Riceviamo e pubblichiamo.
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Ambiente e clima: una riflessione sulle responsabilità generazionali
Il 15 marzo i nostri giovani sono “scesi in piazza” per il clima e l’ambiente, una mobilitazione che da quanto si legge sembra destinata a non interrompersi, pur se espressa semmai in altre forme, e c’è chi ha evocato un nuovo Sessantotto, quasi a voler riproporre una “contestazione” verso il sistema e verso l’operato delle generazioni passate.
Come si suole dire, i giovani hanno sempre ragione, dal momento che il futuro è loro, così come è loro diritto il prefigurarlo secondo la propria visione delle cose, e dobbiamo ritenerli altresì sinceri quando dichiarano di essere apartitici, pur se qualcuno potrebbe cercare, a loro insaputa, di “metterci il cappello” (eventualità di cui andrebbero informati).
In passato è infatti già successo che una qualche parte politica abbia cercato in qualche modo di intestarsi iniziative di sensibilizzazione, dissenso, protesta, che dovevano rappresentare la spontanea ed autonoma voce della società (il rischio esiste ancora, ma potrebbe essere che i giovani d’oggi siano più accorti nel non farsi “strumentalizzare”).
Padri, e padri dei padri
Sempre con lo sguardo rivolto al passato, abbondano gli esempi di come le insoddisfazioni del momento vengono riversare sui padri, e sui padri dei padri, ai quali si imputa di non aver saputo presagire gli effetti delle loro scelte, ed errori del genere non sono probabilmente mancati, ma non andrebbe tuttavia ingigantito il carico delle responsabilità.
Dai miei ricordi, gli anni del dopoguerra sono stati spesi per un generale innalzamento del nostro livello di vita, vedi una maggiore industrializzazione, così da aumentare i posti di lavoro, mentre l’espansione urbanistica, per fare un altro esempio, ha migliorato le opzioni abitative, ma questo insieme ha di riflesso comportato un inevitabile “prezzo” ambientale.
Se infatti il Belpaese avesse mantenuto una connotazione principalmente agricola, del tipo vigente fino ad allora, non si lamenterebbe oggi il consumo di suolo, né l’inquinamento da emissioni varie e, similmente, molte spiagge sarebbero ancora allo stato originario se le vacanze al mare fossero rimaste una prerogativa di una quota soltanto della popolazione.
Una difficile via di mezzo
Ci si può chiedere se non fosse possibile trovare una “via di mezzo” tra quell’ieri e i giorni nostri, ma quando i fenomeni prendono avvio non è poi facile regolarli come si vorrebbe, o farci la misura come si usa dire, e in ogni caso, tra gli accesi critici dei tempi presenti, non so quanti sarebbero realmente disposti a rinunciare alle odierne comodità (giovani inclusi).
Nel frattempo, dal dopoguerra ad ora, molto è cambiato nelle nostre abitudini e sensibilità, ed è entrato anche in scena il concetto della “decrescita felice”, difficilmente immaginabile qualche decennio fa, e a fronte di ciò si può rivedere il modello di sviluppo, ma occorre essere ben consapevoli che per fare in fretta ci vorrebbe una sorta di “bacchetta magica”.
Non si dovrebbe nel contempo scordare, almeno io credo, che se i nostri padri possono portare una qualche “colpa” nell’aver costruito un mondo che non ci piace, va riconosciuta loro la meritevole intenzione di volerci far vivere in condizioni migliori rispetto al passato (spero lo abbiano detto ai giovani quegli adulti che hanno partecipato alla mobilitazione del 15 marzo).
P.B. 17.03.2019
Concordo con il ragionamento, e tutti noi, giovani e meno giovani, dovremmo essere felici delle condizioni di vita che possiamo avere e riconoscere il merito di ciò che è stato fatto nei decenni passati per migliorarle.
Ciò detto, è innegabile che l’impatto ambientale delle attività umane è un problema noto da parecchio tempo e qualcosa poteva essere già stato fatto perlomeno negli ultimi 15 anni, però penso non fosse sentito come un problema abbastanza “urgente”.
Comunque, non resta che mettersi con un po’ di pragmatismo a riorganizzare la società in una direzione più sostenibile, e non credo che basti “chiudere l’acqua quando ti lavi i denti”, piuttosto bisognerebbe inquadrare il problema in ambito economico, visto che è questo a regolare la nostra società.
Quindi…. siamo disposti a pagare di più per essere più sostenibili, e votare di conseguenza? (Isolamento degli edifici, eco-incentivi pubblici, tasse sui combustibili e sui mezzi inquinanti, aumento del costo dell’elettricità, ….)
D.M.
L’aver preso coscienza che un problema esiste, e non può essere ignorato, anzi lo si deve affrontare senza ritardi, è il primo ed importante passo per cercare di porvi rimedio, ma poi “tra il dire e il fare…” si frappongono spesso difficoltà di vario genere, non di rado anche oggettive perché la riconversione di un modello di sviluppo non è come il premere un bottone o il girare un interruttore (è cioè un tragitto abbastanza lungo).
Non è certo sbagliato “inquadrare il problema in ambito economico”, come scrive D.M., ma avendo nondimeno presente che l’attuale modello economico è anche figlio delle nostre aspettative, ossia non è nato soltanto per volontà di “potentati” vari, e nel contempo bisognerebbe avere in mente quali alternative, realistiche e praticabili, vorremmo veder adottate, quantomeno per orientare chi è preposto ad assumere le decisioni in materia.
C’è pure da aggiungere che siamo spesso portati a trasferire sugli altri le responsabilità delle cose che non vanno o non ci piacciono, tanto da farci pensare che tali altri debbano essere i primi nell’innescare la “retromarcia”, rivedere cioè i propri comportamenti, mentre noi possiamo invece attendere, minimizzando le nostre contraddizioni, vedi l’andare a far la spesa senza portarci la borsa da casa, salvo poi lamentare il troppo ricorso alla plastica.
Se la spinta a “salvare il futuro” deve venire dal basso, cioè da tutti noi, anche la disordinata dispersione delle “cicche” – problema trattato da un odierno articolo di Redacon, titolato “I mozziconi di sigaretta, un rifiuto…”, e a cui si ovvierebbe a costo zero – non è di certo un bell’esempio, né aiuta di sicuro ad essere più convincenti verso gli organismi cui è rivolta la mobilitazione in corso (da parte di giovani e meno giovani).
P.B. 19.03.2019
Concordo in toto, volevo solo porre l’accento sul differente impatto che le diverse azioni possono avere…cioè, va benissimo limitare per esempio l’uso dei sacchetti di plastica, oppure evitare di buttare i mozziconi in giro, ma queste azioni non possono essere sufficienti a pulirci la coscienza.
Il passo deve essere più rilevante e le piccole azioni vanno bene, ma non sono più sufficienti!
Per esempio, cambiare una vecchia caldaia e isolare la casa fa risparmiare ordini di grandezza superiori di quantità di CO2 emessa rispetto a camminare per andare al lavoro.
Non parliamo poi dell’impatto che politiche pubbliche potrebbero avere, come l’ammodernamento degli impianti di produzione dell’energia o l’introduzione di ecoincentivi… Ovviamente, tutto ha un costo per le casse pubbliche che a sua volta ricadrà sui cittadini, la possibilità di successo dipende dalla loro disponibilità a pagarlo o meno.
In definitiva, non vorrei che questa spinta si traducesse all’opinione pubblica dicendo: basterà cambiare qualche piccola azione quotidiana per risolvere il problema.
D.M.
Fa bene D.M. a ricordarmi che sacchetti di plastica e mozziconi di sigaretta sono poca cosa nell’ambito della tematica ambientale, ma pur consapevole della loro “pochezza” li ho riportati come indicatori di contraddizioni il cui ovviarvi non ci costerebbe nulla, e il fatto di non essere apparentemente in grado di rivedere abitudini che non incidono sulle nostre tasche mi fa essere abbastanza scettico e pessimista sulla nostra capacità di autoregolamentazione in materia ambientale, e per cambiare non resterebbe dunque che la via “impositiva”, oppure quella di allettanti ecoincentivi col relativo prezzo (per le casse pubbliche che a sua volta ricadrà sui cittadini, come scrive D.M.).
Gli ecoincentivi sono peraltro già in funzione da tempo, e con Governi diversi – lo dico perché nel suo primo commento D.M. ha accennato al voto, ossia alla politica – e se non hanno dato i risultati attesi bisognerebbe capirne le ragioni, senza contare che agli aspetti riguardanti la spesa si aggiungono poi quelli tecnici, nel senso che anche tra gli esperti non pare esservi unanimità di vedute sul come “salvare il pianeta”, un cui esempio lo abbiamo del resto a portata di mano, e mi riferisco alla diga di Vetto, posto che in molti concordato sull’esistenza di una questione idrica, destinata semmai ad aggravarsi, ma i pareri si dividono quando si passa ad ipotizzare il modo con cui farvi fronte.
E proprio a questo riguardo sarebbe interessante sapere come la pensano i giovani sulla diga – o invasi vari – perché se da un lato la loro “mobilitazione” può immettere energia e slancio nel sistema, occorre nondimeno abituarsi alla tappa successiva, ossia il “passare dalla protesta alla proposta”, secondo una massima piuttosto nota, e gli adulti che sono al loro fianco in queste azioni di sensibilizzazione o rivendicazione dovrebbero instradarli in tal senso (ho ancora fresco il ricordo di figure che eccellevano egregiamente nell’animare la protesta ma non lo erano altrettanto, o non lo erano affatto, quando si trattava di indicare le soluzioni concrete per l’uno o altro problema).
P.B. 21.03.2019
Certamente riuscire a cambiare piccole abitudini a costo zero e indice di una sensibilità ambientale più (o meno) marcata.
Essendo però parecchio scettico sulla capacità di autoregolamentazione di un popolo intero abituato a vivere in un certo modo, ed avendo preso atto della gravità ed immediatezza del problema, con molto pragmatismo dico che il cambiamento deve essere reso “conveniente” dall’azione pubblica.
Azioni che hanno avuto un loro effetto positivo in passato, proporzionale allo sforzo che si è sostenuto : se abbiamo una buona quota di fotovoltaico installato (raggiunta in pochi anni) è perché abbiamo concesso generosi inventici, le auto inquinano molto meno grazie ad obblighi del legislatore che ovviamente ricadono sul prezzo di vendita, i cappotti installati in molti edifici sono stati favoriti da bonus fiscali… È necessario proseguire e rafforzare queste iniziative.
Riguardo alla diga, parere di un giovane, posso dirle che sono assolutamente favorevole agli invasi che, a meno di poche eccezioni, hanno una serie di benefici di parecchio più importanti delle difficoltà che comportano.
Non ritengo però la mia opinione rappresentativa dei “giovani” nel loro complesso, essendo questo un gruppo assolutamente eterogeneo che comprende spesso anche persone e opinioni particolarmente “volubili”.
D.M.