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SocialMonti/ Scritte sui muri perché?

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SocialMonti

Questa rubrica vuole essere un luogo di spunti per stimolare una riflessione corale e collettiva su temi di attualità. L’idea è quella di partire dal nostro territorio verso cerchi più ampi, o vice versa ascoltare gli echi lontani e portarceli vicini.

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Comparsa a un bivio del comune di Casina, Reggio Emilia, questa scritta offre lo spunto per riflettere su un fenomeno diffuso. Quello degli "scrittori" pubblici. Ma prima di tutto occorre distinguere tra scherzi goliardici, vandali, bombolettari, graffitari e street art writers, artisti veri e propri.

Chi deturpa strade, muri, edifici e monumenti compie gesti incivili. Al punto che i vari comuni hanno stabilito ammende nei confronti di chi è sorpreso a imbrattare.

La scritta apparsa a Casina

Da dove nasce il desiderio o la pulsione di sporcare, segnare, incidere i luoghi pubblici?

Alcune scritte sono spiritose e graffianti, ironiche. Altre rivendicano ideologie, o dichiarano sentimenti, riportano un pensiero, una citazione, gridano promesse. Altre ancora restano soltanto volgarità gratuite.

Da un lato lo scrivere e dipingere sui muri è diventato una forma d'arte, di arredo urbano, creando una sub cultura metropolitana per abbellire il grigiore del cemento. A tal punto che nelle città i writers vengono invitati dagli amministratori a decorare appositamente aree dismesse, costruendo una narrazione ibridata tra passato e presente. Nelle nostre zone, pensiamo ai murales di Trinità, nel comune di Canossa, o a Felina ai ritratti giganti del dismesso cinema Ariston, o sui muri del vecchio bar Centrale prima del restauro. Da un altro lato, quando l'atto viene fatto in maniera vandalica, sprezzante, nottetempo, con il solo scopo di offendere, trasgredire, imbruttire, deturpare fine a se stesso, possiamo parlare di vero e proprio wallbulling, bullismo scritto sui muri.

Che siano spiritosi, ironici, trasgressivi, ribelli o una vera e propria forma d'arte, i graffiti  in luoghi pubblici indicano, in chi lo fa, il bisogno di lasciare un segno, di manifestare pubblicamente qualcosa. C’è un impulso a dover dire, a voler emergere. Se il bisogno di esprimersi può essere riconosciuto, il come e il dove restano comunque, nei casi di vandalismo, disfunzionali. E spesso anche il cosa. Ciò che è da valutare e tener presente è il perché.

Un conto è un gesto creativo, rispettoso ed etico,  come forma d'arte.

Poi ci sono i vandali.

Imbratto perché temo di non esistere? Mi sento nessuno? Forse non ho sponde che mi abbiano insegnato a usare il buon senso, il rispetto di me e delle cose? A quanto pare non ho il senso della cosa pubblica, che è di tutti. Vi faccio vedere che burlone che sono, che figo. Se scrivo volgarità, lo faccio nella speranza di emergere in qualche maniera? Al pari di altre forme di bullismo, non posso e non so emergere altrimenti, non posso diventare un eroe. Allora mi candido a diventare un anti eroe, magari divento virale, mi postano, mi filmano, mi condividono, prendo like e emoticons. Almeno mi notano. Ci spero.

Non importa se in maniera negativa, oscena, beffarda, grottesca. Perché non ho una percezione di me che mi faccia sentire bene, non ho un’impresa eroica, socialmente applaudita. Perciò cerco l’applauso a rovescio, offendendo il senso civico, praticando inciviltà, in maniera narcisistica per poter almeno raccogliere uno sguardo.

Talvolta gli striscioni possono diventare una forma di protesta sociale e di comunità. Tempo fa erano comparsi striscioni di protesta contro la chiusura del punto nascite dell'ospedale Sant'Anna. Ma se c’è un’etica, si può protestare senza rovinare. Si possono fare lotte sociali anche esponendo per strada, nei negozi il proprio pensiero.

Invece rovinare per protestare o sperare di far ridere serve solo a dimostrare la solitudine, l'inconsistenza di chi lo fa. La persona affetta dalla sindrome dell’invisibile, diventa in maniera distorta visibile attraverso il suo gesto deturpante. Tuttavia resta nell'ombra di se stesso, condannato al non rispetto di sé e del mondo.

(Ameya Canovi *)

*Ameya Gabriella Canovi è PhD, docente e psicologa, si occupa di relazioni e dipendenze affettive. Da poco ha terminato un dottorato di ricerca in ambito della psicologia dell’educazione studiando le emozioni in classe. Ha un sito e una pagina Facebook “Di troppo amore”.

1 COMMENT

  1. Io non sono in grado di sapere o presumere cosa passi per la testa in chi imbratta i muri, né so se il “rovinare per protestare o sperare di far ridere serve solo a dimostrare la solitudine, l’inconsistenza di chi lo fa”, ma se la memoria non mi tradisce vi furono anni in cui potevamo leggere qua e là quanto veniva scritto nottetempo per criticare o dileggiare determinati partiti o esponenti politici (verosimilmente non graditi a detti “scrittori pubblici”).

    Tali iniziative non mancavano di estimatori, i quali – noncuranti del fatto che potessero venir sporcati muri, portoni, serrande, ecc… – approvavano di fatto quelle forme di protesta, viste quali moderne “pasquinate” verso cui poter simpatizzare, come succedeva qualche secolo fa, quando si ricorreva a questo espediente per “bacchettare” il potere del tempo (pur se allora la satira era espressa su manifesti o cartelli, cioè senza recar danno).

    Non mi sembra poi sempre facile distinguere tra scritte “spiritose e graffianti, ironiche” ed altre che “restano soltanto volgarità gratuite”, perché – lasciando fuori gli artisti veri e propri, che riscuotono ampio se non unanime gradimento – il nostro giudizio può risentire delle rispettive “sensibilità”, e anche delle rispettive propensioni ideologiche, che ci fanno semmai apprezzare quanto per altri merita invece tutt’ altro ed opposto verdetto

    Col senno del dopo poteva forse valer la pena di censurare e scoraggiare fin da subito l’abitudine di scrivere sui muri senza invito o permesso dei proprietari, per non ritrovarci poi a fare i conti con quel che ora lamentiamo, ossia il veder deturpare “strade, muri, edifici e monumenti”, ma del resto pare che più d’uno si stia oggi ricredendo sul troppo “permessivismo” che a detta di molti ha segnato una certa nostra epoca (in più di un campo).

    P.B. 18.11.2018