CROVARA (Vetto, 11 marzo 2010) – Se ne va, per sempre, l’ultimo parroco che, nei secoli, aveva dimorato a Crovara, a due passi due dall’antichissima chiesa eretta al cospetto del famigerato castello dei conti Da Palude, del quale, oggi, restano solo ruderi memori del fasto che fu.
Don Angelo Rabitti si è spento nella notte tra mercoledì e giovedì nella casa del clero di Montecchio, cui era giunto dopo avere soggiornato gli ultimi anni presso la pieve di Castelnovo Monti, amorevolmente accolto da don Evangelista Margini.
Era cavaliere per decreto del presidente della Repubblica, don Angelo, e su questa onorificenza, sin alla soglia degli 89 anni, aveva scherzato con una frase che ripeteva spesso, anche se non in rima: “non sapendone che farsene del povero curato… lo fecero cavaliere”.
L’annuncio della morte è stato dato dalla nipote Oria e dalle pronipoti Cristina e Stefania.
Uomo mite, era nato a Villa Argine, e nel 1944 era stato ordinato sacerdote. Aveva prestato la sua opera come vicario cooperatore, prima a San Pellegrino, dal 1944 al 1947, quindi fino al 1957 a Prignano sulla Secchia, anno in cui fu nominato parroco nel Vettese, a Crovara proprio a ridosso, quindi dal 1972 gli fu aggiunta anche la parrocchia di Piagnolo di cui rimase parroco sino a quando le condizioni di salute glielo consentirono. Negli ultimi anni aveva altresì coadiuvato don Carlo Castellini, ex parroco vettese, nell’unità pastorale che ora conta un solo sacerdote per tutto il comune.
Don Angelo negli anni Novanta era balzato agli onori della cronaca per avere puntato il dito contro il rally dell’Appennino reggiano che, a quei tempi, in notturna disturbava non poco la quiete di una delle vallate più ricche di fascino e mistero della nostra montagna. Lui si era ostinato a rimanervi lì. Rammaricandosi non poco quando, durante un ricovero, i ladri trafugarono nientepopodimeno che l’altar maggiore dalla sua chiesa. La soluzione? Prendere con sé un’altra persona nella casa del contadino adiacente alla canonica in cui non difettava lo spazio. Arrivò così Mustafà, un mussulmano che, per diverso tempo, scoprì la vita a tra una chiesa (cattolica) e un castello, dove nel XIV scorazzava Giacomino Dalla Palude, conte avido di tasche (e… gole) dei viandanti.
Eppure quell’incontro fece scalpore.
A chi scrive, don Angelo confidò: “Stefano, come lo chiamiamo noi, è un ragazzo in gamba. Ogni giorno si reca a lavorare al caseificio di Vedriano, dove aiuta il casaro a lavorare il grana. E’ gentile, rispettoso e parla bene l’italiano” Non cerca proprio mai di convincerlo a cambiare religione?
“No, no – si affrettò a rispondere premuroso il sacerdote – personalmente non ci penso. Magari se avrà la fortuna di rimanere qui e se si troverà bene col tempo avrà modo di capire molte cose” E rimaneva stupito nell’osservare quel vicino che “quando nevica guarda in aria per un bel po’…”
La salma è esposta alla casa del clero S. Giuseppe di Montecchio Emilia. I funerali si terranno domani, venerdì 12 marzo, alle ore 15,30 al santuario della Madonna dell'Olmo di Montecchio. Quindi don Angelo riposerà per sempre al cimitero di Villa Argine di Cadelbosco anche se, ne siamo sicuri, al “nostro” sacerdote rimasta nel cuore la terra consacrata delle sue parrocchie.
Però, ad osservare bene, ora è in cielo accolto dall’abbraccio fraterno di don Vasco Casotti, don Eusebio Costi e don Ugo Petrolini che, da queste parti, con lui condividevano le sagre di paese come a Tizzolo, Rodogno, Sole,…
Storie non troppo lontane di un tempo che sa di nostalgia.
Don Angelo, dal cielo tieni acceso il faro di Crovara
Sono un parrocchiano della vicina chiesa di S. Stefano, ma ho conosciuto Don Angelo fin da quando, bambino, lo vedevo transitare dal Castellaro. Ho avuto modo di parlare con lui mentre a volte andavamo assieme a Rosano o a Castenovo: il camminare a piedi aiuta il dialogo. Mi sono spesso chiesto come potesse vivere e svolgere la sua funzione pastorale in quella minuscola frazione della pur piccola Legoreccio (in dialetto @CAl Gress#C) in una canonica stretta fra il cimitero, i ruderi del Ghibellino castello dei Conti della Palude e la chiesa, pericolante, dedicata a San Giorgio.
Credo francamente che non fosse facile vivere e svolgere la funzione pastorale in quel solitario sperone (quasi lugubre) che, pure, un tempo era stato un centro importante del nostro Appennino. Penso, dandomi una personalissima risposta, di aver capito che la serenità del suo animo, la modestia, l’ostinazione, la caparbietà, ma soprattutto la sua fede siano stati i motivi per cui è rimasto a vivere in quella parrocchia. Una fede che è stata testimonianza di presenza attiva. Un vero parroco che fra l’altro lasciava sempre accesa la luce della canonica per segnalare la sua presenza come fanno i fari nei porti. Un porto dove chiunque, anche se musulmano, avrebbe trovato aiuto. A quelli che conoscono la storia di Crovara, ma soprattutto a quelli che conoscono l’importanza che ha avuto nei tempi passati un invito ad una preghiera per Don Angelo affinché dal cielo vegli su quello che un tempo fu un centro importante del nostro territorio e che l’incuria delle istituzioni, della gente e del tempo hanno reso più desolato un vero luogo di testimonianza del passato.
Forse da lassù potrà proteggere Crovara e far riaccendere il faro. Anche questo è un segno dei tempi.
(C.V.)
Don Angelo, un bellissimo ricordo del Conte
Amava definirsi il conte Della Palude, perchè tutto solo, o quasi, regnava su quel pezzo di mondo che tanta storia aveva scritto e fatto scrivere. Ho un bellissimo ricordo di lui, che alle elementari mi faceva catechismo; credo sia un esempio di vita un uomo di fede, un uomo semplice e puro. Riporto un pensiero di Renato Di Magenta che lo conosceva e in estate veniva ad Ulseto a trascorrere le ferie. Quando l’ho letto ho ritrovato Don Angelo e la sua fiera sensibilità. “Mi ricordo sempre la squisita cordialità di quando, dopo la messa, ci invitava nella casa canonica: “VENITE CHE VI OFFRO QUALCOSA”. Apriva il frigo e non c’era praticamente NULLA. Allora prendeva uno sciroppo fatto con le amarene, ci metteva un po’ di acqua e ci faceva bere questa bibita offerta con il cuore” …Era Don Angelo.
(Paolo Maria Ruffini)
Un uomo di fede
Ho tanti motivi per ringraziare Gesù della testimonianza di don Angelo, vero pastore secondo il cuore di Dio. Ma il primo e fondamentale motivo è l’insegnamento della sua spiritualità, basata sull’affidamento semplice del bambino, la figura umana che Gesù stesso ci addìta a modello: “Se non tornerete come bambini non entrete mai nel Regno dei cieli”. La bontà di questa spiritualità è attestata dalla durata del suo ministero sacerdotale: se uno dura così a lungo in condizioni così difficili vuol dire che ha un Fondamento di fede davvero solido, come e più della Rocca di Crovara! La Fede la si prova alla fine. Sia che uno si sposi sia che si consacri, non contano gli entusiasmi degli inizi, non conta l’equilibrio della vita adulta, conta la perseveranza finale.
Don Angelo è stato il mio maestro nei primi mesi e anni del mio parrocato a Vetto, spesso andavo da lui e e sempre venivo via rincuorato, rafforzato, rasserenato. Ho avuto la conferma che il sacerdozio è un Dono e un Mistero, cioè un’opera di Dio che supera enormemente le capacità, i meriti e la comprensione umana. Al di là delle sue indubbie capacità umane, di rapporto semplice, diretto, sim-patico con tutti, in don Angelo risplendeva ciò che dice Bernanos alla fine del suo “Diario di un curato di campagna”: “Tutto è grazia”. Con questo sguardo di Fede ora lo vedo Lassù, accanto ai suoi cari amici don Eusebio, don Vasco, don Danilo, don Ugo e con i suoi amati parrocchiani, che canta le lodi a Maria e a Gesù, Signore della vita e nostra dolce Speranza.
(Don Carlo Castellini)