Dal Ventasso al Fuso è il titolo di uno dei migliori libri sulla storia della lotta di Liberazione nazionale dal giogo nazifascista nella vallata del torrente Enza, uno degli scenari più importanti fra le provincie di Reggio Emilia e Parma, scritto da Mario Rinaldi e Massimiliano Villa ed edito da Battei.
Si è voluto partire da queste simboliche pagine della nostra storia nazionale per addentrarci in questa vallata e camminare virtualmente sui sentieri, che portano sulla cima di una di queste montagne: il Monte Fuso, che, assieme al Monte Ventasso, rappresentano alcuni dei territori più interessanti dell'Appennino tosco-emiliano.
Uno dei luoghi più suggestivi sulle cime del Fuso è senz'altro l'abitato di Rusino e il suo circondario, da dove con un colpo d'occhio si può cogliere tutto l'anfiteatro delle montagne del Reggiano e alla sua destra le vette più importanti delle montagne parmigiane. E in solitaria svetta la Pietra di Bismantova citata da Dante.
Alle spalle del paese si staglia la torre della famiglia medioevale dei Belvedere; sul crinale a quota 1118 metri una stele segna il luogo più elevato della cima e inoltrandosi nell'antico sentiero si incontra un cippo, residuo segnale di confine col ducato Estense. Volgendo lo sguardo a settentrione, all'orizzonte si stendono le città di Parma e Reggio Emilia e, nelle giornate più serene, si riconoscono Cremona e la catena delle Alpi con la vetta a noi più vicina, il Monte Baldo, che sovrasta il lago di Garda.
Nella pubblicazione "Vairo, antica capitale delle Valli dei Cavalieri", lo studioso Guglielmo Capacchi introduce la possibilità che il toponimo del centro abitato di Rusino nella dizione dialettale (dial. arsén) rappresenti la forma metatetica (inversione nell'ordine di successione dei suoni di una parola) di Rasen, il quale "conduce al nome nazionale del popolo etrusco Rasena, Rasna".
Al di là della toponomastica, Rusino, con le sue case in sasso, bruciate nella rappresaglia nazifascista del Luglio 1944, e i suoi muri a secco in pietre lavorate da valenti scalpellini, appare come un paese "presepe", dove Guareschi nel suo immaginario manda in punizione il personaggio don Camillo.
Alle pendici del Monte Fuso furono erette a cavallo del XII secolo le tre pievi di Sasso, Moragnano e Scurano: la prima, la cui rupe torreggia sulla vallata della Termina, affluente sinistro dell'Enza, e spazia fino al rilievo di Canossa, è dedicata a Maria Assunta, come risulta negli atti dell'Ordo archipresbyterorum Plebium dell'anno 1005.
Il sito prospiciente la pieve, oggetto tra gli anni 1950 e 1960 di scavi per un rimboschimento artificiale, portò alla scoperta di una necropoli longobarda e di numerosi reperti, raccolti all'interno di un piccolo museo allestito nella canonica dall'allora arciprete Arnaldo Vignali.
Né il sito né i reperti furono mai valorizzati o fatti oggetto di studio tranne un piccolo opuscolo illustrativo di alcuni cimeli, il quale venne pubblicato in occasione dell'elevazione della Pieve a santuario e di cui rimane un'unica foto come documento.
L'amore per questi luoghi ha ispirato nel corso degli anni parole e descrizioni poetiche del Monte Fuso. Ecco fra tutte alcune righe di Gabriella Baldi (Campora, 1943-1994) e di Jole Pini (Campora, 1902-1988).
(Luigi Notari)
Di Gabriella Baldi
(3/10/1993)
Campora
Cammino per le strade tortuose del mio paese.
Non incontro nessuno.
Ormai l'inverno s'avvicina, il paese diventa un fantasma.
Continuo il mio cammino, mi guardo intorno, ad un tratto vedo davanti a me "lui": il Monte Fuso, maestoso, impenetrabile.
Un senso di paura mi percorre nelle vene.
Eppure, devo continuare il mio cammino.
Arrivo ai due ponti, una carraia si inoltra nel bosco.
Entro, ma ho paura di profanare il suo silenzio, ma è impossibile.
I mie piedi procurano sulle foglie secche un leggero stropiccio.
Ad un tratto un tonfo di marroni si abbatte come una pioggia sul sottosuolo.
Mi viene spontaneo raccoglierne uno, come è bello con l'occhio cucito e le strisce longitudinali che terminano con un ciuffetto che sembra un pennello da barba.
L'ho messo in tasca come una reliquia e proseguo il mio cammino.
Ad un tratto comincia a scendere una pioggerellina autunnale, ma io non mi bagno perché le piante di castagno non hanno ancora perso le foglie e mi fanno da ombrello.
Il cielo è leggermente offuscato e l'aria si fa più pungente.
Lungo il cammino mi viene voglia di raccogliere gli ultimi fiori autunnali. Compongo un bel mazzetto.
Dopo lungo cammino sento un odore acre di muschio e di funghi, mi inebriano, è l'odore del mio bosco.
Sono a due passi dalla cima, ecco la stele della Madonna dell'Alpe.
Depongo ai suoi piedi il mazzetto di fiori. Da qui si domina il paese che sta ai suoi piedi e "lui" lo protegge come fosse cosa sua.
Io sono qui e il mondo non esiste più, tocco quasi il cielo con un dito, infatti basse le nuvole sembrano toccare la cima del monumento.
Mi viene spontaneo scrivere Campora; isola della pace e del silenzio, mia vecchia Campora addio.
Di Jole Pini
Sul Monte Fuso
Bello è salir sul Fuso
lo sguardo va lontano…
al colle, alla pianura,
dal Tosco all'Emiliano.
Le belle praterie
del Cajo ho di fronte
con i suoi folti faggi
di quel verde monte.
Generoso cannocchiale
meraviglie mi dai vicino
orizzonti, piante e fiori
nidi, il volo dell'uccellino.
Sei la prima delle cime
che il saluto hai dell'aurora
veder ci fai le Alpi
e più in là ancora…
Il tuo piè - bel Monte
spazia a distanza -
ti fan corona intorno
Sasso, Vezzano e Campora.