(da "Castelnovomonti" di Umberto Monti)
Tra i tanti episodi che caratterizzarono il Risorgimento italiano ce n’è uno che ha interessato da vicino il capoluogo della nostra montagna. E anche di questo sui testi di storia non se ne parla. Forse perché quell’idea, ormai sorpassata, non fu mai realizzata. O anche perché il tentativo fallì ignominiosamente per mancanza di organizzazione e di convinzione.
L’idea di una Repubblica montanara
Siamo nel 1870. Ormai è chiaro che non si può più parlare di Repubblica italiana: tutto ha contribuito a formare il Regno d’Italia, da completare quanto prima. Per raggiungere l’unificazione dello Stato manca ancora Roma, che però è presidiata dai francesi. Ma i Savoia non si muovono, non hanno fretta.
C’è però nell’aria il sentore di una prossima guerra franco-prussiana. Quindi i francesi di stanza a Roma potrebbero essere spostati su quel fronte. Perché non approfittare della situazione e occupare Roma? Un colpo di testa, sì, ma che potrebbe ridestare l’idea mazziniana di Repubblica, “…Anche se le imprese da lui (Mazzini) fomentate, molto spesso, per non dire quasi sempre, avevano degli esisti disastrosi, data l’impreparazione degli italiani di allora… egli non si scoraggiava, convinto che alla lunga il sacrificio di pochi valorosi avrebbe alla fine acceso gli animi dei più ed ottenuto il risultato agognato” [Zannini Giovanni].
“Cosa era accaduto di nuovo all’inizio dell’anno per fare cambiare opinione al Manini”? (1). Ricordiamo che neanche due anni prima Angelo aveva sconsigliato i figli a costituire la Banda Manini.
“La novità era che Mazzini… aveva intravisto la possibilità di accelerare la conquista di Roma, mettendo il governo davanti al fatto compiuto”.
E cosa c’entra tutto ciò con la montagna reggiana?
Il tentativo
La presenza in territorio reggiano di tanti mazziniani e garibaldini, delusi dalla piega presa dal Risorgimento, fedeli all’idea di repubblica, poteva essere un’esca, un diversivo, un ritorno di fiamma. Un colpo di mano in questo territorio poteva significare l’affermazione dei principi repubblicani e la sollevazione del popolo. Popolo che era scontento della monarchia per le tante tasse imposte dal nuovo governo.
“Nella primavera del 1870… fu proprio il vecchio Angelo (Manini) a proporre a Pomelli di organizzare “una banda con etichetta repubblicana”, con lo scopo di promuovere una piccola repubblica sugli Appennini reggiani e di forzare la mano al governo... A loro si unì anche Gaetano Davoli, già combattente per l’indipendenza nazionale, volontario nell’esercito sardo, impegnato nel 1867 nella liberazione di Roma e accorso, nel 1870, con Amilcare Cipriani in difesa della Comune di Parigi. Da ricordare anche l’impegno di Orazio Pasini e Michele Amoldoni, entrambi reduci garibaldini”.
Come capitale della nuova repubblica fu scelto Castelnovo. Bisognava quindi occupare la Rocca di Bagnolo e proclamare la Repubblica montanara.
La Rocca di Bagnolo in realtà era la vecchia caserma della guardie e dei gabellieri estensi, occupata, al momento, dai carabinieri del regno. La mossa, come già detto, avrebbe dovuto far sollevare il popolo reggiano.
C’erano, custoditi presso Pomelli e altri della stessa fede politica, 100 carabine garibaldine procurate per la campagna che avrebbe dovuto condurre alla liberazione del Veneto e del Trentino (1862-1863), campagna sostenuta anche dal Manini ma mai realizzata.
“Quaranta volontari si trovarono verso sera presso il cimitero israelitico fuori città e si misero in marcia per raggiungere i comuni della montagna. Era il 15 Maggio 1870. Lungo il percorso si unirono ai volontari altre persone. A Marola il gruppo disarmò due carabinieri e li costrinse a seguirli fino a Castelnovo. Ma intanto la notizia era trapelata e a Bagnolo si erano preparati allo scontro”.
I volontari “furono avvertiti da comuni amici che ad aspettarli c’erano parecchi militi armati di tutto punto, pronti a far fuoco. Nonostante la mutata situazione, decisero di proseguire e portare a termine la loro missione anche se la speranza di riuscire nell’impresa si era ormai ridotta al lumicino”.
Era circa mezzanotte del 17 maggio quando ci provarono. Fiducia nei propri mezzi o temerarietà?
Il fallimento dell'operazione
“In prossimità della Rocca furono accolti con il classico: Chi va là? dei gendarmi. A quella domanda i ribelli risposero senza tergiversare: Repubblica! Roma o morte! A quel punto iniziò un violento scontro a fuoco”.
“Durante un primo velleitario tentativo d’assalto dei ribelli, i gendarmi fecero prigionieri Leopoldo e Pellegrino Pignedoli e Giuseppe Cilloni, mentre Antonio Viali di Montecchio fu ucciso. All’alba del giorno dopo la banda fu costretta a ritirarsi, non prima però d’aver nascosto le armi e liberato i due carabinieri”.
Tuttavia i carabinieri si impadronirono di 27 fucili, 2 moschetti, una tromba, ed effettuarono ben 20 arresti, tra i quali il chierico Scolari. Gli altri si diedero alla macchia e tentarono di raggiungere Parma e poi Lugano, dove c’era un’altra banda (2) di volontari repubblicani che operava nelle Alpi centrali.
Durante la fuga dei volontari ci fu anche una patetica pagina romantica. Ce la racconta lo stesso Pomelli: “In vicinanza di Canossa mi separai dallo Stefano Canovi: ci abbracciammo commossi: la luna splendeva e l’ombra dello Stefano s’allungava sulla bianca strada ed io non staccai gli occhi da lui finché potei scorgerlo. Era presentimento? Non dovevo più vederlo. Alla prima giornata di Dijon, il 21 gennaio 1871, cadeva colpito a morte!”.
Viene da chiedersi: dopo tutte le batoste subite durante le guerre di indipendenza gli organizzatori di questi movimenti popolari non si sono mai resi conto che occorreva preparazione, organizzazione, strategia e mezzi per affrontare una battaglia, prima di mandare le tante armate Brancaleone a giocare ai soldatini, destinate a fallimento certo e a morte sicura? Ammesso, sempre, che la Storia sia maestra di vita!
NOTE:
1) Le notizie riportate in corsivo, quando non viene specificato diversamente, sono prese da un articolo di Fabrizio Montanari: La banda Manini.
2) La Banda Nathan, sostenuta dal Mazzini, era costituita da una quarantina di fuggiaschi italiani che dalla Svizzera volevano collaborare alla liberazione dell’Italia. "La comandava Giuseppe (Joe) Nathan, e fra essi vi era anche qualcuno che di eroico aveva solo la necessità di salvare la pelle a causa di proprie malefatte. La banda diede vita ad alcune scaramucce in Italia, poi rientrò in Svizzera, ma lì i fuggiaschi furono presi e imprigionati. Appartenevano alla banda alcuni possidenti, cinque studenti, un medico, un giornalista, uno studioso, un ragioniere, un viaggiatore di commercio, due falegnami, un parrucchiere, un calzolaio, un sarto, un caffettiere, un cocchiere, un salsamentario, uno scritturale, tre negozianti, un cameriere, un muratore e un suonatore [Zannini Giovanni].
Grazie, caro Savino, di questa interessante rievocazione di una pagina di storia che ci riguarda da vicino e che, ignoranza crassa, non conoscevo affatto. Certo che la costituzione di una Repubblica montanara, dopo la formazione del Regno d’Italia, era un’idea temeraria, proprio da armata Brancaleone, ma dobbiamo comunque rendere l’onore che meritano a questi coraggiosi idealisti. Non è difficile immaginarli: 40 uomini, partire da Reggio Emilia per raggiungere Castelnovo Monti, occupare la Rocca di Bagnolo e proclamare la Repubblica .Chissà se avevano ponderato bene il loro temerario progetto. La notizia delle loro intenzioni arrivò a Castelnovo ben prima di loro e l’impresa finì con la perdita delle armi e una fuga rocambolesca verso Parma. Bellissima la foto del palazzo Ducale con quelle eleganti arcate che tanti castelnovesi hanno rimpianto per anni. Un palazzone abbastanza qualsiasi acquistava una leggerezza straordinaria e poteva ben dirsi ducale! Buona Pasqua a te e Maria e ancora grazie per questa bella lezione sulla nostra storia.
(Paola Agostini)
Grazie Paola. Ricambiamo gli auguri di buona Pasqua a te e a tutti i lettori.
(Savino Rabotti)
Grazie a Savino che ci regala questa pagina di storia, stranamente dimenticata ai più (me per primo!) e che ci racconta di vicende avvincenti e drammatiche a pochi decenni dai tempi moderni. Con queste righe si rende anche merito e onore a chi ha creduto in ideali di uguaglianza.
(Gabriele A.)
Caro Savino, sempre precise le tue ricerche. Dei temerari di Castelnovo ne’ Monti non sapevo, di Manini sì. La caserma fatta erigere da Francesco IV era la mia scuola, sapevo che la pianta degli edifici avrebbero dovuto avere la forma di ferro di cavallo. Avrebbe compreso il palazzo ove ora c’è la biblioteca, il palazzo dell’ex municipio e quello appunto nella foto, che fu anche la mia scuola delle medie.
(Ilde Rosati)
Grazie a Te, Gabriele. E auguri di buona Pasqua! Chissà quanti altri particolari giacciono negli archivi o nelle memorie di persone che potrebbero farle conoscere e rendere la Storia, la nostra Storia, più reale e più autentica. Speriamo comprendano che non è necessario essere dei privilegiati per “comunicare” i nostri piccoli tesori nascosti!
(Savino Rabotti)
Grazie Gabriele e Ilde. A voi e a tutti i lettori, auguri di una felice Pasqua. Sarebbe bello se coloro che hanno notizie da aggiungere contribuissero a saperne di più dei nostri luoghi. Una Storia dentro la Storia ci aiuterebbe a capire meglio i nostri luoghi e la nostra gente.
(Savino Rabotti)
Nemmeno io sapevo del coraggio avventuroso e sprovveduto di poche persone con ideali mazziniani che avevano individuato in Castelnovo la sede della piccola Repubblica sugli Appennini reggiani. Ma si sa che gli ideali non conoscono limiti e frontiere, nemmeno nell’anima. È il giorno di Pasqua e sto pensando a Gesù Risorto. Anche Lui fu da molti scambiato per reazionario e sprovveduto tanto da finire in croce. La Storia “dovrebbe” essere maestra di vita, ma così non è. Gli errori si ripetono nel tempo. Buona Pasqua a Savino, a tutta la redazione ed ai lettori di questo interessante racconto di storia vissuta che vede la partecipazione di coraggiosi volontari del nostro Appennino.
(Luisa Valdesalici)
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Ricambiamo, estendendo a tutti i lettori, grazie.
(red)