vari elmi pesantissimi, i lunghi scudi e ci fa vedere come venivano usati per riparare tutto il corpo, le varie fasi del combattimento e lì veniamo a sapere che c’era l’obbligo di leva dai 18 ai 75 anni, tutte persone molto forti, perché avevano superato la selezione naturale nella prima infanzia. Era un popolo basso di statura lo testimonia il letto lungo solo 150 centimetri, poi vediamo altre stanze, infine scendiamo un largo scalone in pietra coi gradini molto alti che continua anche all’esterno. Lì troviamo anche ragazze in costume medioevale che rispondono a qualsiasi domanda e si occupano delle scolaresche presenti quasi giornalmente.
Sotto una capanna col tetto in paglia, c’è una ragazzina che spiega la colorazione della lana e dei tessuti coi colori naturali ricavati dalle erbe e dagli insetti e ci mostra i vari vasi pieni di queste misture e qui paghiamo anche il pedaggio in trenino e l’ingresso, una cosa irrisoria per noi anziani e gratuita per Gabri.
Intanto lui ci raggiunge e comincia ad inerpicarsi a forza di braccia su per un sentiero stretto in cemento liscio che lo porta dalla parte opposta. Su quel lato troviamo una taverna, con cameriere anche lui in costume medioevale e lì possiamo sederci e scoprire i vari sapori della terra col “vassoio del cavaliere” e un buon caffè moderno.
Infine rifacciamo la discesa col trenino, in silenzio guardo il burrone che scorre al mio fianco.
Rientriamo prima di sera stanchi, ma soddisfatti della nuova scoperta. Grazie Gabri e come diceva la Marietta “Dio at n’in rmirta in Paradis”, Dio te ne renda merito in Paradiso. Il volontariato in famiglia non attira un gran che, tanti preferiscono farlo fuori, ricordatevi però che se è fatto con semplicità, fa molto bene ai beneficiati.
(Elda Zannini)