Ricordando Orazio Campani
Quando l’ho potuto intervistare Orazio viaggiava già oltre i novanta anni, e, di tanto in tanto, la memoria gli si riavvolgeva su sé stessa. Tuttavia, da quel discorrere senza regole, sono ricomparsi tanti episodi ed aneddoti che propongono un interessante spaccato sulla società locale della metà del secolo scorso, a partire dalla prima guerra in poi.
Un giornale del nostro Appennino che lo aveva intervistato negli anni ’70 gli ha attribuito la paternità di una satira importante. Nelle mie interviste (‘93/’95) mi assicurò che non l’aveva scritta lui. Ma forse, nell’intervista al giornale citato, ci fu un equivoco nell’interpretare il verbo scrivere. Il giornalista intendeva scoprire se l’aveva composta Orazio, se ne era l’autore. Orazio invece deve aver inteso trascritta, copiata, e quindi avrà risposto positivamente. Di fronte alla mia perplessità (quando ero ragazzo si diceva che ne aveva composta una addirittura su sé stesso), confermò quanto detto prima. Non credo proprio ci fosse dolo nella risposta di Orazio al giornale. Tanto è vero che la copia manoscritta esisteva davvero ed esiste ancora tra i cimeli conservati da una nipote di Orazio. Una attenta analisi del testo però conferma le caratteristiche di Isaia. Ad una mia domanda precisa e insistente Orazio rispose che lui non aveva mai composto satire, ma che recitava quelle di altri autori.
E chissà quante ne sapeva di satire nel periodo in cui la memoria lo assisteva benigna! Nel bacino che include Castelnovo e la valle del Tassobbio Orazio era noto proprio per il suo modo di proporre le satire.
La satira l’aveva nel sangue, come ci ricordano tante battute caustiche, secche, che spiazzavano chiunque e che in parte sono state proposte su questo giornale (9). Come nell’occasione che gli fu offerto un passaggio in moto da Castellaro a Castelnovo (circa dieci km). Orazio, che conosceva il guidatore, rispose deciso: "No, grazie, ma oggi ho fretta e preferisco andare a piedi". Un’altra volta (a guidare il Vespone era il genero, persona di fiducia), dopo un lunedì trascorso all’Osteria del Moro di Castelnovo e un’ultima tappa obbligata da Tugnîn a La Strada, all’imbrunire il genero decise che era ora di rientrare. La via non era ancora asfaltata. Qualche centinaio di metri dopo avere svoltato verso Donadiolla, in una curva a gomito, il ghiaino tradisce il conducente. Conseguenze? Il genero riesce ad arpionare il vespone prima che finisca nel fosso. Disarcionato, Orazio rotola lungo il campo e non trova appigli. Appena il genero si rende conto dell’accaduto chiede ad Orazio: “Vi siete fatto male”? La risposta? “Aspetta che mi fermi poi te lo dico”!
(9) – Due simpatici aneddoti della vita di Orazio sono riportati nell’articolo pubblicato su Redacon il 22 Dicembre 2011 col titolo: Montanaro e contadino...
Fujîn
Altro personaggio del quale sappiamo che è vissuto solo perché un suo distico (uno solo!) gli è sopravvissuto. Si sa che era di Legoreccio, forse in vita sul finire del 1800, primo quarto del ‘900. Il ricordo di Fujîn lo dobbiamo ad Orazio. Era di poche parole e, di solito, non iniziava lui un discorso. Ma per le risposte usava una sua tecnica personale: quella di rispondere letteralmente per le rime. Ad ogni domanda lui sapeva inventare, su due piedi, una risposta-epigramma, con un motto inventato lì per lì. Di lui, come si diceva, ci è rimasto solo un distico.
Un furioso temporale aveva scoperchiato il campanile di Crovara. Due muratori stavano rabberciando alla meglio il tetto, utilizzando il materiale disponibile sul posto. Passò di lì Fujîn che si fermò ad osservare. Uno dei muratori gli chiese se il lavoro poteva andare bene. La riposta fu:
L’é vergùgna, in pu’ dal dàn,
avêr ‘na tùra quêrta a piàgn.
(È umiliante, oltre al danno, avere un campanile coperto con le piagne).
Orazio, la figlia Onelia Campani, il nipote Giovanni Costetti, la bisnipote Idania Costetti e la trisnipotina Elena Fontana : cinque generazioni! ( foto del 1993)
Mi torna alla mente un personaggio che tanti anni fa abitava a Lignano, una borgata di Quara ed anche lui amava rispondere in rima. A chi incontrandolo lo salutava e come d’uso chiedeva: “Buongiorno Madìo (Amedeo) coma vàla la vèta?” prontamente, con grande semplicità e saggezza rispondeva: “Ehh,un po’ storta e un po’ drèta…”
(Antonio Manini)