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La satira in montagna / 7

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 Azzolini Luigi

                                      Anche Luigi è finito in quella specie di nebulosità della non-memoria che ingurgita tante esistenze. So solo che era di Vetto, nato sul finire del 1800, e che ha composto diverse satire. Ma ne possediamo solo una, Agli impiegati di Vetto. Ho avuto la fortuna di poterla trascrivere da un manoscritto di proprietà di Orazio Campani, copia che, all’epoca, pur di averla, Orazio aveva pagato la bellezza di 5 lire, l’equivalente di un testo scolastico.

Come lavoro Luigi andava a leggere i contatori della luce (allora Società Emiliana, che, dopo la guerra, fu assorbita dall’Enel). Ma dava anche una mano ad un personaggio emblematico dell’ambiente vettese, un certo Priscildo, (Presìldo per gli amici), un tuttofare a disposizione del comune, con mansioni che spaziavano dal messo comunale all’esattore. Nell’ufficio di costui Luigi migliora le proprie nozioni culturali e impara a scrivere a macchina, seppure con un solo dito.

A Vetto allora componeva satire anche un signore venuto da fuori, dalla provincia di Massa, che presso il comune aveva il compito di valutare terreni e animali per l’estimo. Luigi e questo signore non erano guardati di buon occhio dai vettesi, in particolare da coloro che si pavoneggiavano grazie all’iscrizione al partito. E si può immaginare il perché: Luigi e il suo amico erano sull’altra sponda!

La satira che possediamo parla di un banchetto organizzato per gratificare l’allora ragioniere del comune. Costui era stato un oculato amministratore, certamente anche lui iscritto al partito. Quindi andava onorato con diploma e medaglia.

 Il poeta descrive le persone citandole per nome, accenna alle loro mansioni e sottolinea i loro ridicoli tentativi di farsi strada, meschinità ed ingordigia dei commensali comprese, come se a casa loro non avessero di che sfamarsi:  

    ...  forse un bifolco è sempre stato,

                                    ma or che trovasi tra quella gente

                                           che uomo sobrio, che uom prudente!

 

                                    .... il signor P...

quasi per dieci lui mangia da solo,

                       ed ogni volta che gli passano il piatto

          lo lascia pulito e vuoto sull’atto.

     Il Podestà, che è piccolino,

                         io son sicuro che mangia pochino,

                                  ma in questa occasione anch’egli si riempie:

                        perché, in fin dei conti, non paga niente.

 E in una occasione come quella poteva mancare un supplemento al convivio? C’è chi pensa anche a questo. Viene noleggiata un’auto pubblica e inviata e Reggio a reclutare donnine.

                Entran le dame più ricercate

                        che qui da Reggio furon portate:

                ... una era mamma, l’altra era nonna,

tutte sdentate erano insomma!

 E siccome le signore non avevano ancora cenato

                      sembravano anche esse belve affamate,

con modi scortesi, maleducati.

 Vengono passati loro i piatti di portata con le ultime rimanenze, ma

     in fondo ai piatti v’era sol dell’unto,

 e quelle dame non pensano punto

che se non mangiano un po’  con creanza

dopo subentra un gran mal di panza!

 Con le conseguenze che si possono immaginare. Finita la baldoria è tempo di fare i conti. A forza di aggiungere invitati il preventivo è lievitato assai e chi ha organizzato la cena non intende far fronte da solo al costo. La soluzione? Facile: si chiede ai commensali di integrare la spesa:

         Cari signori, siete pregati,

                         se a quel banchetto ci siete stati,

               ognun di pagare per quella mensa

                     quarantadue lire e centesimi trenta.

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E Luigi conclude beffardamente:

 Depongo la penna e alzo la mano,

  e porgo a tutti un saluto... umano!

 per dissociarsi dal servile saluto romano dell’epoca.

 

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