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La satira in montagna / 2

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la satira

 

I continuatori dell’opera di Quirino Zanelli vengono individuati soprattutto in Marco Castellari e Isaia Zanetti. Ma vi sono altri poeti che possono rientrare nella corrente della scuola del Fòsola. E, di sfuggita, si può affermare che ci sono anche autori viventi  che, per le caratteristiche, possono essere considerati dei continuatori della scuola del Fòsola.

Marco Castellari veniva soprannominato Marchèt da la Cêša perché la sua famiglia era a mezzadria presso il parroco di Felina. Si allontanò dal paese solo per il servizio militare (prima guerra mondiale), e poi per la prigionia in Germania durante la seconda. La satira di Marchèt è “pungente, si, ma sempre rispettosa e serena, ... e portò i paesani a riflettere su quanto di bene e di male accadeva nell’ambito della comunità” (3).  Le satire di Marchèt sono dei quadretti che ci descrivono la Felina del tempo. C’è ancora, tra gli anziani, chi ricorda parte di una satira intitolata La luce elettrica a Rivolvecchio, ove l’autore ci offre la cronaca degli avvenimenti e la caratterizzazione delle persone:

 Arvulvè-c l’é un paešîn

téu-c parênt, quasi cušîn.

Di stranòm lûr i gh’ n’han tân-c,

ûn a tèsta i gh’l’han téu-c quân-c.

Ûn l’é Pàsra, ûn l’é Tulîn,

ûn Barbûn (che e’ srê Fraschîn),

ma Tajadèla l’é un grân fatûr,

lû l’è ‘l pu’ ch’ a fà d’ l’armûr.

Lû l’é un òm ânch da rispèt

pr’ e’ pasâ e po’ anch adès,

e ‘l n’é mia ûn bastasìa,

(l’é stâ gièudze ânch  e’ d’ la via!). (4)

[Rivolvecchio è un paesino / ove tutti sono parenti, se non cugini. / Soprannomi loro ne hanno tanti: /ne hanno almeno uno ciascuno. / Uno si chiama Passera, uno Attolini, / uno Barbone (che sarebbe Francesco) / ma Tagliatella è un grande fattore: / è quello che fa più rumore di tutti. / È anche una persona da rispettare / sia per il passato come per il presente. /  Non è uno purchessia: / è stato anche giudice della strada!].

Segue poi la descrizione di tutti i preparativi, della messa in opera degli impianti con relativi contrattempi e il cenone finale assieme agli operai dell’azienda elettrica:

 Ultimâ po’ ânch e’ lavûr

i’ han catâ  un sunadûr.

Lûr i’ han fàt ‘na grân magnàsa

che e’ gh’ n’ajêvne d’ògni ràsa,

e d’e’ vîn in quantitâ,

ch’i’ n’han abbû pu’ d’ trî quintâ.

[Ultimati poi i lavori / hanno rintracciato un suonatore, / hanno fatto un cenone / ove avevano cibo d’ogni sorta / e vino in quantità / ché ne avranno bevuto più di tre quintali].

Tra coloro che si allacciano alla corrente elettrica c’è anche una famiglia che definire povera è da ottimisti. Ma rinunciare alla luce significava rimandare a chissà quando la possibilità di allacciarsi. Genitore e figli decidono di rinunciare ai due maiali allevati per uso familiare. Ma l’acquirente vuole le bestie direttamente a Castelnovo. E allora...

 Càrga sú sti dû pursê,

ûn da co’, cl’âter da pê,

int un casûn fat a cariöla.

Quànd i’ên cûntra a Manderiöla

ste casûn al gh’é sbandâ

e i dû pôrs i’ gh’ên  scapâ.

[Carica questi due maiali / uno da capo, l’altro da piedi, / su un cassone simile ad una carriola. / Ma quando giunsero di fronte a Mandriola / il cassone si è rovesciato / e i maiali sono fuggiti].

Per colmo di iella il commerciante non vuole più i due maiali perché, nel cadere, si erano contusi.

Si diceva, all’inizio di questa proposta, che il senso del buon umore e dell’ironia è innato nel montanaro, anche nelle circostanze più tristi. Marchèt è in un campo di concentramento a Francoforte. Si sentono, sempre più vicini, i bombardamenti dei russi. Ordine immediato di evacuare il campo e trasferirsi altrove, verso chissà quale luogo. Marchèt scrive alla moglie:

Cara mujêra,

me i’ t’a scrév anch pra stavolta

ch’a srà forse l’ûtma volta.

Certamênt dadché a ‘n se scapa:

chiêtre (i russi) i vènne a spada tràta.

Andò s’ vàga che ‘n se sà:

lé pu’ facil vers luntân che vers ca’.

Ad ògni môdo t’al sarê

quànd i’ vègn, pu’ t’am vedrê.

[“Cara moglie, / ti scrivo anche per questa volta / che forse sarà l’ultima volta. / Certamente da qui non si fugge: / gli altri arrivano a spada tratta. / Ove si vada nessuno lo sa: / è più facile lontano che verso casa. / In ogni modo lo saprai / quando arrivo: poi mi vedrai”].

(1)       Cfr. La véta muntanāra, pg. 95 e seguenti.

(2)       Giudice della strada”:  era una carica pubblica (eredità del Medioevo) conferita dagli abitanti di un borgo ad un capofamiglia ritenuto all’altezza del compito. Costui doveva organizzare gli interventi per riparare le strade dopo gli acquazzoni, predisporre la spalatura della neve, tagliare eventuali rami o rovi che invadevano la sede stradale, far ripulire le fontane. Convocava gli uomini adatti al lavoro mediante il suono del corno o della “Nìcia” [una grossa conchiglia] e affidava tratti di strada a gruppi di due o tre persone. Quel tipo di lavoro era definito “giornate di prestazione”. Ogni famiglia doveva dare un determinato numero di giornate alla causa pubblica in base alla forza lavorativa presente in famiglia.