Speriamo sia l'ultima perturbazione dell'anno.
Redacon (acronimo che sta per Redazione della Cooperativa Novanta) è un portale online gestito interamente da una redazione e una rete di collaboratori attivi nel mondo dell’informazione che incentrano il proprio interesse e punto di riferimento nel territorio dell’Appennino reggiano e dintorni.
A marzo ce ne potrebbero essere ma non così consistenti! Io ricordo benissimo marzo 2010.
(Simo P.)
Beh, proprio l’ultima dell’anno speriamo di no, magari l’ultima perturbazione dell’inverno!
(Giovanni)
Mi auguro che nevichi ancora. Le montagne hanno sempre bisogno di neve…. Voi non pensate mai alla siccità, al turismo invernale e ai campi?
(M.C.)
Scusi, quale turismo invernale?
(Jarno Dall’Asta)
Complimenti per la foto. A proposito, sig. Dall’Asta, da quanto afferma sembrerebbe essere estraneo al nostro territorio montano in quanto ignorerebbe che il nostro Appennino vive anche per il turismo invernale. Dunque mi pare utile ricordare che Cerreto Laghi, Pratizzano, Ventasso, Ospitaletto, Febbio (ora purtroppo soltanto ciaspolate, però fino a poco tempo fa lo sci alpino la faceva da padrone, grazie anche e soprattutto alle abbondanti nevicate di un tempo che fu! e forse anche a gestioni più “fortunate” del territorio) e come dimenticare Civago/Appenninia, la nostra piccola “Svizzera”. La neve è sempre stata fonte di ricchezza anche per l’agricoltura, ed in tempi non lontanissimi, quando i nostri benemeriti agricoltori montanari con grandi sacrifici e fatiche inenarrabili a causa anche della conformazione orografica del territorio e senza mezzi meccanici, ad agosto cominciavano con l’aratura a preparare i terreni che sarebbero serviti per le semine autunnali dei cereali. Infatti gli inverni con tanta neve erano prodromici ad abbondanti raccolti di grano, orzo e segala. Ed è per questo che, nella memoria di noi “anziani” montanari, il giorno della trebbiatura, giusto un anno dopo, viene ancora evocato come momento di gioia in quanto era il compimento di un “rito” che coronava il successo di un duro lavoro durato dodici mesi. Questa’ultima riflessione mi è venuta spontanea, forse esagerando, e se vi ho annoiato chiedo scusa, ma quanta nostalgia di quelle giornate di luglio con la “gente” che felicemente e tutti insieme, nonostante il caldo, la fatica, il sudore, lavorava cantando. La cosa che ricordo e che mi colpiva particolarmente era quando per un attimo, all’uomo sulla piattaforma addetto ad inserire i fasci di grano nella “bocca” della trebbiatrice, veniva a mancare il rifornimento urlava, “PAGLIA, PAGLIA”, non arrabbiato ma preoccupato perchè non si dovesse perdere neanche un attimo e consumare petrolio inutilmente (il motore che faceva funzionare l’impianto era alimentato a petrolio agricolo). Tutto ciò finiva con grandi pranzi, cene, sempre in allegria e con grandi canti. Altro motivo per cui rallegrarci delle abbondanti nevicate è la certezza che potremo così evitare lunghi e dannosi periodi di siccità portatori di fame e malattie. Un’ultimissima annotazione, ma non per importanza, la falda acquifera della Gabellina, località vicina al passo del Cerreto, è la seconda per importanza in Emilia-Romagna ed è formata da ben 6 (sei) milioni di metri cubi di acqua, così mi è stato scritto da tecnici del settore. Questa falda, fortunatamente, si rigenera tutti gli anni ed in particolare quando gli inverni sono generosi come quello che stiamo vivendo. Concludendo, caro M.C., poche ma sante parole le sue, quindi pala in spalla e…….. saluti nevosi.
(Sergio Tagliati, Reggio Emilia, 24 febbraio 2013)
Làsa chà névà… e ‘nn fàr gnàn la trìda, ad Agòst an ghè pò niènt.
(From a slow Apennines, mv)
Signor Tagliati, per incominciare la ringrazio per i bei ricordi che ci ha illustrato, memoria di un mondo che è cambiato tanto e molto velocemente in certi casi. Ho apprezzato quanto ha scritto.
Vorrei però informarla che il territorio montano lo conosco benissimo ed infatti chiedevo a quale turismo invernale si riferisse il commento precedente, dal momento che le citate stazioni sportive di Appenninia e Febbio sono chiuse da tempo e pure Ospitaletto non mi sembra tanto viva e vegeta. Spremute per anni attingendo alla sacra mammella dei fondi regionali, statali, europei e chi più ne ha, più ne metta. Aggiungo anche un tipico italico abusivismo/sfruttamento edilizio ad hoc del territorio, dopodiché, riempita la pancia, tutti imboscati e chi è rimasto si arrangi a tenersi ecomostri, buchi di bilancio e impianti da resuscitare. Inoltre anche a voler fare un turismo invernale meno invasivo e più vicino al territorio (escursioni, ciaspolate, sci-alpinismo, per esempio) comunque attività che non richiedono grossi interventi e strutture, ci si mettono in mezzo ottusi editti che segano ogni iniziativa sul nascere. Queste ordinanze di divieto, infatti, basano la loro applicazione ad un bollettino con relativa scala di pericolo redatto da dietro una scrivania, dal momento che non sono presenti apposite centraline di monitoraggio sul nostro territorio. Quindi il redattore al primo fiocco di neve mette un bel “pericolo 3” per pararsi il proprio posteriore e via con le ordinanze. Poi succede che la gente si stufa, va lo stesso e la volta che c’è veramente pericolo si va a cacciare in situazioni di rischio. Forse sarebbe meglio meno divieti ma più informazione ed investimenti per la sicurezza e la prevenzione. Le ricordo che nella nostra provincia vivono ed operano persone esperte, volontari e professionisti, che vengono raramente consultati. Detto questo concludo che non ritengo affatto che la neve sia un male, anzi. Mi fa proprio piacere che ce ne sia, nonostante i disagi che può causare. E’ però fondamentale per le riserve d’acqua (e quindi per i boschi e l’agricoltura), soprattutto considerati i lunghi periodi di siccità estiva a cui siamo purtroppo sempre più abituati.
(Jarno Dall’Asta)