Home Cronaca Le associazioni ambientaliste reggiane ci inviano una nota sulla diga di Vetto

Le associazioni ambientaliste reggiane ci inviano una nota sulla diga di Vetto

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Sul progetto della diga di Vetto, concepito per superare le locomotive a vapore di metà Ottocento, ed elettrificare la linea padana, esortiamo gli accesi adoratori di buche più o meno vaste, a qualche verifica diretta per constatare il paradosso che una diga di norma risulta ben piena nei momenti di massima piovosità, e tragicamente vuota a fronte di necessità estive. Il che non la rende obbligatoria soluzione per l’intero quadro delle esigenze sociali, dai pediluvi, alla laminazione delle piene, alla irrigazione canicolare.

Sono sufficienti infatti alcune escursioni a breve raggio per vedere come funzioni un modello decantato come indispensabile, partendo dalla modesta Traversa di Castellarano sul Secchia, che a poco è servita a moderare un’ondata di piena riversata oltre le casse d’espansione sotto la Via Emilia, circondando persino l’A1. Essa è risultata appena in un trentennio per la gran parte colmata da trasporti solidi (http://www.anbiemiliaromagna.it/?p=536), costringendo a giganteschi lavori iniziati nel 2009 e non ancora conclusi (nel solo triennio 2016-18 assorbono quasi 400.000 €). Tali sedimenti, impossibilitati a distribuirsi secondo logica naturale lungo l’intera asta fluviale, hanno poi causato disastrosi effetti sui manufatti, dalla briglia di S. Michele dei Mucchietti sino al ponte Veggia-Sassuolo (con ripristini per decine di milioni) (http://www.provincia.re.it/page.asp?IDCategoria=703&IDSezione=5243&ID=97055), senza evitare le gigantesche incisioni fino a 15m. sulle argille di fondo alveo. Queste rivelano che il corso d’acqua è totalmente morto, non in grado di assorbire attraverso il materasso fluviale quantità notevoli di liquidi, che rimpinguano le falde, essenziale, gigantesco e invisibile bacino di acque preziose.
Non diverso sarebbe l’effetto causato dalla ingente massa solida trasportata dall’Enza (1 milione di metri cubi l’anno, secondo il Prof. Luigi Vernia, dell’Università di Parma), e dalla quale dipendono non solo la durata a piena funzionalità dello sbarramento, ma altresì dei manufatti a valle, come traverse e ponti, resi instabili dal mancato apporto litoide. Si ricordino infatti le opposte dichiarazioni del Sindaco di Canossa, timoroso di un sovraccarico di accumuli a ridosso della Traversa di Cerezzola, e le fortissime preoccupazioni dei colleghi a valle di S. Polo, a proposito della tenuta dei ponti verso il parmense, proprio in occasione della recente alluvione.

La quantità di trasporto solido dell’Enza è stata misurata (loro malgrado) dagli abitanti di Lentigione all’interno dei loro edifici, e ad essi esprimiamo tutta la nostra solidarietà quali vittime di una mancata gestione del corpo idrico, a partire da una superficiale gestione delle casse d’espansione di Montecchio, che ribadiscono come gli spazi di esondazione avrebbero dovuto essere totalmente vuoti durante la stagione piovosa. Siamo convinti che non si faranno illudere dai proclami di salvifiche funzionalità di un grande bacino a monte: è noto come la gestione degli invasi costringa, a fronte di previsioni meteo con forte precipitazione, a repentini rilasci per evitare catastrofici sfioramenti dello sbarramento; operazioni che difficilmente possono corrispondere ad un puntuale allertamento, e comunque contribuiscono ad accrescere le onde di piena, come è storicamente documentabile anche a scala minore sull’Enza molto a valle del modesto lago Paduli del Lagastrello (http://www.redacon.it/2010/08/28/lagastrello-finalmente-lenel-rilascia-acqua-dalla-diga-ma-il-deflusso-e-troppo-scarso-per-garantire-la-vita-alle-sorgenti-del-fiume/).

Dato poi che si dovrebbe ragionare non a senso unico, e con il solo sguardo puntato alle esigenze discutibili ed assolutamente spropositate di un’agricoltura che oggi assorbe il 70% dei consumi idrici, mentre il World Water Assessment Programme dell’Unesco attesta che l’acqua incorporata nel cibo a fine produzione impegna una percentuale superiore all'80%, non vanno dimenticati gli aspetti di sicurezza delle popolazioni sottostanti l’ipotizzato manufatto, coi rischi sismici connessi alle due faglie attive collocate esattamente sotto il rilevato di contenimento. In una provincia duramente segnata da recenti eventi sismici fuori previsione, sarebbe almeno il caso di evitare situazioni tragicomiche, come l’avvio di un rilevamento, finanziato dalla Regione per 110mila €, per prevenire il rischio sismico nei territori comunali dell’Unione Valdenza, mentre lo stesso soggetto dà vita a meccanismi di esasperazione degli effetti di sismicità locale, scientificamente documentata nella totalità degli invasi esistenti a causa delle oscillazioni di pressione delle masse liquide (https://www.focus.it/scienza/scienze/fabbriche-di-terremoti; http://www.meteoweb.eu/2017/01/terremoto-faglie-dighe-sicurezza/840921/).

Quanto poi alla cieca credulità rispetto alla immediata disponibilità di quantità illimitate di acqua nei periodi estivi, sarà sufficiente contemplare le immagini relative all’estate 2017, con orribili panorami di ripe scoscese, franose, spoglie e destrutturate in invasi più volte decantati, quale il Bilancino nel Mugello (http://multimedia.quotidiano.net/?tipo=photo&media=32511), con l’Arno ridotto a un qualsiasi rigagnolo emiliano, pur senza prati stabili. Per non dire della situazione nel territorio romagnolo, dove si è verificato il clamoroso paradosso, che consiglia strategie multiple di intervento oltre i soli invasi, visto che per “Gli effetti della siccità: la diga di Ridracoli ha sete” (http://www.forlitoday.it/cronaca/situazione-idrica-diga-ridracoli-fine-ottobre-2017-siccita.html); situazione che esaspera un fallimento strategico, dato che “Dal 2000 sono stati ben cinque gli episodi di prolungata siccità (2003, 2007, 2011, 2012 e 2017)” (http://www.meteoweb.eu/2017/10/siccita-allarme-per-la-diga-ridracoli-linvaso-e-sceso-sotto-i-10-mln-di-metri-cubi-di-acqua/979166/#UTL0cyKk7wUVoPDL.99).

Dunque è solo rispettando i concetti base dell’ecologia, come hanno dimostrano gli effetti di una mutazione climatica prevista con largo anticipo dall’ambientalismo, che auspichiamo una gestione naturale e non distruttiva del bacino dell’Enza, da millenni territorio prezioso, ricco di biodiversità e di civiltà umane, immeritevole di sottomissione alle attuali logiche economiche e produttivistiche di sicura e negativa ricaduta.

(Le associazioni ambientaliste reggiane)

 

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