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Uno su mille ce la fa, anzi due. E sono donne

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Federica Rabotti e Carlotta LachiIl paesaggio dell’appennino reggiano che affonda le radici nell’Alto Medioevo, il suo eccezionale patrimonio architettonico di borghi, chiese e castelli e nello stesso tempo la volontà di conoscerlo, conservarlo e proporlo a nuova vita ha trovato riconoscimento nel XVIII premio per tesi di laurea sull’architettura fortificata, bandito dall’Istituto Italiano dei Castelli (IIC) nell’ambito delle iniziative promosse per incoraggiare le nuove generazioni allo studio storico, archeologico ed artistico del patrimonio fortificato italiano nonché la sua valorizzazione.

Il secondo posto è stato infatti assegnato alla tesi “Torri di guardia dell’Appennino reggiano. La conoscenza per la valorizzazione dell’apparato difensivo matildico. Proposta per un restauro e riuso: i casi delle torri di Gova e Gavardo” di Federica Rabotti e Carlotta Lachi (relatore e correlatore: Prof.ssa Eva Coïsson, Architetto Walter Baricchi).

Un anno e mezzo di lavoro condotto a quattro mani nella fase di censimento e analisi dei beni, individualmente nell’elaborazione delle proposte di recupero delle torri: di Gova l’una, di Gavardo l’altra. Una passione che continua:

“Ognuna di queste costruzioni costituisce un irriproducibile ed irripetibile documento d’arte, di storia e di cultura tradotto in pietra, che presenta la medesima importanza e dignità, a cui va dedicata la stessa attenzione. Inoltre, appartenendo ad un’antica concezione dell’arte del costruire, può far scoprire aspetti della nostra storia talvolta ignorati. Per questo abbiamo voluto conoscere e analizzare le peculiarità distintive delle torri di avvistamento dell’Appennino reggiano, ubicate nella zona compresa tra il fiume Enza ed il fiume Secchia. Un patrimonio minore – non per importanza - che si è posto nella storia come elemento fondamentale all’interno di una fitta rete connettiva con i manufatti maggiori, contribuendo alla formazione della storia del luogo. Benché queste costruzioni si ritrovino per la maggior parte in uno stato di abbandono da secoli, ridotte oramai a scarni ruderi, oppure alterate a seconda delle esigenze dei fruitori del momento, esse mostrano caratteri ben riconoscibili della propria identità” - ci spiegano le autrici.

Laureate a marzo in Architettura, entrambe con 110/110, hanno sperimentato poi scelte diverse.

Federica Rabotti, cresciuta coi castelli negli occhi – quello possente di Leguigno, quello più svettante di Sarzano -  è interessata da sempre “a tutto ciò che riguarda l’architettura, il restauro, la storia e di tutto ciò che permette di esprimere la propria creatività e pensiero. Mi piace studiare e cerco di informarmi su tutto ciò che mi interessa e mi circonda, per essere sempre aggiornata a riguardo.”

Non sembrerebbero gli interessi più adeguati a trovare lavoro in tempi di crisi, invece…

“Dopo essermi laureata mi sono concentrata esclusivamente sull’esame di Stato (superato brillantemente ndr), per avere il titolo di architetto ed essere abilitata alla professione. Io sono stata fortunata, in quanto il mio relatore, l’Arch. Baricchi, ha richiesto, da subito dopo la laurea, la mia collaborazione ed ora, dopo qualche colloquio, mi hanno assunta presso uno studio di Reggio Emilia. Non è stata, quindi, difficile la ricerca di occupazione, ma credo che la mia situazione sia una rarità nel mondo di oggi”.

Carlotta Lachi, residente a Parma, dopo pochi mesi di collaborazione con uno studio della città ha fatto una scelta diversa: “Ho ritenuto opportuno affrontare un’esperienza all’esterno per una  crescita sia personale che professionale. Ed ora eccomi qui a Edimburgo, con la speranza che questo mi permetta di ottenere qualche chance in più nel mondo del lavoro, preferibilmente nel mio paese. Vorrei soffermarmi su quest’ultime parole. L’enorme disoccupazione giovanile, in particolare nel mio ambito, ha comportato spesso e volentieri la ricerca di lavoro all’estero. Una delle possibili cause in Italia è il sempre più ampio divario tra condizioni lavorative delle nuove generazioni e possibilità di valorizzazione del capitale umano. Per molti quindi l’emigrazione è quasi una necessità, ma io sono di un altro parere. Penso che confrontarsi con altre realtà sia assolutamente formativo – lo consiglio a tutti – ma, se posso esprimere un consiglio, questi giovani dinamici, intraprendenti, affamati di nuove opportunità, con progetti e sogni da realizzare devono poter mettersi a disposizione del proprio Paese, devono collaborare per migliorare ciò che ora non va. Per quanto riguarda il mio futuro, sono carica di speranza, volenterosa di imparare (penso che non si smetta mai di essere alunni) e di diventare un architetto critico e creativo al tempo stesso. Vorrei poter migliorare le condizioni di vita della società, tenendo in considerazione anche la qualità architettonica, oltreché la funzionalità. Ora ovviamente non so cosa mi aspetterà, ma sicuramente non mi arrenderò al primo no che incontrerò!”

Non è inferiore la determinazione di Federica:

“Per quello che riguarda il mio futuro so solo che vorrei essere un valido architetto e poter esprimere la mia creatività nel rispetto della bellezza dei luoghi. Si dice sempre che lo scopo di un architetto sia creare il monumento che lo ricordi per sempre, io vorrei essere un professionista a servizio della comunità, poiché credo che lo scopo del mio mestiere, che ritengo il più bello del mondo, sia il rispondere alle esigenze della committenza e fornire un qualcosa che renda felici, da ambo le parti”.

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