Fino a pochi anni fa le relazioni erano vissute incontrandosi nei luoghi di ritrovo, piazze, locali e centri appositi.
Con l'avvento dei social network le relazioni hanno assunto modalità differenti, e conseguenti modifiche dei codici comportamentali, soprattutto per le giovani generazioni. Indietro non si torna. Piuttosto è utile riflettere sul nuovo e come al meglio utilizzarlo. Deprecare, giudicare, schernire standone lontani è una possibilità. Cercare di comprendere per fare del social uno strumento che aumenta le opportunità invece di toglierle, è doveroso, soprattutto per chi si occupa di educazione.
Dopo oltre 25 anni di insegnamento nella scuola, attualmente svolgo un dottorato di ricerca presso la facoltà di Psicologia all'Università di Parma che verterà proprio sulla scuola e nuova modalità interattive in classe, e nella mia ricerca includerò come strumento la comunicazione mediata dai social network.
Mi occupo come psicologa di dipendenze e nuove dipendenze, e tra queste ultime si sta classificando la Net Addiction, la dipendenza dalla rete.
Che adolescenti e adulti passino ore online è una prassi evidente. Per alcuni sta diventando, o lo è già, un problema. Tuttavia credo che fare del "problema" una risorsa sia una modalità vincente.
Mi spiego.
In sé il social non è né nocivo né dannoso. Non più del vecchio telefono con la rotella per comporre i numeri. Lo può diventare l'uso che se ne fa. Compito dello psicologo sociale è quello di rilevare i nuovi costumi e il loro impatto sulla psiche, senza giudizi o allarmismi, ma cercando di comprendere a fondo un fenomeno.
Prendiamo ad esempio il cyberbullismo.
Il pettegolezzo, la calunnia che tanto opprime i ragazzi che vengono sottoposti a flaming, atti di denigrazione in rete, sono sempre esistiti. La crudeltà tra gruppi di persone esiste ed esisteva a prescindere dalla rete. Ciò che accade in rete cambia nella risonanza che è molto più alta.
Lo schieramento, il voler compiacere, pure sono sempre esistiti. Le alleanze tra pari contro il più debole, le prese in giro, l'esclusione. Sono dinamiche sociali, agite sia tra adolescenti che tra adulti.
Cambia il mezzo, ma le dinamiche umane sono simili e ataviche.
L'essere umano ha da sempre giudicato, in primo luogo se stesso, e temuto l'altrui giudizio.
Chi più, chi meno.
Invito genitori e comunità educanti a guardare con occhio attento, non deformato da pregiudizi, ciò che accade ai figli, e con loro trovare strumenti di "sopravvivenza" nel mondo dei social. Per proteggere i nostri figli abbiamo spesso creato ragazzi "di vetro", annientati dai primi no della vita, devastati dalle prime esperienze dolorose.
Non sono i social i problemi, ma l'incapacità di affrontare la vita, sprofondati nell'insicurezza e nel terrore del vuoto, del senza.
I selfie.
Esporre la propria immagine reiterata in rete attraverso la selfie mania quale significato ha? Divertimento? Esibizionismo? Pratiche narcisistiche? Se non danneggia nessuno, se non svilisce se stessi, è solo una modalità come un'altra di comunicare. Se invece nasconde un grido di insicurezza, allora il selfie diventa un segnale prezioso per i genitori per osservare, chiedere se c'è qualcosa che non va.
Il social diventa piazza virtuale, pubblica dove quasi tutto è concesso.
Piuttosto che farsi sopraffare dal mezzo occorre punteggiarne l'aspetto utile oltre che ludico, didattico e strategico, ed enunciarne le potenzialità.
Si possono ritrovare persone perse di vista, condividere notizie in tempo reale, farsi opinioni. Per citare solo alcuni aspetti.
Credo sia importante al di là del fenomeno mantenere un atteggiamento vigile, ma costruttivo nei confronti di quanto accade. Prima di farsi un'opinione cristallizzata chiedere magari ai propri figli "cosa ne pensi?". Magari ci aiuteranno a capire meglio e ci daranno loro stessi suggerimenti utili per star loro accanto, al passo coi tempi.