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Il regalo di Annita e Giacomina

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Riceviamo e pubblichiamo.

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L’incontro dello scorso 21 gennaio, avvenuto presso il Centro culturale polivalente di Castelnovo ne' Monti con le partigiane Annita "Laila" Malavasi e Giacomina Castagnetti è stato un regalo. Un regalo perché hanno scelto di condividere una storia fatta di dolore, di perdite e di sacrifici. La "tempra delle donne di un tempo" ha fatto da padrona andando ad aumentare così, il valore e il coraggio di due donne che hanno vissuto sulla propria pelle le tragedie della storia. Mentre fuori il mondo continuava la sua corsa verso il futuro, all’interno della sala si riesumava un passato di guerra. E lì avveniva il miracolo della testimonianza. I presenti hanno potuto ascoltare le gesta di donne che, nonostante il peso degli anni, hanno ancora la voglia di raccontare e raccontare e raccontare. Nelle loro parole si poteva percepire lo spirito ancora forte delle giovani battagliere d’un tempo e, osservando i loro occhi, si poteva cogliere la fiamma della gioventù mai perduta. Hanno raccolto sguardi e parole di ammirazione da parte dei presenti e l’emozione ha stretto un nodo in gola a molti.

“Se non si parla di come si è vissuto da ragazzini non si capisce la formazione avvenuta sotto il fascismo. A ventuno anni si era già adulti e, nel momento in cui ci si affacciava alla vita, ci si è trovati costretti ad abbandonare tutto per la guerra”. Comincia così Annita Malavasi, soprannominata Laila durante il periodo della seconda guerra mondiale, a raccontare il suo vissuto di donna partigiana. Cresciuta in una famiglia con tendenze socialiste, fin da piccola è consapevole che chi aveva ideologie diverse da quelle fasciste veniva punito con la violenza e con l’esilio. Cresce e diviene giovane donna partigiana sotto il dominio fascista. ”Durante il fascismo la donna era considerata un oggetto. I suoi unici scopi dovevano essere quelli di occuparsi della casa e di mettere al mondo dei figli. Gli stessi figli che Mussolini aveva intenzione di istruire alla guerra. Non aveva tutele e non godeva di nessun diritto, neppure nei confronti dei suoi figli: l’uomo decideva l’educazione e la donna doveva ubbidire. Inoltre, ai figli delle vedove l’educazione veniva impartita dai parenti maschi del marito. Nonostante in casa facesse tutto, oltre che confezionare vestiti, occuparsi degli animali da cortile e lavorare nei campi, non era considerata una forza lavoro. Era 'l’angelo del focolare’ e niente altro, quindi anche i beni accumulati dalla famiglia erano assolutamente proprietà degli uomini. Alle donne non spettava niente. Il diritto allo studio era un’esclusiva dei figli maschi: il padre investiva su loro perché, sposandosi, sarebbero rimasti in casa mentre la donna istruita sarebbe andata a beneficio di un’altra famiglia. Una donna che voleva studiare aveva poche possibilità: o faceva il classico o studiava per diventare maestra, ostetrica, infermiera. Una volta provai a dire a mio padre che volevo fare il medico e si scandalizzò profondamente! Non osava pensare che avrei potuto visitare degli uomini! ‘TACI TU CHE SEI DONNA!’; la donna non aveva diritto di parola se il suo pensiero era in contrapposizione con quello del marito".

"La politica fascista pesava particolarmente sulle donne. Ma anche sui giovani, che venivano perseguitati. Se non avevi le tessere fasciste non avevi il diritto a partecipare alle attività scolastiche come la ginnastica e i saggi di fine anno, così come perdevi il diritto a ritirare premi dei concorsi scolastici che avevi vinto. Diventavi un reietto. Anche il modo di vestire era rilevante e potevi essere punito solo perché avevi un colore di vestito che i fascisti non apprezzavano. Quando qualcuno veniva ripreso pubblicamente, le persone presenti difficilmente reagivano, per paura di essere punite a loro volta. Una volta andai a ballare con una cravatta rossa. I fascisti non apprezzarono il colore e mi dissero che se non l’avessi tolta mi avrebbero fatta andare a casa in sottoveste. Per me, che ero profondamente pudica, sarebbe stata una tragedia. Il mio cavaliere tentò di aiutarmi dicendo loro che l’avevo tolta, ma invano. Poi intervennero i carabinieri che riuscirono a calmare la situazione convincendo i fascisti a lasciarmi rimanere al ballo. Le persone presenti non ebbero il coraggio di fare nulla. Nel 1940 chiusero le sale da ballo. Il rapporto tra i giovani diventò epistolare. Poi i bombardamenti. Durante la guerra c’era da fare la tessera anche per mangiare".

"Soprattutto se volevi mangiare. A disposizione, c’erano due etti di pane al giorno per una famiglia intera. E allora i nuclei familiari erano numerosi! Si mangiava pane e minestra. Altre cose, forse, nei giorni di festa. Spesso l’olio, lo zucchero, il caffè non c’erano e, per averli, si doveva andare al mercato nero ma era difficile arrivarci e i prezzi erano alti. Ho cominciato la mia attività partigiana facendo scappare i giovani, fornendo i viveri, ecc. All’inizio non eravamo del tutto consapevoli del nostro operato. Poi i partiti, visto il nostro lavoro, ci dissero che dovevamo portare fuori anche le munizioni per l’esercito clandestino. Noi acconsentimmo, ma se ci avessero scoperte ci avrebbero ucciso. Così mio padre, che era al corrente dei nostri movimenti, imbottigliò le pallottole nel suo vino. La mia famiglia era antifascista ma non operava e non aveva un orientamento politico, così chiesero a me e ad una mia amica di operare per le forze clandestine. Mi resi conto che operavo come gli uomini e che su di me gravavano grosse responsabilità. Potevo essere perseguita. Nessuno sapeva quello che facevo, neppure il mio fidanzato, perché avrei potuto mettere a repentaglio la sua vita".

"Molte donne sono state sottoposte ad atroci torture. All’inizio ti umiliavano facendoti presentare nuda al loro cospetto e, per il pudore che avevamo, diventava ancora più aberrante. Oltre al danno anche la beffa. Il rischio di essere catturate era alto. Io portavo a volte documenti e munizioni ma soprattutto armi. Ai posti di blocco ti guardavano dappertutto e per riuscire a sfuggire ai tedeschi era necessario ingegnarsi. La più dura che ho vissuto da partigiana è stata quando ero in montagna perché faceva più freddo e c’era meno cibo. Nell’inverno del ‘44/’45 nevicò dal primo gennaio fino all’epifania! La neve aveva raggiunto il metro e venti e tutto quello che ci aspettava lo abbiamo affrontato con le nostre gambe. Le partigiane facevano da ‘battistrada’ per vedere se c’erano pericoli. Personalmente l’ho fatto anche quando abbiamo fatto saltare il ponte della Cerezzola, che era una zona pericolosa. Diversamente, ti comportavi come un partigiano imbracciando le armi. La vita in montagna aveva inciso talmente sul mio corpo che, quando tornai a casa, mia madre non mi riconobbe. Alla fine ho formato due gruppi in difesa della donne. I partiti ci spiegarono che alla fine della guerra avremmo dovuto lottare per i nostri diritti perché quando il fascismo è caduto è stata una festa ma le ideologie rimasero. Noi siamo state la colonna portante della resistenza partigiana! E ce l’hanno riconosciuto. È importante raccontare quanto, per i giovani di allora, sia stato difficile ottenere i diritti dei quali ancora godiamo. Soprattutto per le donne. Ora stiamo subendo un attacco alla libertà e alla democrazia ed è fondamentale, quindi, non perdere la memoria”.

Così continua Giacomina Castagnetti: “E’ importante tenere conto di come si viveva in epoca fascista. Sono nata nel 1925 e me la sono ‘goduta’ tutta! Sono cresciuta in una famiglia antifascista e, quando andavo a scuola, sulla lavagna trovavi scritto: IL DUCE HA SEMPRE RAGIONE. I bambini di tre anni diventavano ‘i figli della lupa’, poi ‘piccoli italiani’, ‘balilla’, ‘avanguardisti’ o ‘giovani fasciste’. Con tessera e divisa. Lo scopo era quello di militarizzare i giovani! Infatti, a scuola, oltre alle molte ore di attività fisica, ti davano olio di fegato di merluzzo per diventare più robusto. La teoria del fascismo era quella di bloccare le possibilità di confronto e di dialogo tra i giovani per mantenere intatta l’ideologia fascista. A ginnastica, non avendo la divisa, non potevo fare il saggio. Mia madre diceva che non avevamo i soldi per comprarla ma secondo me era lei che non voleva! Durante il periodo fascista non si poteva parlare male del duce. Quando i soldati italiani andarono in Africa, le donne, a detta del Duce, non si dovevano preoccupare dei loro figli e, per pagare la guerra, Mussolini fece requisire le vere a tutte le donne che ne possedevano una. La prima a consegnare l’anello fu la regina Margherita, ma chissà, però, quante ne aveva! Per le nostre madri era l’unico tesoro rimasto a simboleggiare l’unione della famiglia".

"Il colpo di grazia lo ricevetti quando fu arrestato mio fratello, nel ’38. Anche se era stato sempre un po’ turbolento, per me era la persona migliore che esisteva. Mentre per loro era una persona tra le tante da arrestare. Fu da lì che mi venne la voglia di iniziare a cambiare le cose. Poi c’era la tragedia della guerra. Per cinque anni abbiamo tenuto le finestre chiuse con la carta da zucchero perché, se avessero avvistato la luce, saremmo stati a rischio bombardamento. Le donne che hanno sentito il dovere di aiutare i giovani sbandati procurando loro cibo, vestiti e riparo, erano madri, sorelle, fidanzate e mogli! Furono loro le prime partigiane. Se non ci fossero state le donne sarebbe stato tutto diverso, più difficile. La clandestinità era da inventare, da supportare, da indirizzare, da capire e se questo è avvenuto è merito soprattutto delle donne. I partigiani non erano propagandati. Dopo la liberazione c’è stata discriminazione perché il ministero considerava partigiano solo chi aveva imbracciato le armi. Ma il lavoro delle donne partigiane era anche quello di comunicare, di raccogliere i vestiti, il cibo perché non c’era da mangiare. Le notizie correvano sulle ruote delle biciclette delle donne! Alla fine anche i tedeschi si resero conto del grande contribuito che delle donne! A quel tempo, non c’era niente ma quel niente, si cercava comunque di condividerlo. È importante dunque, non dimenticare”.

(testi raccolti da Mattia Rontevroli)

9 COMMENTS

  1. Incongruenza
    Riscontro alla fine del primo paragrafo dell’intervento di Giacomina Castagnetti un’incongruenza con quanto riportano libri e testi storici sulla “requisizione delle vere”. La testimonianza diretta ha un grande valore, beninteso, ma ciò va contro a tutto quanto riportato fino adesso e non credo si tratti di un dettaglio di secondaria importanza. Il 18 novembre 1935 l’Italia fu colpita da dure sanzioni economiche per la campagna d’Abissinia da parte della Società delle Nazioni (le stesse nazioni coloniali che fino a pochi anni prima avevano spadroneggiato in Africa). Esattamente un mese dopo, il 18 dicembre 1935, fu proclamata la Giornata della Fede, giorno in cui gli italiani furono chiamati a donare il proprio oro per sostenere i costi della guerra. Donare, magari con forti pressioni, ma non si è mai parlato di requisizioni forzate. Vorrei chiedere alla gentile Castagnetti: è stata testimone di atti di espropriazione violenta? Ciò riscriverebbe un piccolo ma importante pezzo di storia.
    Grazie.

    (Alessio Zanni)

  2. Per Alessio
    Aspettando una risposta alla tua domanda, ti rispondo con una testimonianza a riguardo.
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    Dicembre 1935. Raccolta delle fedi nuziali degli insegnanti. Non è un invito, è un ordine del segretario del fascio di Faenza: “Allo scopo di organizzare nel modo migliore la raccolta delle Fedi matrimoniali in oro (che deve avere carattere di plebiscito) prego le SS.LL. di provvedere alla raccolta delle Fedi stesse degli insegnanti dipendenti e di consegnarle (possibilmente alla presenza dell’intero corpo insegnanti) il giorno 18 c.m. al Tempio dei caduti.
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    Anche da noi si andò a gara nell’offrire la fede matrimoniale d’oro “per ricevere la ‘vera’ di acciaio benedetta dal Parroco col rito solenne delle nozze. Le offerte delle fedi con altri oggetti raggiunge nel nostro piccolo comune rurale il peso di 4 chili”.
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    “Mandavano a chiamare in municipio per dare la vera d’oro, non si era obbligati ma bisognava portarla e si andava in municipio a portarla. C’era una damigiana su un tavolo, noi davamo la vera e loro la mettevano dentro a ‘sta damigiana e davano in cambio una vera di ferro. La cancellata di ferro invece l’abbiamo nascosta. Quella che c’era qui a casa l’abbiam tirata via tutta e l’abbiamo nascosta, poi siamo andati a Castagneia da una donna e ne abbiamo recuperata una brutta, per consegnare il ferro. Quella che c’era l’abbiam buttata dentro alla gronda, fra una casa e l’altra, e siamo andati a Castagneia a prendere ‘ste ringhiere per salvare quella che avevamo, passando per i sentieri per non farci vedere, caricate sulla gherpia, urtavano contro i rami e ci facevano cadere. Abbiam consegnato quella un po’ rotta, ma a loro bastava che ci fosse la quantità di ferro che avevano stabilito. Poi al posto della ringhiera abbiam messo dei legni e la ringhiera l’abbiam tirata fuori dalla gronda nel dopoguerra”. (A. Denicola)
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    A questo punto facciamo un ragionamento. Se non avevi la tessera fascista non venivi tenuto in considerazione per un premio scolastico, figurarsi se ti rifiutavi di dare la fede. Questo fatto sottolinea la distorsione di pensiero del regime fascista, basato sulla famiglia. In quegli anni di povertà la fede nuziale era per gli sposi il simbolo della famiglia, simbolo che costava sacrifici per tutti i membri della famiglia stessa. Mentre a roma si mangiava in piatti d’oro, alle famiglie veniva IMPOSTO di scambiare oro per ferro.
    L’espropriazione violenta era che se non davi la “vera” eri nemico del regime e venivi isolato. Le violenze non sono solo fisiche…
    Ci capiamo?

    (Mattia Rontevroli)


  3. Hai detto bene Alessio; chiedi un po’ a chi c’è passato cosa voleva dire all’epoca “Forti Pressioni” e capirai anche da solo (senza retorica…) che tra “Forti Pressioni” a REQUISIZIONE in quei tempi non esistevano grosse differenze… anzi! Le “Forti Pressioni”, come si evince dal racconto, venivano fatte ad ogni livello… Anche se si trattava di una semplice cravatta rossa…

    (Corrado Parisoli)


  4. Sig. Zanni, mi colpisce come nel suo commento abbia dimenticato di citare il potere violento che il fascismo era solito usare sulle persone. Nei libri di storia spesso è tralasciata la disumanità con la quale si imponeva qualsiasi cosa. Anche un proclama. Soprattutto per chi non abbracciava le ideologie fasciste, come la famiglia di Giacomina. Le ricordo come i nazisti, cercando di convincere il mondo, chiamavano i campi di sterminio campi di lavoro, raccontando favole su come ebrei e altri sventurati (tra i quali molti italiani) vivessero felici nelle piena libertà di azione e di scelta. Per la madre di Giacomina e per molte altre donne l’episodio delle fedi è stato vissuto come una privazione di un tesoro che andava al di là del bene stesso. I valori di quel tempo erano diversi da quelli attuali e la famiglia era tutto. Molte famiglie sono state private dei mariti e dei figli in nome di una guerra che non penso abbiano chiesto nè cercato. E l’unico simbolo che rimaneva a ricordare l’unità famigliare, nella loro tra l’altro povertà, è stato tolto loro senza possibilità di scelta perchè o consegnavi la fede o eri considerato automaticamente un reietto. Che differenza fa, quindi, se fu chiesto di donare le fedi quando, comunque, non ci sarebbe stata scelta? Le testimonianze sopra riportare sono solo due tra le migliaia e migliaia di voci che purtroppo non arriveremo ad ascoltare. La fortuna di aver potuto assistere all’incontro di giovedì fa capire anche quanto è importante non affidarsi esclusivamente a quanto riportano sui libri di storia, concedendosi di andare al di là, ricercando un punto di vista differente da quello che tendono a propinarci. Perchè “la vera storia” è stata vissuta anche da queste donne.
    Grazie.

    (Elisabetta Corbelli)

  5. Punti di vista
    Sono sempre stato propenso ad affidarmi soprattutto ai libri per studiare la storia del ventennio, poichè le semplici impressioni personali possono essere spesso deformate dalla visione e dal credo di ognuno. Pensando, poi, che la storia l’han fatta i vincitori, non credo che i testi su cui oggi studiamo siano molto favorevoli all’argomento “fascismo”. Nessuno sta mettendo in discussione la veridicità dei sentiti racconti delle coraggiose partigiane di giovedì, beninteso, ma non metto altrettanto in discussione gli appassionati racconti dei numerosi anziani che ricordano con nostalgia qul periodo. Situazione che rappresenta ampiamente la complessità dell’argomento. Dalle testimonianze emerse posso provare a dedurre che l’intensità della pressione dipese molto dalla direzione della sezione del Pnf locale, e immagino come in zone rosse come le nostre le pressioni non dovevano essere lievi. Credo altresì che in altre zone del nostro Paese la gara alla donazione fu vera e sentita, come riportato dal libro “Oro alla patria”, di Petra Terhoeven.

    (Alessio Zanni)

  6. Nostalgia… delle canaglie
    Le nostalgie fasciste arrivano, purtroppo, dai più giovani; non credo che in montanga ci sia questa massiccia presenza di anziani che rimpiangono il ventennio. Leggo che il tentativo di difendere il fascismo di Zanni si fa affannato, quando scrive che le “Forti Pressioni” sono state tanto più dure tanto più la si pensava in modo differente (“in Zone Rosse come le nostre”) come se fosse giusto emarginare, reprimere e arrivare a eliminare chi la pensava diversamente; ecco lo spirito fascista. La storia sarà stata scritta dai vincitori, ma i ricordi di chi c’era sono i ricordi di chi ha subito il ventennio e comunque sia finita ne è uscito sconfitto (se non in guerra di sicuro nello spirito). Chiederei a Zanni non di cambiare idea… anche perchè se dovessimo utilizzare i sistemi a lui cari… non se la passerebbe certo bene; ma di cullare la sua nostalgia nel suo cuore e non continuare a reiterare il reato di apologia del fascismo, che, ancora e per fortuna, rimane reato punito dalla legge della Repubblica Italiana.

    (Corrado Parisoli)

  7. Come non darti ragione…
    Assolutamente d’accordo. Ci sono una valanga di scrittori che rimpiangono il nazismo di Hitler; poi sta a ciascuno di noi prendere una posizione a riguardo. Oltre alle testimonianze del nostro Appennino “rosso” vi sono una miriade di testimonianze riguardanti la consegna delle “vere” da tutta Italia. Alcuni testimoniano direttamente che se non consegnavi la fede venivi preso a scarpate; su internet si trova tutto il materiale grazie agli istituti storici (che qualcuno vorrebbe chiudere)… Per fortuna la moda del revisionismo viene confrontata con le testimonianze dirette.
    Comunque ti invito al prossimo incontro (25 febbraio) dove a parlare ci saranno dei comandanti partigiani. Senza problemi potrai fare domande. Sottolineo che il tuo pensiero (di parte) non sarà un problema dato che queste persone di novant’anni non hanno remore a confrontarsi con chi la vede diversamente. Anzi, mi hanno sempre detto che è proprio grazie al loro sacrificio che le persone con idee diverse possono dire la loro.
    Ciao.

    (Mattia Rontevroli)

  8. Presente!
    Il 21 gennaio ero assente per motivi di lavoro. Mi è dispiaciuto non esserci stato, davvero. Cercherò in tutti i modi di esserci il 25 e ringrazio tanto Matty per l’invito. Detto questo tengo a precisare che il mio intento non è assolutamente la sterile polemica ma piuttosto quello di imbastire un sereno confronto “storico”, senza nessuna nostalgia che mi è stata erroneamente attribuita ma che non ho, su un argomento che oggi è trattato SOLO in maniera faziosa, da una parte e dall’altra. Siccome i personaggi di casa Pound non sono adatti a questo, accolgo volentierissmo il vostro invito. Quanto al reato di apologia del fascismo, lo considero una mutilazione alla democrazia. Quella vera.
    Saluti.

    (Alessio Zanni)