“Lascialo lì che può tornar sempre bene”: quante volte lo abbiamo detto a noi stessi o a un familiare, riempiendo armadi e sgabuzzini. Gli oggetti raccontano la nostra vita, accompagnano le nostre storie e ricordano momenti, persone.
Quando l’accumulo diventa troppo, si fatica a liberarsi di cose superflue e l’attaccamento diventa morboso si può parlare di quello che in psicologia si definisce“disposofobia” o “sillogomania”, un disturbo da accumulo di oggetti patologico.
Hoarding (accaparramento), mentalità messie (confusionaria), sono termini inglesi che descrivono il fenomeno, il materiale accumulato diventa clutter, ammasso.
Cosa distingue la patologia dal collezionismo? L’accumulo indistinto di tutto. Giornali vecchi, volantini di pubblicità scadute, vestiti inutilizzati, confezioni di cibo scaduto. La casa di chi soffre di questo disturbo è inequivocabile. Si percepisce al volo che c’è qualcosa che non va, che la persona ha perso il controllo della propria vita che si manifesta in una baraonda di cose sparse e disorganizzate. La patologia si manifesta a vari livelli, e può focalizzarsi su oggetti diversi: accumulo di libri (bibliomania), DVD, CD, oppure oggetti specifici come vecchi televisori, lampadari, contenitori vuoti, pentole di un solo tipo che magari poi non si utilizzano mai.
Esiste una forma di disposofobia che si manifesta nell’allevare una quantità smisurata di gatti, vivendoci in promiscuità e condizioni igieniche indescrivibili.
Insomma se la patologia è una, differenziate sono le sue manifestazioni.
Di solito la persona all’inizio non vive il fenomeno come un problema, la patologia è ego sintonica, cioè non viene percepita come invalidante, anzi il soggetto trova mille giustificazioni per continuare il proprio racimolare carabattole. Poi arrivano dei punti di non ritorno e la persona vede come immenso il lavoro da fare per riordinare e liberare lo spazio. Per cui si troverà a non saper più come riorganizzare le cose, gli spazi, intrappolata tra il bisogno di trattenere e la necessità di disfarsi di cose per sopravvivere.
Imbarazzo ad invitare qualcuno a casa da parte soprattutto dei familiari, stanze e cantine stipate di cianfrusaglie, possono far pensare alla sindrome da accumulo compulsivo. Alcune persone arrivano a trascurare loro stesse igienicamente, riempiendo la propria casa di spazzatura, e di conseguenza di scarafaggi e topi. Di solito sono persone sole, e i vicini quando si accorgono, magari da un odore putrido, danno l’allarme ai servizi sociali. Non di rado devono intervenire i vigili del fuoco e squadre per la disinfestazione. Se i parenti sono lontano, spesso sono all'oscuro di come vive il disposofobico, che trova mille scuse per non fare entrare nessuno in casa. La sua condotta di vita emerge spesso per un malore e deve essere soccorso a domicilio da qualcuno che trova situazioni difficili da descrivere, nessuno spazio libero dove passare, stanze stracolme di materiale indefinito accumulato e sparso.
Caratteristiche di un di un accumulatore compulsivo (hoarder):
- riempire la casa di un gran numero di beni inutili o di scarso valore
- incapacità a separarsi dai propri beni e a disfarsene
- ingombro della casa tale da impedire l'uso della stessa
- incapacità a restituire oggetti presi in prestito; l'accaparramento impulsivo può portare in alcuni casi anche a diventare cleptomani o ladri
Ancora una volta inutile fare allarmismi, se da un lato siamo tutti attaccati ai nostri feticci del passato e non vorremmo mai disfarci del mazzo di rose secche che lui ci ha regalato in quella bella occasione, o non butteremmo mai via il primo bigliettino d’amore delle medie, dall’altro è sempre una questione di quantità.
Da uno a cento quanto siamo intasati di cose inutili?
E se lo siamo molto, perché?
Alcune ipotesi.
La nostra è la società dei consumi, venuta dopo la guerra. Molti anziani che hanno vissuto la miseria e la fame sono rimasti shockati dalle privazioni, cicatrici indelebili di fame e stenti li hanno portati ad avere ben presente che si ha tutto, ma da un momento all'altro tutto può non esserci più. La paura di non avere più nulla porta a un attaccamento morboso alle cose, al cibo. Molti anziani non riescono a buttare via alimenti scaduti, ricordandosi la vita che facevano in tempo di guerra per avere un po’ di grano o di farina per fare un pezzo di pane.
In alcuni casi la disposofobia precede una demenza, un deterioramento cognitivo nelle persone anziane che esorcizzano forse la paura della morte col voler trattenere la vita a tutti i costi attraverso gli oggetti a cui si aggrappano.
Altri invece possono attribuire all'accumulo il bisogno di essere attraverso l’avere.
Più ho, più sono.
Se non ho, se non tengo, temo di non esistere.
Qui si sconfina in un terreno psicologico. Più si ha bisogno di rappresentare se stessi con oggetti Sé, più siamo di fronte a una struttura di personalità debole, a insicurezze che si manifestano attraverso l'ammassare cose.
Accumulare può servire a riempire la paura di un vuoto esistenziale, affettivo. Freud parla di una fissazione alla fase anale, quella in cui il bambino intorno ai 3 anni di vita apprende il controllo degli sfinteri. Se qualcosa nel corso dello sviluppo va storto, il soggetto manifesterà un rapporto con le cose come estensione di Sé: o troppo trattenuto, controllante perfezionista, i cosiddetti tirchi, o i disorganizzati patologici, con punte estreme che evolvono in una fobia per conservare roba. Nei casi più estremi della patologia alcune persone arrivano a non voler buttare addirittura gli avanzi di cibo (o altre manifestazioni bizzarre e aberranti).
La persona che vive questo disagio non riesce a distinguere i propri veri bisogni, non possiede confini tra sé e le cose. Vi è in atto un processo di estensione del Sé in ogni caso, che viene ad assumere significato nella storia della singola persona.
L’accumulo ha a che fare con il suo opposto: il vuoto. Il vuoto può fare paura per diversi motivi. Riempirlo di cose è anche mettere un diaframma fra Sé e gli altri, l’oggetto rappresenta sempre una mediazione fra l’IO e il TU. L'ammassare mobili, carabattole può essere anche un tentativo disfunzionale di esprimere se stessi, il proprio valore. Una compensazione per qualcosa, (qualcuno?) che è mancato e tale lutto non è stato razionalizzato ed elaborato.
"Ho tanto, mi manifesto nel tanto." Oppure :" Sarò (avrò) mai abbastanza?"
Insomma sono molteplici gli aspetti implicati nel comportamento di ammassare compulsivamente. La generalizzazione sarebbe banalizzante. Ogni sintomo diventa funzionale nella vita del singolo e come tale va letto: dentro alla sua storia.
Di fatto siamo tutti mediamente accumulatori del superfluo. Un’ottima pratica è quella di disfarsi di ciò che non si usa, regalando, riutilizzando. Il Feng Shui, teoria orientale sulla disposizione armonica degli oggetti nell'ambiente, sostiene che gli spazi riflettono il mondo psichico, parlano di noi stessi. Pertanto una casa sgombera e lineare rappresenterebbe chiarezza di pensiero e armonia interiore. Diventa salutare quindi operare per rimuovere il clutter (disordine), il di più che non serve.
Decluttizzare (sgomberare, riordinare, liberarsi dall'inutile) rende più leggeri, essenziali e minimalisti.
Nella notte di Capodanno molte culture hanno l’usanza di gettare cose vecchie o bruciarle compiendo rituali bene augurali di rinascita e rinnovamento.
Possiamo perciò riflettere su ciò che non serve più nella nostra vita, facendo un bilancio anche simbolico e buttare il vecchio, per fare spazio al nuovo.
Felice anno!
Per approfondire: Tengo tutto. Perché non si riesce a buttare via niente Randy O. Frost, Gail Stekete 2012, Erickson ed.