Abbastanza di recente, sulle pagine di un quotidiano, mi è capitato di leggere l’opinione espressa da un lettore riguardo alla legge dell’aprile 2014 che ha cambiato il volto delle Province, rendendole organismi non più elettivi, una revisione che egli non ha per niente condiviso al punto da auspicarne oggi il ripristino, ossia il ritorno alla loro forma originaria, anche alla luce del Referendum del quattro dicembre 2016, che ha respinto e bocciato la loro eliminazione (del resto sono in più d’uno a ritenere che non si dovesse “metter mano” alle Province prima di sapere se la Riforma costituzionale sarebbe andata in porto, e dunque prima di conoscere l’esito di detto Referendum).
Nel motivare la sua tesi quel lettore ha incluso pure un’argomentazione che a me pare tutt’altro che irrilevante e trascurabile, ossia il considerare le Province di un tempo come importante elemento di equilibrio e mediazione nel “dualismo” che talora intercorre tra la Città e il restante territorio provinciale, dove la prima può fare la “parte del leone” se mancano per l’appunto adeguati contrappesi e bilanciamenti, e anche fattori o punti di compensazione, che potevano riuscire verosimilmente più naturali per un organismo ad elezione diretta e di larga rappresentanza, luogo di confronto e anche di scontro politico, e dotato quindi di indubbia potenzialità negoziale (come era allora il Consiglio provinciale).
Entità politico-istituzionali di “primo grado”
Le entità politico-istituzionali di “primo grado”, che sono cioè espressione diretta della volontà popolare, possono, infatti, esercitare un ruolo di reale ed efficace intermediazione, e riequilibrio, tra le specificità e le aspettative dei diversi distretti territoriali, e se vengono a mancare può succedere che i distretti economicamente e demograficamente più forti strappino una maggiore attenzione, ed assorbano quote proporzionalmente maggiori di risorse ed investimenti, mentre quelli più deboli si trovano invece ad essere “trascurati” e penalizzati, e così salta il principio della pari dignità tra l’uno e altro comparto territoriale, un principio che in questi anni abbiamo sentito spesso evocare, se non esibire e “sbandierare” come dovuto e irrinunciabile.
Verrebbe poi da aggiungere che restano piuttosto inspiegabili le ragioni per cui, mentre da un lato si sente parlare insistentemente di “aree vaste” - quali ambiti a dimensione sovracomunale o intercomunale ritenuti ottimali per le azioni di pianificazione e programmazione territoriale - dall’altro ci si è voluti privare di un Ente amministrativo che rispondeva già a tale caratteristica e requisito, peraltro ampiamente collaudato nel corso dei decenni, come era giustappunto la Provincia di un tempo, per sostituirla con altre e nuove aggregazioni territoriali che non hanno alle spalle alcun “retroterra storico”, e sono pertanto da far conoscere e da sperimentare (con tutte le relative incognite).
Un interrogativo senza risposta, ma….?!
In questi giorni mi sono tornate alla mente quelle riflessioni, del lettore di cui dicevo, dopo aver visto riemergere il problema del S. Anna, vuoi per il Punto Nascita vuoi per i ricorrenti timori circa un suo eventuale depotenziamento, e mi sono chiesto se le cose sarebbero andate allo stesso modo qualora fossero ancora in vita le Province di una volta, e pur sapendo che un interrogativo del genere resta a “mezz’aria” e senza risposta, non ho potuto fare a meno di immaginare che se il Sant’Anna venne allora concepito come uno dei tre poli ospedalieri, insieme a Reggio e Guastalla, oggigiorno poteva forsanche prospettarsi una qualche altra soluzione, rispetto a quelle adottate, vista la peculiarità che era stata riconosciuta al nosocomio montano.
La “morale” che mi sembra di poter trarre da tutto questo insieme - forse sbagliando, ma le idee ed i pensieri non si possono imbrigliare - è che si dovrebbe andar prudenti e cauti nel modificare e sostituire l’esistente, specie quando funziona, né cadere nella tentazione di volerci trasformare e “rinnovare” ad ogni costo, col pretesto che il mondo cambia e occorre quindi stare al passo coi tempi, e ciò dovrebbe valere in ogni campo, memori del vecchio adagio “chi lascia la strada vecchia per la nuova sa quel che perde ma non sa quel che trova”, e noi sappiamo come i proverbi dei nostri nonni non siano nati a caso, e abbiano di sovente un fondo di verità, e non siano privi di saggezza.
P.B. 01.03.2018
Ne parlavo anche stamattina con mia moglie, i nostri figli sono nati a castelnovo monti (la più grande ha 7 anni) ma la maggior parte dei nostri conoscenti, e cmq parliamo di un numero di nascite sicuramente inferiore rispetto a 10/15 anni fa,, hanno partorito in città contribuendo quindi nelle statistiche dei nati in montagna. Con ciò voglio dire che anche noi potevamo fare di meglio e non è sempre tutta colpa degli altri.
(Dc)