Riceviamo e pubblichiamo.
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Scrivo alcune brevi riflessioni essendo molto preoccupato, dal mio punto di vista, circa le prospettive socio-economiche del nostro Paese e nondimeno del quadro europeo e mondiale.
Lo faccio con il sincero intento di trovare interlocutori, con diverso punto di vista, che siano in grado di farmi ricredere.
E ciò auspicherei sulla base di pacati ragionamenti, facendo "scivolare" eventuali sfottò o altro, che purtroppo vedo crescere in modo esponenziale nel mondo della comunicazione.
Una prima valutazione: che un sistema istituzionale e politico evolva, è naturale, anzi auspicabile. Ciò che sono interessato a capire è la direzione del cambiamento.
La mia impressione è che la nuova maggioranza che sta guidando il Paese, interpreti il proprio ruolo come un assoluto! Nel lessico, nei comportamenti, nelle decisioni, mi pare appunto che siamo di fronte a qualcosa, non tanto di inedito, che sarebbe appunto naturale ed ovvio, trattandosi di forze politiche in parte nuove, viceversa emerge un preoccupante disconoscimento dell’equilibrio dei poteri come costituzionalmente definiti.
Una seconda evidenza è relativa al continuo appello al popolo come "fonte" del Governo attuale.
Non è così, il "popolo" del 32% dei 5Stelle ha fatto una virulenta campagna elettorale contro il "popolo" del 17% che ha votato Lega e viceversa! Questo univoco mandato popolare non mi pare fondato.
Una terza valutazione la farei a proposito dell'idea di "potere" che si evidenzia nelle decisioni dell’attuale maggioranza di Governo.
Qualsiasi Governo infatti è legittimato a disporre delle risorse che gli elettori del proprio Paese versano con le tasse; qualora però si chiedano, a prestito, ulteriori risorse, anche ad entità, magari straniere, queste pongono condizioni, alzano gli interessi, e possono anche dire no.
Un’ultima osservazione che mi pare fondata è che a fronte della primissima e principale necessità del Paese, che è quella di creare lavoro, si stia andando verso più assistenza, più spesa corrente, rispetto alla necessità di investimenti produttivi.
La mia valutazione conclusiva è che nella società italiana (e non solo) si sia "rotto" qualcosa nel profondo! Non è diversamente spiegabile, quella sorta di imbarbarimento nel linguaggio, nei comportamenti e financo negli atti giunto fino al livello dei vertici del Governo del Paese, per cui credo che occorra ripartire dall'educazione, dal cambiamento culturale.
La preoccupazione di fondo è che oggi, coi cosidetti "Social", incomba il rischio di essere "eterodiretti" (a nostra insaputa) verso sistemi di inusitata potenza di guida delle moderne società.
(Claudio Bucci)
Sono d’accordo con te. La nostra generazione si sente fuori da questo contesto politico. La maleducazione è la nuova caratteristica del governo del popolo, come lo chiamano loro. Ciao.
Canedoli Otello
E’ Natale, c’è la neve, e tutti siamo più buoni. Solo questo giornale sembra non lasciarsi cullare da questa atmosfera di campanellini, agnellini e presepi e pubblica questo articolo.
Giovanni Annigoni
Non avrei diritto di parola in quanto, ahimè, a 59 suonati, le ultime elezioni mi hanno visto, per sopravvivenza, disertare.
I miei: sinistra, disastrosi e indigeribili; gli altri: vincitori, disastro.
Ma tutto torna. Due semplici esempi, fatti, accaduti di recente. Genitori che si azzuffano alla recita di Natale in asilo per avere posti migliori per fare i video; gente in fila a Milano, davanti alla Nike, nella notte a -5 per accaparrarsi l’ultimo modello in plastica di scarpe fatte in paesi sottosviluppati.
Mi dica Lei, caro Bucci, se possiamo parlare di imbarbarimento della politica e di maleducazione? Preciso, nulla di personale, di polemico e di denigratorio, solo il mio punto di vista. Mancare di rispetto, educazione, non si limita solo a linguaggio o forme. Per me lo è anche, per esempio, aspettare anni per eleggere un presidente di questa o quella associazione, Coop o Parco, solo perché si devono rendere disponibili persone, sempre quelle persone, saltando professionalità, giovani laureati con vari masters, solo perché, ordini dall’alto, si deve far così, stop.
Non siamo tutti struzzi, la gente deve ingoiare, sempre, le stesse pillole, perché dal castello, da quello si decide. Castello che mette in piedi manifestazioni, tagli di nastri, che si arroga vittorie. Lei, caro Bucci, abitando un po’ più su, tocca giornalmente con mano tutte le vittorie e i trofei della nostra Montagna. Spopolamento di persone e di attività.
Basta, sempre stessa solfa, ripetitivo. Io sono tendenzialmente ottimista, sempre bicchiere mezzo pieno, per quello tornerò a votare solo quando nascerà un partito, un movimento, che abbia come slogan, come punto fermo del contratto coi cittadini, la nostra estinzione. Buon Natale a tutti.
Luca
Io non so a quale sinistra appartenesse “Luca”, o semmai vi appartenga idealmente tuttora, ma la sua età gli permette in ogni caso di ricordare quando una certa sinistra, intesa nelle sue varie espressioni, all’incirca un quarto di secolo fa, cercò di far “fragorosamente” cadere – così da sostituirlo -un sistema politico la cui classe dirigente, pur tra difetti, limiti e contraddizioni, aveva dato prova di saper guidare e condurre il Paese anche in momenti abbastanza difficili, portandolo a essere una potenza economica ampiamente stimata anche sul piano internazionale.
Quella sostituzione c’è stata ma i risultati li abbiamo sotto gli occhi, e ora tra le fila di quella sinistra c’è chi, pur se in ritardo, si sta accorgendo – e comincia a riconoscerlo, ancorché a denti stretti – che allora fu commesso un errore grande, se non “fatale”, mentre c’è invece una sua parte che cerca ancora un qualche capro espiatorio cui addossare la responsabilità dei propri insuccessi, spingendosi semmai a dire che siamo diventati una società sostanzialmente ingestibile e ingovernabile, e a chiamare in causa indistinte responsabilità collettive con l’intento di fare “di tutte le erbe un fascio”.
Non si può oggettivamente negare che ci troviamo a vivere in un contesto piuttosto complesso, ma la politica non può tirarsi indietro, sottraendosi al compito di saper affrontare anche le situazioni complicate, perché si comporterebbe allora come un ragazzino un po’ capriccioso che perde al gioco e vuole smettere di giocare, quando invece bisogna saper accettare le sconfitte e cercar poi di riprendersi e recuperare, come seppero fare partiti storici nel corso di decenni o addirittura di un secolo, senza farsi scoraggiare da alterne fortune (partiti ingiustamente sottovalutati, per non dire di più).
Ma in ogni caso, se in mezzo al diffuso e generale malcontento dell’oggi vogliamo che la nostra società riesca a “risalire la china”, o cerchi quantomeno di farlo, bisognerebbe andare alla radice del problema chiamando le cose “col loro nome”, e qui non andrebbe dimenticato che le nostre comunità erano un tempo piene di valori, e la “maleducazione” era per solito rara, specie tra i giovani e giovanissimi, ai quali fu poi permesso di dare del “tu” al proprio insegnante per una presunta idea di democrazia, volendo fare un esempio fra i tanti di quel percorso che portò al graduale opacamento e svuotamento dei valori.
Percorso che ha una paternità politica abbastanza precisa, ossia non indistinta come qualcuno vorrebbe far credere, e se riteniamo che i valori servono, anche sul piano economico oltre che etico e sociale, come io penso che sia, credo che quei partiti o correnti di pensiero che li hanno trascurati e sminuiti, per usare un eufemismo, dovrebbero ammetterlo o almeno far chiaramente intendere il loro ripensamento e la loro retromarcia, così da indurre a “cambiar rotta” pure chi su questa via aveva dato loro retta (la vedo come utile premessa per tentare un qualche recupero valoriale, se il tempo non è già scaduto, e forse “Luca” potrà non perdere la dose ottimismo che gli è rimasta).
P.B. 21.12.2018
Mi sarei francamente aspettato che l’autore di questa nota riprendesse la parola, ossia la penna, dal momento che si proponeva di “trovare interlocutori, con diverso punto di vista”, e mi sembra che le considerazioni di “Luca” qualche spunto di riflessione lo offrano, per aprire un confronto e uno scambio di opinioni su una materia indubbiamente stimolante nonostante la sua complessità, e che riguarda in buona sostanza tutti noi, e il nostro futuro, e merita pertanto di spendervi una qualche parola.
Dal momento che entrambi, cioè l’autore e il commentatore, appartenevano allo stesso versante politico, così almeno mi par di capire, ancorché potessero avere un’eventuale diversa collocazione partitica, e visto che quella loro parte ha lungamente governato la nostra montagna, unitamente agli altri livelli istituzionali fino al Governo centrale, bisognerebbe che ci dicessero perché mai, a loro vedere almeno, non si sia per tempo compreso che nella società italiana si era “rotto qualcosa nel profondo!”
Non è infatti credibile che l’imbarbarimento nel linguaggio sia arrivato solo oggi, e forse la politica non avrebbe trovato comunque alcun rimedio alle profonde trasformazioni di costume su cui si era incamminata la nostra società, ma non ci si può accorgere solo adesso che occorre “ripartire dall’educazione, dal cambiamento culturale”, dopo che una certa ideologia ha ad esempio assecondato, nel campo dell’istruzione, il cosiddetto “sei politico”, mortificando così il merito e il profitto (ed è stata in generale piuttosto “permissiva”).
In ogni caso, al di là delle “colpe” dell’una o altra parte, nonché delle cause e concause che hanno determinato il “decadimento” del linguaggio, e non solo, bisognerebbe trovare il modo per “saltarci fuori”, e c’è chi confida ancora nelle maniere “morbide”, ossia nell’autocorrezione della nostra società, mentre altri ritengono che il “buonismo” sia perdente e invocano decisionismo e scelte “impositive”, incuranti o quasi di populismi, “idea di potere”, “equilibri dei poteri”, ecc. (e se siamo giunti a questo punto è d’obbligo chiedersi il perché, e semmai fare anche proposte sul come poterne uscire, diversamente ci fermiamo alle “lacrime di coccodrillo”).
P.B. 23.12.2018
Chiedo scusa, ma per principio interloquisco solo con chi si firma.
Bucci Claudio
Non mi resta che prendere atto di quanto scrive l’estensore della nota, ossia che egli interloquisce soltanto con chi si firma, anche se a me pare una motivazione tutto sommato abbastanza debole per “sottrarsi” al confronto, laddove si ritenga che l’argomento meriti di essere affrontato (nel senso che dovrebbe essere l’importanza dell’argomento, se per l’appunto ritenuta tale, a prevalere sui nomi).
Altra cosa sarebbe invece se le mie argomentazioni fossero ritenute non pertinenti, o non “degne” di considerazione e di dibattito, il che sicuramente ci sta, e voglio accreditare questa ipotesi o eventualità, o quantomeno non escluderla (anche se ho cercato di sviluppare le mie riflessioni intorno a quanto si legge nella nota, guardando cioè di restare in tema, ma potrei essermi benissimo sbagliato).
In ogni caso, a quei lettori di Redacon che non conoscessero il meccanismo che prelude all’invio di un commento, vorrei far presente che l’uso di una sigla, anziché firmarsi con nome e cognome, non significa affatto volersi nascondere dietro l’anonimato, posto che la Redazione è ben informata sulle mie generalità, essendomi preventivamente registrato, generalità che vengono peraltro rinnovate ogni qualvolta si trasmette un commento.
P.B. 26.12.2018