Le abbiamo lì, davanti gli occhi, giorno dopo giorno. E non ci facciamo più caso. Personalmente posso parlare del mio luogo di nascita, ma penso che ogni valle, ogni altura, ogni borgo abbia altrettante “emergenze” da raccontare, da fare conoscere e di cui essere orgogliosi. Ad esempio il Sasso Pizzigolo che, da quando ero ragazzo, è sempre lì, vicino a Felina, a salutare le persone di passaggio. È sempre lì, col suo alberello di frassino cresciuto sul fianco, che non cresce e non molla.
A un tiro di sguardo da dove sono nato c’è il Sasso della Prigione, un macigno che spunta solitario come un fungo tra i calanchi di Pietranera. Proprio da lui ha preso il nome la frazione. È lì, isolato, di natura vulcanica, come un calcinaccio abbruciacchiato. Ma proprio su quel macigno irregolare i Della Palude (che all’epoca spadroneggiavano nel territorio), costruirono un Castrum, una fortezza. La storia è maestra di vita? E allora via a riprodurre, in piccolo, la storia di Canossa, Rossena, Carpineti. Ma, come tutte le cose umane, anche il Castrum Prædæ ebbe una parabola relativamente breve: un paio di secoli. I nobili Della Palude scelsero una vita più comoda trasformando in corte l’ex convento, lì, a due passi. E sul sasso, tra i ruderi dell’ex fortino, realizzarono le prigioni. Gli anziani, ancora oggi, chiamano quel macigno il sasso della prigione, anche se oggi nulla lascia intravvedere celle o grotte.
Ma in zona ci sono altre pietre che mostrano il marchio della storia. A Borzano di Canossa le chiamano Pietre magiche. Sono blocchi di pietra vulcanica che emergono dai campi coltivati e portano incise alcune coppelle prodotte dall’uomo. Magiche per un alone di mistero che le circonda. Si può pensare che servissero per i riti religiosi dei primi abitanti del territorio. Le coppelle venivano riempite di resine e di notte accese in onore delle divinità.
Quasi a conferma nel 2016 il Cai di Reggio ha scoperto, (ed ora lo stanno studiando), un macigno con coppelle, canalette ed altri simboli in località Lulseto, poco lontano da Legoreccio e Crovara. Sicuramente ce ne saranno altri in giro per l’Appennino.
I popoli primitivi non avevano la scrittura ma avevano il cielo come atlante, provavano a riprodurre sulla terra, come in uno specchio, le costellazioni, e sceglievano i centri per il culto sulle alture, il più possibile vicini al cielo e a vista tra di loro. Sarà solo fantasia o reminiscenze ancestrali immaginare, in occasioni delle feste notturne, una scia luminosa che partiva dal territorio parmense, sopra Scurano, e collegava Borzano, Lulseto, Monte Piano, Bismantova? Sotto altra angolazione religiosa succedeva ancora nella mia infanzia in occasione dei falò del Sabato Santo: un brulicare di punti luminosi come se le stelle, per un attimo, si fossero posate sulla terra per riposare.
Molto belli , come sempre del resto, questi tuffi nella memoria storica dei nostri territori.
Ivano Pioppi