Ciò che interessa a me (e penso a tutti gli amanti del dialetto), è salvare il salvabile, indipendentemente da leggi ad hoc. Le leggi, finora, c’erano, ma sono servite ad ingrassare chi sa a quale appiglio aggrapparsi per avere i soldi, non a chi lavora seriamente per salvare una civiltà dalla quale dipendiamo ancora, a distanza di oltre mezzo secolo da quando la si è abbandonata.
Nel mio piccolo penso d’aver dato una mano importante, se non a salvare, almeno a far conoscere il dialetto del territorio dove sono nato. Dal 1992 ad oggi abbiamo realizzato una decina di serate dedicate al dialetto (Vetto, Castelnovo, Canossa, Roncroffio, Roncaglio, Vedriano, Selvapiana). Abbiamo dato vita a una ventina di concorsi o rassegne di poesia dialettale (13 a Castellaro, 5 a Selvapiana, 2 al Castello Querciola) e invitato i poeti a partecipare a concorsi organizzati da altri. Ho pubblicato un volume sulle tradizioni locali, ove a farla da padrone è il dialetto nelle sue espressioni (poesie, satire, proverbi, preghiere, filastrocche, ecc.) due raccolte di canzoni di un tempo, la “colonna sonora” dell’esistenza fino a una settantina di anni fa, oltre al Vocabolario dei dialetti del Medio Appennino Reggiano, circa 20.000 lemmi, 5.000 tra proverbi e modi di dire, etimologia delle parole principali di un gruppo, qualche nota di storia e geografia, undici anni di lavoro. Ho sperato, e spero ancora, che l’uscita del Vocabolario stimolasse i cultori del dialetto di altri territori a fare altrettanto. Per ora sono a conoscenza di un solo caso in cui sia in preparazione il vocabolario di un determinato ambiente umano.
Nel corso dell’estate che sta per cominciare avrò alcune altre occasioni per sostenere e dimostrare che il dialetto dei nostri nonni “è una lingua a tutti gli effetti”. Ritengo che il dialetto locale bisogna farlo recitare in loco, da chi lo sa, da chi lo ama, da chi comprende quali valori nasconde. Cioè farlo amare. E soprattutto registrare, trascrivere testi di ogni genere letterario. Tra non molto non ci sarà più chi lo parla. In fine mi auguro che anche il dialetto diventi materia di studio come il latino o il greco antico.
Ho un sito dove illustro e pronuncio un buon numero di parole dialettali per far conoscere anche la fonetica. Permettetemi di citarlo: www.savinorabotti.it .
Ho pure intenzione di far conoscere, tramite Redacon, una serie di satire di un tempo, di satirai che vengono definiti della scuola del Fosola e di altri autori.
Insieme a Normanna Albertini e Afra Campani, con la regia di Doris Corsini, abbiamo trasmesso una serie di puntate su Radionova, (Nujêter ch'i' parlèma ancùra in dialèt) improntate sempre sulle espressioni dialettali. Su Tuttomontagna tengo una rubrica mensile con la spiegazione dell’origine delle parole dialettali più caratteristiche.
La mia diffidenza verso le leggi a tutela del dialetto deriva da esperienze vissute. Non diffido delle leggi, ma ce l’ho con chi quelle leggi le addomestica a proprio uso e consumo, in barba alla finalità iniziale della stessa legge. Un vecchio adagio sostiene che le società debbono essere di numero dispari, ma che tre soci sono troppi. Sperimentato anche questo sulla mia pelle. Come ho sperimentato che Chi fa da sé fa per tre. Non sto a rifare la storia del Vocabolario: diventerebbe noiosa e rischierei di non essere creduto. Dico solo che nel 2003 era pronta la mia parte, implementata poi fino al 2008, e passata ad altri per favorire il lavoro di ricerca e per eventuali correzioni. Allora erano già arrivati i finanziamenti ad un’associazione (che ha un presidente) per la pubblicazione: qualcosa come 21.000 €. Ma per pubblicare il Vocabolario ho dovuto aspettare il 2010 e chiedere l’intervento di autorità esterne e di chi aveva messo a disposizione i fondi. Altrimenti il Vocabolario dovrebbe ancora vedere la luce. E comunico che dei soldi stanziati dalla provincia e dalla regione io non ho visto un euro, ma so di varie consulenze non necessarie, e del tentativo di usurpare la paternità e di dividersi i finanziamenti, oltre a tenersi il ricavato dei volumi venduti. Quindi io ritengo che chi vuole parlare il dialetto con “vecchi” come me lo debba fare solo gratuitamente e non permettere a nessuno di poter lucrare sulla diffusione e valorizzazione del medesimo. Che poi, in fin dei conti, interessa a pochissimi, mentre i veri problemi attualmente sono davvero altri, con priorità assoluta.
Io da parte mia sono disposto a tutto pur di farlo conoscere e vi confesso che appena sento qualcuno parlare il dialetto mi chiedo subito da dove viene quella parola, come luogo e come origine e se sento il dialetto delle mie zone è bellissimo levarsi la voglia di entrare nel discorso ed è come ritrovare vecchi amici, anche se non conosco gli interlocutori. Nessuna espressione italiana rende bene il concetto della situazione come quelle dialettali, ma a nessuno interessa più di tanto e quindi capisco che è proprio inutile spenderci dei soldi. Tutto deve essere fatto con la buona volontà ed io ho già cominciato ad andare nelle scuole (attentissimi gli alunni!) ma non è come parlare di… cose più moderne.
(Savino Rabotti)