Il CAI (Club Alpino Italiano) dell’Emilia Romagna, su mandato dell’Assemblea Regionale dei Delegati riunitasi a Porretta Terme il 11 novembre 2017, ritiene doveroso esprimere il proprio disappunto per la chiusura di tutti i Centri Nascita collocati nella fascia appenninica emiliano-romagnola.
La decisione scaturisce da una legge nazionale che fissa in 500 parti annui il numero minimo per garantire adeguati standard di sicurezza, ferma restando la possibilità di deroghe concesse dalle regioni.
Deroghe che in Emilia Romagna sono state concesse ad altre strutture ma non a quelle appenniniche.
Del resto il problema esiste per tutte le aree di montagna del nostro Paese, dove una minore la popolazione, acuisce il problema generale della diminuzione delle nascite.
Ma, come ai soci del CAI è noto, è più che evidente la differenza tra aree di montagna ed aree maggiormente antropizzate, tanto che paiono ingiuste norme volte a trattare in modo uguale aree diseguali.
La nostra ultracentenaria associazione, che conta solo nella regione 17.000 soci, è da sempre impegnata nella promozione della frequentazione consapevole della montagna, nella divulgazione delle migliori pratiche per minimizzarne i rischi, nella conoscenza scientifica e nella tutela del territorio delle cosiddette “terre alte”, nella cura di quella grande infrastruttura del turismo sostenibile che è la rete sentieristica regionale.
E’ però consapevole che tutto questo enorme lavoro dei propri volontari sarebbe assai indebolito, se non addirittura vanificato, senza politiche di salvaguardia e di incentivazione della presenza dell’uomo e delle sue comunità in questi territori. Politiche di ampio respiro che spettano innanzi tutto alle Istituzioni ed alle loro emanazioni, alle quali il CAI guarda con interesse o preoccupazione, senza voler interferire, almeno per quelle parti che non chiamano direttamente in causa le proprie competenze e la propria lunga esperienza.
E’ il caso in esame: non abbiamo le competenze per entrare nel merito di scelte compiute a diversi livelli, tuttavia per la nostra precisa missione statutaria non possiamo rimanere indifferenti ad una scelta che, comunque la si voglia valutare sotto il profilo organizzativo, impoverisce l’area montana della nostra regione. Ogni sottrazione di servizio al territorio montano e alle sue comunità non aiuta il loro rafforzamento né, conseguentemente, il consolidarsi di un territorio che non può essere trattato alla pari di altre aree più servite.
Del resto, la scelta compiuta nella regione Emilia Romagna è in evidente contraddizione con altre rivolte a tutelare e valorizzare le aree montane, come le politiche delle aree protette o l’istituzione delle aree MAB Unesco. Una contraddizione che, anche per la peculiare caratteristica e delicatezza dei servizi soppressi, disorienta le comunità appenniniche e indebolisce il loro sforzo di rimanere “aggrappate” al territorio. E, come a volte ci pare essere ormai un concetto acquisito (ma forse siamo troppo di parte), se si indebolisce la montagna si indebolisce l’intero Paese.