Risveglio primaverile amaro per i muretti a secco vettesi e, prima ancora, per le popolazioni che ancora ne usufruiscono. Altre situazioni d’emergenza a Toano e Carpineti. Questa primavera piovosa sta pericolosamente riattivando frane storiche che ora incombono su interi paesi.
A SPIGONE
A causa degli smottamenti su più fronti lungo la comunale che si inerpica alle spalle del paese, rischiano di avere l’accesso compromesso le frazioni di La Costa, Casone, Spigone, quest’ultima attualmente isolata dall’accesso diretto al capoluogo, mentre restano aperta la strada verso Pineto – Rosano.
E proprio nel borgo medievale di Spigone, immerso in un castagneto d’epoca matildica, sono ben sei case a essere minacciate dal più grosso dei diversi smottamenti che interessano la comunale. Cinque di queste abitazioni sono seconde case, quindi prive di residenti, mentre l’ultima coppia di anziani agricoltori residente e ancora attiva ha trovato ospitalità presso un parente: si tratta dell’ultima stalla presente dopo mille anni di storia rurale del borgo.
Proprio sopra l’abitato del Casone da poco si era concluso un intervento del Comune con palificazione per il contenimento della strada per oltre cento metri. Questo tratto non ha mostrato segni di sofferenza.
AL LIDO
La situazione non migliora al Lido Enza di Vetto, il nucleo abitato in riva al fiume, subito a valle del capoluogo. Isolate quattro case: tre case di non residenti e una di un signore attualmente ricoverato per diversi motivi all’ospedale Sant’Anna.
Purtroppo sulla strada che d’estate conduce centinaia di turisti e bagnanti sul fiume insiste una frana di vastissime dimensioni e che già si era paurosamente attivata nel 2000: all’epoca venne riparata con uno straordinario intervento con new jersey (ad oggi metà divelti) e reti paramassi.
ALTRI SMOTTAMENTI
Singolare il fatto che a cedere siano molti di quei muretti – ancora in uso e funzionanti! – di cui si sta provando a curare il recupero e la ripresa. Hanno ceduto solo alla vulnerabilità dei pendii d’Appennino.
Oltre che Spigone, interruzioni in una serie di strade comunali, a Caiolla, Piagnolo (con due smottamenti, uno rilevante), Costaborga, Groppo e Rossigneto.
GEOLOGI SUL POSTO E STATO DI CALAMITA’
“Sono già partite le richieste verso i diversi enti competenti - apprendiamo dall’ufficio tecnico vettese – e in queste ore stanno salendo sul posto ripetutamente i geologi del Servizio tecnico dei bacino della Regione Emilia-Romagna. A Spigone viene monitorata la frana che incombe sull’abitato per cui sono stati installati appositi strumenti di rilevazione. A Lido Enza, invece, si è in attesa dell’intervento dell’elicottero per potere acquisire foto aeree e valutare il fronte della frana storica”.
Di qui la valutazione dell’opportunità di chiedere la dichiarazione di stato di calamità, anche per reperire le risorse finanziarie necessarie a interventi di manutenzione e sistemazione idrogeologica.
A CARPINETI SECCHIA
Ancora evacuato e difficilmente recuperabile il bar ristorante de La Capannina, in via Dorgola. Una famiglia è senza lavoro dopo che il fiume ha pericolosamente inclinato lo storico ristorante in legno edificato in riva al Secchia. A Colombaia di Carpineti ancora evacuate nei giorni scorsi due abitazioni. Nuova frana a Casa Lanzi, presso l’abitazione della famiglia Schenetti. Risulta chiusa la strada per Velluciana.
A TOANO
In condizioni di pericolo la frazione di Borella di Cerredolo. Qui si è reso necessario l’intervento della Protezione civile e dei gruppi alpini che, notte e giorno, continuano a monitorare da giorni le zone più a rischio a ridosso dell’abitato di Borella. A Riva di Cavola dove si è riattivato un corpo franoso che è tornato a incombere sul paese. Ieri il soprallugo del geologo del Servizio tecnico di bacino e del responsabile della Protezione civile Luciano Gobbi. La situazione è in peggioramento.
A BAISO
A Baiso continuano ad essere isolate le borgate di Guilgua e Ca’ dell’Esposto, chiusa la strada Ponte Secchia-Bebbio in località dell’Olmo. A Villa Minozzo
Non ultimo la protezione civile ha attivato una fase di attenzione per criticità idrogeologica per i prossimi quindici giorni: fino alle 15 di venerdì 5 aprile tutto il territorio sarà costantemente monitorato. (G.A.)
Ma, signori, è così in tutto l’Appennino. Sono 30 anni che non fanno più manutenzione su torrenti e fiumi, se andiamo avanti così andiamo tutti sul Po.
(un montanaro residente)
Penso che sulle strade possa dire anche la mia, il problema non è che da un giorno all’altro i muri crollano, le frane partono e il territorio si scopre fragile. Il problema principale è che non c’è più controllo del territorio, non c’è gente che controlla le acque, la campagna all’abbandono presenta il conto ai manufatti dell’uomo! Distintamente.
(Roberto Malvolti)
Grande Robbi! Meno Facebook e più badile! Saluti.
(Marco)
Alla definizione di Redacon “un Appennino che frana” il Comitato pro diga di Vetto aggiunge: “e franerà sempre di più”. E’ così perché non si è fatto nulla per trattenere l’uomo, il vero guardiano del territorio sui paesi montani, realizzando opere come la diga di Vetto che avrebbe portato uno sviluppo immenso su questi paesi, creando migliaia di posti di lavoro, portando il ripopolamento dei paesi e alla rivalutazione dei fabbricati e dei terreni agricoli del nostro Appennino, oltre ai benefici al clima, energia pulita, ecc.; al Bilancino, una diga inaugurata nel 2002, prima della costruzione della diga i terreni costavano mediamente 1.500 delle vecchie lire al mq, ora costano circa 20 Euro al mq. senza parlare del costo delle case e dei rustici in prossimità del lago. Ci auguriamo che dopo gli ingenti danni arrecati all’agricoltura reggiana e parmense dalla siccità del 2012, danni superiori al costo della diga di Vetto, e ora i danni che si stanno constatando sui paesi dell’Appenino per l’abbandono del territorio, facciano comprendere la necessità inderogabile di quest’opera, a meno che non si voglia aspettare che una possibile alluvione distrugga la valle dell’Enza come successo nella vicina Liguria o in Veneto nel recente passato; danni che la diga di Vetto eviterebbe interamente in quanto progettata per far fronte alla “piena millenaria”. Ora Vetto vuole chiedere lo stato di calamità?, proceda pure, ma non sarebbe più utile che dicesse “SI’” al progetto della diga di Vetto come fatto dai quattro Comuni montani le cui acque confluiscono nel lago di Vetto? Questi Comuni dicendo “SI’”, alcuni con voto unanime, sono convinti che la diga porti benefici non solo alla pianura ma anche alla montagna. L’onorevole Alessandro Carri, su tutto Montagna di marzo 2013, elenca chiaramente le motivazioni per cui la diga di Vetto deve essere realizzata; questo ci fa capire che non è solo il comitato a comprendere la necessità di quest’opera e non quella di un piccolo invaso che alla montagna non darebbe assolutamente nulla in quanto in estate sarebbe sempre vuoto.
(Lino Franzini – presidente del Comitato pro diga di Vetto)
Mi associo al signor Franzini: io sono un sostenitore della diga, sono uno di quelli che alla presentazione del progetto (anni “90) c’era e lo sosteneva. Ed oggi, più di ieri, c’è bisogno della diga!
(Roberto Malvolti)
Non capisco. Si parla di emergenza frane e c’è ancora qualcuno che sostiene l’utilità di una diga a Vetto? Ricordo a lor signori che quest’anno ricorre proprio il cinquantennale della strage del Vajont (1963-2013). Signori Franzini e Malvolti, se il 9 Ottobre non sapete cosa fare vi porterò volentieri a fare una gita in quei luoghi, casomai non abbiate ben presente cosa significhi frane e laghi artificiali messi assieme. Ossequi.
(Jarno Dall’Asta)
Caro signor Dall’Asta, ha per caso preso visione delle perizie tecniche sulla diga del Vajont? A volte consultare un testo tecnico fa fare meno brutte figure e evita che il tutto si trasformi in una semplice “chiacchiera da bar”. Ma l’Italia è proprio bella per questo: tutti sono tecnici, tutti sono medici e tutti sono amministratori. Poi finiamo come siamo ora, mah!
(Lufab)
Nei testi tecnici che lei è solito consultare c’è per caso scritto che per fermare le frane occorre bagnargli i piedi? A me risulta il contrario, ad esempio con setti drenanti, pozzi, ecc. Ma di sicuro mi sbaglio e a fare brutte figure sono solo io…
(Jarno Dall’Asta)
La tragedia del Vajont, al di là delle sentenze pronunciate, è stata determinata dalla presunzione di chi non ha voluto ascoltare un giovane geologo, figlio del progettista di quella diga, che aveva evidenziato il potenziale pericolo che si è poi concretizzato nella notte del 9 ottobre del 1963. Longarone è stato cancellato, non da un cedimento strutturale di un manufatto, ma dallo “stramazzo” di onda d’acqua di 30 milioni di mc, che uscì da quel lago a 50km/h. Una sfavorevole combinazione tra frane e laghi artificiali o una tragedia annunciata in quella situazione di dissesto idrogeologico? Per uscire dai discorsi da bar, ed affidarci alla razionalità del calcolo, si potrebbe commissionare un modello matematico a qualche Università, per verificare quali effetti si potrebbero avere nella valle dell’Enza ad un eventuale collasso di una sponda nel lago generato dalla tanto desiderata diga di Vetto. Per il Vajont è stato fatto ma, purtroppo, dopo.
(mv)
Chi vive sui paesi dell’Appennino 365 giorni all’anno come il sottoscritto e viene ogni giorno in città a lavorare ha modo di constatare, anno dopo anno, in quale situazione di abbandono, di dissesto e di spopolamento si trovano questi paesi e queste terre; non esiste più nessuna regimentazione delle acque meteoriche e quando piove i fossi e i torrenti si ingrossano in pochi minuti, scavano e sprofondano sempre più, provocando frane ovunque; paesi a rischio e abbandonati, strade che franano, case e rustici che crollano; ma purtroppo chi viene in montagna solo quindici giorni all’anno non può certo rendersi conto di questo e penso non gliene importi proprio nulla. A parte questa realtà, che io vivo quotidianamente, è triste leggere di paragoni con la diga di Vetto e quella del Vajont; mio fratello aveva 20 anni ed era là militare a portare aiuto a quei paesi; mi raccontava che tutti sapevano che il monte TOC, alto 2000 metri a picco sul lago, sarebbe scivolato nelle acque della diga. Fare certi paragoni è solo disinformazione e neppure onesto; della diga di Vetto si può dire di tutto, ma una cosa è certa, non potrà mai succedere quanto successo al Vajont, a meno che non si voglia costruire sopra la diga di Vetto una montagna alta come l’Alpe di Succiso a picco sul lago come al Vajont; per cui basta con il terrorismo e la disinformazione, ne vediamo già troppa in TV; diciamo onestamente le cose come stanno. Sappia il signor Franzini che il tempo della diga di Vetto verrà quando le città e la pianura non avranno più acqua da bere o da irrigare, quando saremo senza luce perché qualche paese arabo ci toglie il gas, quando la valle dell’Enza sarà alluvionata, quando gireremo con le maschere per respirare a causa dell’inquinamento e tanto altro; allora qualcuno penserà che la diga di Vetto serviva, non tanto per il lavoro, ma per tutto il resto; ma sarà troppo tardi per tutti, compreso coloro che oggi continuano a dire di no a quest’opera; e intanto le frane continuano a scendere e a distruggere.
(Sergio)
Nel calcolo, considerare “l’ipotesi peggiore”, non è né terrorismo né disinformazione, ma solo serietà e capacità professionale. Il paragone, tra la diga di Vetto e quella del Vajont, ci sta tutto: la causa che ha generato la tragedia del Vajont è stata una massa di terreno che è scivolata in quel lago artificiale e questo, in caso di instabilità, può succedere ovunque. “L’altezza”, è solo una “variabile” da cui quella massa può cadere o scivolare, il principio è un altro e si basa sulla meccanica dei liquidi.
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Ripeto che per fermare le frane, grosse e piccole che siano, l’unica cosa da evitare è dargli ulteriormente “da bere”. Non si può avere il controllo dell’acqua che cade dall’alto (leggasi pioggia), ma di sicuro è possibile evitare di fargliela risalire dal basso, ad esempio con un invaso artificiale ai piedi. Al di là di tutte le valutazioni, economiche e non, il discorso diga allacciato al problema delle frane è alquanto fuori luogo, poichè non è la soluzione ma, anzi, una possibile fonte di altri problemi. Parlando di frane, ovviamente. Può essere quindi vero che una grande strage è improbabile (ma non del tutto esclusa, come natura insegna), di sicuro le altre frane presenti nel bacino non ne trarrebbero assolutamente giovamento. Inoltre tengo a precisare che non vivo in pianura e non frequento la montagna solo per “quindici giorni l’anno”. Basta con queste autocelebrazioni ad unici depositari del vero.
(Jarno Dall’Asta)