Ci sono parenti da andare a trovare a Genova, emigrati negli anni passati o di recente.
A metà maggio abbiamo viaggiato verso Tortona per attraversare l’Appennino lungo la valle dello Scrivia dove ci accompagnava la visione ininterrotta della macchia cupa del bosco sui fianchi dei monti, nel fondovalle qualche centro rimasto appeso ai residuati dell’industria, come a Busalla i grandi bidoni del petrolio. Visione di un ambiente da cui scappare alla svelta.
Al ritorno con Deanna si è fatta la via più breve lungo la costa e dopo il valico del Cerreto compariva un Appennino del tutto diverso, perché scendendo su Bismantova, in mezzo allo scuro degli alberi, s’allargava lo spazio dei campi con un verde chiaro che in questi giorni ingiallisce in modo differente per il grano e per il prato.
La campagna cambia di continuo, rigata dal fieno, costellata dai balloni, diventa bionda per le spighe o per la paglia, poi dall’estate all’autunno l’aratro solleva dal terreno le tonalità di grigio, marrone e rosso, come avviene per le foglie di piante da potare o da tagliare nell’inverno e in primavera mentre il campo ricomincia a verdeggiare.
Il paesano raccoglie nuova ricchezza da terra e sole e la distribuisce, ma non riceve gratitudine per lo sfornare variazioni stagionali di paesaggio. Il cittadino si sente orgoglioso di averlo incontrato e chi amministra pensa ad investire sul visitatore di passaggio. Va di moda inneggiare alle biodiversità marginali e si trascura di lodare quella più preziosa della famiglia contadina che mantiene tutta la comunità montanara e attira quella cittadina.
Ci sono giovani che sentono la profondità di questa differenza e per fuggire dalla città di Genova sempre meno vivibile provano a coltivare l’Appennino abbandonato dell’entroterra ligure-piemontese. Eleonora e Vittorio hanno coraggio ad affrontare una salita dura (che a me sembra acrobatica), ma noi tutti faremmo bene a investire per trattenere i giovani montanari invece di adoperare i media, la scuola e la rete per farli scendere alla cieca. Questo è un Appennino migliore perché curato da generazioni contadine, adesso sono a rischio di estinzione e mentre la Repubblica si trova più sfondata sul lavoro si pensa alla priorità del diversivo: è tutto lì il futuro?
Enrico Bussi, Associazione Rurali Reggiani
Leggo con piacere questo racconto poeticamente dilettevole, che mi porta a ricordare la bellezza della mia felice vita contadina e l’amore alla terra che tanto ci dona in cibo e bellezza. Saluti.
(Angiolina Casoni)