E' Alba Ferri la signora 94enne morta tragicamente nel rogo di Santonio di Villa Minozzo. Una figura che non è per nulla esagerato definire “eroina” della guerra di Resistenza. Aveva vent’anni nel 1943 quando, giovane energica e determinata, pone mano al salvataggio dei soldati che ritornavano dai reparti disfatti dell’Esercito o dei prigionieri alleati fuggiti dai campi di concentramento.
Da lì, breve il passaggio a diventare staffetta partigiana, vicina soprattutto a quei partigiani che sempre più vanno stringendosi attorno al dottor Pasquale Marconi e a don Domenico Orlandini “Carlo”. Quando Marconi, liberato dai tre mesi di carcere, nel giugno 1944 raggiunge le formazioni partigiane nel Villaminozzese, Alba è la sua vivandiera. Lei che tutti i giorni, tra i pochi a sapere dove si nascondesse, gli porta da mangiare e gli fa avere quanto da lui via via richiesto.
Nella lotta al nazi-fascismo, Alba è attiva quanto suo fratello Dino, vice brigadiere dei Carabinieri, che, dopo la disfatta del luglio 1944, comanda uno dei tre distaccamenti garibaldini – il “Matilde di Canossa” – che si uniscono a don “Carlo” per dare inizio alla Brigata “Fiamme Verdi”. Un secondo distaccamento è comandato da Dante Zobbi “Rinaldo”, che lo ha intitolato a don Pasquino Borghi, il suo parroco di Tapignola, di cui Dante era stato il “numero uno” per fedeltà ai suoi ideali e alle sue iniziative.
Proprio negli ultimi giorni di guerra c’è un episodio che dice tutto – ideali, azioni, formazione cristiana e patriottica – di Alba. Al termine della battaglia della “Santa Pasqua” di Cà Marastoni (1 aprile 1945), quella stessa narrata da Giuseppe Dossetti all’Assemblea Costituente, quando già sta calando la sera, occorre raccogliere i cadaveri. Alba si presta. Con un biroccio trainato da un paio di vacche gira il vasto territorio che ha visto lo svolgersi del combattimento e si accinge alla pietosa funzione. C’è fretta e l’uomo che l’accompagna non si fa scrupolo di issare i cadaveri di quei giovani per i piedi. Alba lo ferma. «No – gli dice» e, abbracciando il giovane caduto, lo solleva delicatamente, gli sorregge la testa e lo deposita con cura di sorella sul carro.
La guerra partigiana unisce Alba e Dante che, alla fine del conflitto, si sposano e ritornano alle “opere della pace”: la famiglia il lavoro dei campi, dapprima nell’avara terra di Santonio, poi a Codemondo e, di nuovo a Santonio, in quella casetta che ha visto gli ultimi anni della loro vita.
Va detto che pochi hanno scritto di Alba. Non aveva amici giornalisti o scrittori. Come Dante, non amava ostentare i suoi meriti. Durante la guerra era una semplice ragazza di montagna, pronta ben più a dare che a ricevere. Eppure è grazie anzitutto alla presenza tanto silenziosa quanto attiva di queste ragazze, di queste donne, senza acredine, senza odio, se il partigianato ha potuto essere accolto in montagna e accompagnare il paese alla libertà. Una storia ancora in gran parte da scrivere. Almeno per Alba.
(Giuseppe Giovanelli)