“Siamo sempre stati contrari a qualsiasi idea d’applicazione tout court delle leggi, alle scelte dei tagli ‘lineari’ perché, in quanto tali, non sempre tengono conto delle particolarità e della necessità di fare invece scelte mirate, che rispondano ‘meglio’ alle esigenze di un territorio e dei suoi cittadini. Per questo esprimiamo la nostra perplessità sul progetto di smantellamento del Punto nascita”.
Cgil di Reggio Emilia e Cisl Emilia Centrale tornano sul tema della riorganizzazione dell’ospedale Sant’Anna di Castelnovo ne' Monti attraverso le parole di Margherita Salvioli Mariani, segretaria generale aggiunta della Cisl Emilia Centrale, e di Ramona Campari, della segreteria provinciale della Cgil di Reggio Emilia.
“Abbiamo assistito a valutazioni e prese di posizione diverse – interviene la Salvioli Mariani -: chi valuta necessario lo smantellamento del Punto Nascita per una questione di sostenibilità, altri che hanno chiamato in causa la sicurezza del bambino e della madre, altri che ritengono necessario recepire l’accordo Stato-Regioni che prevede la chiusura dei punti nascita con un volume di attività inferiore a 500 parti all’anno. Sono valutazioni e posizioni legittime ma riteniamo che guardare e valutare secondo questi aspetti presi separatamente e in modo avulso dalla realtà, anche geografica, del territorio significa avere uno sguardo miope”.
“Pensiamo – prosegue – che la risposta debba essere quella di percorrere tutti i tentativi per mantenere il reparto di Ostetricia, con soluzioni in grado di coniugare la qualità dell’assistenza sanitaria, la sicurezza della madre e del bambino con quella degli operatori sanitari, tutti, e quello della sostenibilità. Farlo non solo è possibile, ma è quello che avviene già in altri Paesi europei come Germania, Svizzera, Austria dove sono state adottate modalità organizzative in grado di garantire qualità sicurezza e capillarità anche in presenza di un numero di parti inferiore ai 500. Deroga comunque prevista anche dall’accordo Stato-Regioni del 2010”.
“Se è vero ciò che è scritto efficacemente, e noi riteniamo sia vero, che va garantita una sanità a ‘360 gradi’, - afferma la Campari - in questo momento tutti i soggetti coinvolti (in primis, la conferenza socio-sanitaria territoriale, il distretto, Ausl e gli amministratori dei comuni reggiani) dovrebbero chiedersi quanta e quale sanità è necessaria alla popolazione della montagna, cercando la risposta in una discussione che coinvolga le forze sociali, le cittadine e i cittadini del territorio. Solo così si può evitare che un'intera comunità si senta abbandonata, non considerata dalla politica e dalle scelte maturate in ambiti della politica senza che siano tenuta nella dovuta considerazione le peculiarità e le istanze locali”.
In questo senso, secondo i due sindacati, va riallacciato il filo del dialogo che renda evidente come vi sia l’impegno non a svuotare progressivamente l’ospedale bensì a valorizzarlo, tener conto della centralità di questa struttura sanitaria per i cittadini del territorio ed evitare che un suo ridimensionamento diventi concausa dello spopolamento della montagna.
Come emerge infatti da tutte le analisi e gli studi dell’Osservatorio per la legalità, l’economia e la coesione sociale dell’Appennino Reggiano, il territorio della nostra montagna presenta un tessuto socio economico che richiede di essere valorizzato, sul quale è necessario investire, piuttosto che disinvestire.
“Il confronto allora si allarghi: oltre che al punto nascita si discuta del futuro di questo ospedale e la politica presidi adeguatamente in stretto rapporto con i cittadini i luoghi in cui si prendono decisioni con ricadute così importanti per la loro vita e per il territorio”, concludono da Reggio Emilia.