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L’uomo che va a prostitute e trans. E la speranza

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VETTO (9 novembre 2009) – Chi c’era ha assistito a una serata culturale. Si può dissentire, ma chi scrive ne è convinto. Perché a discapito dei titoli di testa a un passo dall’osceno, Selva Morale è un film oltremodo moderno e neorealista che tratta del mondo della prostituzione in una metropoli italiana. Milano.

Paolo Maria Ruffini, 41 anni, impiegato di Vetto, ha recitato la parte del cattivo nel film. Ammesso e non concesso che il cattivo sia solo il violento di turno, e non anche i clienti di queste ragazze e donne.
Complice di questa parte, importante, nel film, è l’amicizia di Paolo Maria con Francesco Tosi, fumettista e titolare della Lifesaver, un’agenzia di pubblicità di Parma alle prese, con coraggio, con la produzione del lungometraggio che attende ancora di essere distribuito nelle sale. E sarebbe un peccato che un pubblico più vasto non ne potesse godere.

L’attrice principale è Anita Avanzini. Praticante avvocato di Parma, non ha avuto compenso. Eppure avrebbe meritato molto, perché recitando in spagnolo ha la parte difficile di una prostituta. Dove la scena più volgare lascia spazio al vomito. Nemmeno un seno. Di volgare c’è il degrado di una società che consuma tutto, persone comprese.
Paolo Maria Ruffini, nella parte del cattivo viene ferito (nella scena sul set, ma anche in realtà) da un trans. Tranquilli, ai tempi delle riprese il caso Marrazzo doveva ancora esplodere. Eppure in questo film dove alla protagonista perde anche l’unica amica, uccisa, resta un filo di speranza. Occorre saperlo cogliere nell’immagine di un crocifisso dinnanzi al quale Paolo, pentito, si inchina.
Singolare un’atroce fatto. Il film è dedicato a una ragazza venezuelana che avrebbe dovuto recitare la parte della protagonista. Aveva solo 19 anni ed era mamma da due. Proprio in concomitanza con l’inizio delle riprese è uscita di casa e non è mai tornata. Le ricerche, se si è stranieri, non durano molto. La badante con cui viveva, non in regola con la cittadinanza, non ha potuto adottare il suo bambino che già conosceva. Che così è finito in un orfanotrofio.

Quale è il succo dell’opera, chiese qualche tempo fa Tuttomontagna, a Paolo?
“E’ semplicemente uno spaccato, in stile neorealista, della società. Mette in risalto il clima di omertà che regna nel contesto umano trattato”. Gli uomini, assorti dalla loro indifferenza nel frequentare via Scaglioni numero 13, da questo film ne escono demoliti. La speranza con Paolo (redento) li riscatta.

(Gabriele Arlotti)

2 COMMENTS

  1. Quanto conta un apostrofo?
    Oggi è un tutt’uno! Gente che soffre contrapposta a gente che s’offre! Non c’è programma, anche televisivo, che non sia strutturato in tal modo. Da Floris a Santoro, passando per Vespa. Quelli ad esempio che presidiano aziende chiuse e quelli, come quelli di via Gradoli, tristemente famosa. Nel mezzo, tra le sponde, c’è gente comune che, attraverso quelle sponde, in silenzio fluisce. Solo un impegno precedente mi ha impedito di assistere al film. Un film che, conoscendo “Paolino”, avrà, sono certo, colpito nel segno…

    (Umberto G.)