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Uno spicchio di Oriente in Appennino: l’artista Asako Hishiki

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Studio per artisti a Kamart

La giovane artista Asako Hishiki è stata ospite a Cereggio di KAMart in residence dal 13 al 27 aprile (articolo correlato).

In questa abitazione rivisitata in maniera peculiare e creativa dove arredi, mattonelle, pavimenti, soffitti e decori murali antichi spiccano in armonia con la contemporaneità, non solo i fruitori dell’annesso bed and breakfast ma anche gli artisti in cerca di concentrazione, o ispirazione, si ritrovano immersi in una rasserenante tranquillità.

Nella stanza adibita a studio per l’artista, ci accomodiamo sul divano damascato. Inizia la chiacchierata con l’amichevole Asako: il suo nome significa “il tessuto orientale”.

"Ho raccolto diversi colori, a seconda del tempo. I più chiari con il sole, i più scuri con la pioggia"

Asako, da quanto tempo sei in Italia?

«Sono arrivata la prima volta nel 2003 dopo l’università di Arte in Giappone, ho sempre studiato pittura. Ho iniziato a studiare la lingua italiana, poi ho scoperto che per iscrivermi all’Accademia di Belle Arti di Bologna dovevo tornare in Giappone e fare richiesta all’Ambasciata italiana, così ho potuto cominciare a studiare arte in Italia nel 2005.

Adesso sono quattordici anni che vivo qui».

Rientri spesso in Giappone?

«Abito a Monza, in Giappone torno circa una volta all’anno. L’ultima volta sono rientrata per un mese, a capodanno».

Colori in corso

Qui in Italia hai un tuo studio?

«Sì, ho un studio a casa mia vicino al grande parco di Monza, dove vivo da due anni; prima ho vissuto a Bologna dove ho frequentato l’accademia di Belle Arti. Dal 2010 collaboro con la Galleria Nobili - Paraventi giapponesi di Milano, in zona Moscova, dove ho fatto anche mostre personali. Partecipo anche a mostre collettive, girando un po’ con le mie opere».

È stata dura studiare all’Accademia qui in Italia, oppure si è rivelato più semplice di quello che pensavi?

«Con il corso pratico, per esempio pittura o tecniche di incisione, è stato molto semplice perché anche se non parlavo bene la lingua, in qualche modo con i professori riuscivamo a capirci: non credevo nemmeno io che sarebbe stato così facile, forse perché avevo già studiato in Giappone.

Invece con la parte teorica, come lo studio della Storia dell’Arte, ho fatto molta fatica».

"I suoni degli uccellini che sento dalla finestra"

Cos’è che ti piace di più dell’Italia, oltre all’aspetto artistico?

«Forse il vostro modo di vivere, la relazione tra le persone, come fare amicizia: voi esprimete proprio bene l'affetto per cari, amici e questa cosa mi piace tantissimo!»

Secondo te invece cosa piace di più agli Italiani del Giappone?

«Secondo me le cose diverse, le differenze tra i due paesi. Cibi, case, mi raccontano tutti che notano la diversità rispetto alle tradizioni italiane».

Ti stai trovando bene in Italia con il tuo lavoro, che è anche una tua passione?

«Sì, mi trovo molto bene. Anche se ogni tanto faccio fatica perché ho ancora qualche problema con la lingua».

Ma la parli molto bene! Forse le lingue orientali, che graficamente sono ricche di segni, avvantaggiano nello studio delle lingue occidentali, che sono più “piatte”.

«Noi Giapponesi però non abbiamo molta attenzione per gli accenti, non ci pensiamo molto.

Voi siete una penisola, avete influenze anche dalle lingue dei paesi vicini; invece in Giappone, che è un’isola, si parla di solito Giapponese, anche se nella scuola è obbligatorio l’Inglese. Per voi è meno strano parlare Inglese che per noi, che è la lingua di un paese lontano.

In epoca Edo, dal 1600 a metà 1800, il Giappone era proprio chiuso, si è iniziato dopo a conoscere l’occidente. C’era solo un porto, a Nagasaki, da dove si poteva entrare dall’estero. Dopo è caduto il dominio della famiglia Tokugawa e si è iniziato ad aprire il paese al resto del mondo».

Sgorbie per intagliare il legno

Qui da noi c’è l’idea che i Giapponesi si impegnino molto nelle loro attività, che abbiano una cultura di disciplina, che siano precisi.

«In generale facciamo molta attenzione ai tempi, nelle fasi di lavoro bisogna sempre tenere d’occhio il tempo, stare attenti a non ritardare. È diventata forse una fissazione, si rischia di rinunciare a cose che piacerebbe fare per i doveri del lavoro, degli impegni, diventa una parte troppo rigida della vita. La gente ha un po’ meno elasticità.

Qui invece è il contrario, se ritardi dieci minuti, venti minuti, fa lo stesso».

Be’, l’Italia è famosa anche per i ritardi!

«Sì, diciamo che quando una cosa diventa un’esagerazione, non va bene. Mi sento comunque più libera qui in Italia, perché a volte in Giappone si giustifica la qualità di una persona solo con la capacità di saper rispettare il tempo. Non è una idea proprio giusta, secondo me».

Tu di dove sei originaria?

«Sono di Hamamatsu, una città che si trova esattamente al centro tra Tokyo e Osaka, è famosa per le moto Yamaha, dove è cresciuta questa parte industriale per i motori. Casa mia è in una via di mezzo tra città e montagna, vicino ci sono quattro piccoli laghi e ancora tanti alberi.

In Italia abito a Monza, vicino al Parco: la mia pittura è basata sui soggetti della natura e quindi avere vicino elementi naturali mi aiuta sia nello studio dei colori che per l’ispirazione».

Appunti calendario delle stagioni. "La stagione cambia ogni cinque giorni"

Da quando hai iniziato col disegno, già fin da bambina?

«Sì, i miei genitori hanno detto che già fin da bambina disegnavo tanto, ma più che altro ero una bambina che con naturalezza contemplava e si soffermava su tante cose, per me interessanti: forse questa predisposizione mi ha destinato a intraprendere la strada per diventare artista».

È difficile realizzare le tue opere con la xilografia?

«Per me è difficile finché non sono sicura della forma; devo lavorare tanto, finché non ho deciso cosa rappresentare. Una volta che ho deciso, posso andare anche più rapidamente.

Lavoro con la tecnica giapponese, su due strati di tessuti sottili, come le garze di cotone. Bisogna fare prima tantissime prove di incisione sulle matrici di legno per trovare quella che si ritiene giusta. Realizzata l’incisione, stendo il colore sulla matrice e poi vi appoggio sopra il tessuto premendo la superficie con un tampone (si chima Baren 馬連, uno strumento per stampare), il disegno risulterà sfumato a seconda della pressione che si esercita col tampone.

Ho sempre in mente un’idea quando inizio, poi realizzandola osservo come viene. Mi affido anche alla casualità: è molto bello scoprire quello che uscirà, stimola l’immaginazione.

Per la xilografia occidentale si usa in genere il torchio, un macchinario che stampa con precisione l’immagine a grandezza foglio, più o meno, con il colore calibrato tutto nello stesso modo.

Con la tecnica giapponese invece per la grandezza non ci sono limiti: con le matrici, si possono ripetere i soggetti per l’estensione della tela che si desidera ed è un modo anche più delicato».

Schizzi di prova

Quando avrai raccolto tutto il materiale qui, lo rielaborerai nel tuo studio a Monza e poi tornerai a Cereggio a esporre le tue creazioni?

«Sì, dal 15 giugno. Sono molto contenta di avere vinto questa residenza come premio che non mi aspettavo, è stata una bella sorpresa. Angela e Marco hanno creato una condizione ed un luogo molto accoglienti».

Non si può dare torto ad Asako, fra i fitti viottoli e le volte in sasso del borgo si scopre un angolo sorprendente. Rimarrei ancora a bere tè caldo giapponese dall’aroma inatteso con biscotti salati dal gusto che ricorda altri sapori, ma questa prima visita giunge al termine.

Bisognerà tornare. Le opere che Asako avrà realizzato ispirata da colori, suoni, animali, strutture, presenze, persone dell’Appennino hanno il sentore delle cose imperdibili.

(I.C.)