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Emigrati a Londra da 25 anni

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“Grazie, padre, che bella Messa!” fa lei, radiosa. Ma il missionario, con un mezzo sorriso fa solo un cenno rassicurante. No, non era una Messa. Semplicemente, una celebrazione, preparata per filo e per segno, vissuta con calma, con gusto e bellezza.

Sì, celebrazione intensa e familiare per i 25 anni di matrimonio di Giuseppe e Angela, emigrati a Londra da tantissimi anni. Volevano dire grazie a Dio e alle loro... gambe. Per aver camminato insieme tanto a lungo, nonostante le difficoltà e le sorprese di una vita in emigrazione. Celebrare, così, nella preghiera uno splendido esempio di vita per i figli e i nipoti.

Padre Francesco, il missionario, fa assaporare alla famiglia e ad un piccolo stuolo di amici l’incontro con Dio. Il Dio di Abramo, colui che accompagna ancora oggi la loro vita. C’è pure Mohammed, un loro vicino di casa, musulmano, molto assorto. Si alternano Parola di Dio, riflessione, canto, musica di meditazione con qualche invocazione spontanea. Alla fine, una piccola processione alla statua della Madonna li fa rimanere a lungo in contemplazione... Gli occhi ridenti della Vergine sembrano dire: "Finalmente, vi rivedo!".

All’estero, in emigrazione, si è abituati a celebrare. Non tanto la Messa, come si fa da noi. Ma occasioni particolari, con tutto il loro contorno di canto, di preghiera, di meditazione e di gestualità. “Anche il Concilio raccomanda questo”, insiste padre Francesco Buttazzo, che è un vero esperto di canto liturgico “con un rituale appropriato. Invece in Italia per qualsiasi cosa si fa sempre una Messa, quasi automaticamente”. Aggiunge poi padre Flaminio, pensando alle volte che rientrava al suo lago d’Iseo: “Dalle nostre parti si fanno messe dappertutto... perfino in cimitero!”. All’estero, in un mondo protestante che da sempre sottolinea il valore della Parola, pare di capire diversamente le cose. L’Eucarestia è la fonte e l’apice della vita cristiana. Però, non si inflaziona. “È come mettere la collana d’oro e i bracciali d’argento tutti i giorni - vi dirà qualcuno - invece che nel giorno di festa!”.

Così, si celebra il matrimonio, il battesimo, il funerale, un anniversario di matrimonio, l’inizio del camposcuola... con una liturgia bella, ma generalmente senza eucarestia. In ogni celebrazione funebre, ad esempio, si aggiunge anche una parola di qualcuno di testimonianza, di riconoscenza o di saluto. Sono istanti di emozione e di preghiera con una forza interiore indimenticabile. La qualità dell’ascolto, palpabile. Anche il perdono si celebra, due volte all’anno, a quaresima e ad avvento. Pur essendo di sera, la chiesa si riempie lo stesso: si canta, si ascolta la Parola, si riflette e si chiede perdono insieme per le responsabilità personali o collettive. Momenti intensi, di qualità. I sacerdoti, in varie parti della chiesa, vi attendono, in piedi, per un breve gesto di perdono. Ogni fedele posa le due mani nelle mani di uno e sembra di mettere la propria vita, fatta di luce e di ombre, nelle mani stesse di Dio. Le sue parole di perdono, infine, vi accompagnano fino a casa. “Quanto mi piace questa confessione!”, esclama Maria, come trasformata dentro, andandosene.

Quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur” (Quanto viene recepito è proporzionale alla capacità di chi recepisce) vi scaglia simpaticamente, poi, il missionario, una massima dell’antica filosofia scolastica. Le nostre assemblee all’estero, cioè, sono varie, miste, di sensibilità religiosa differente, spesso insieme a non cristiani o a non credenti. Che cosa direbbe mai a loro il rito di una Messa?! La domenica, invece, l’eucarestia raccoglie l’assemblea dei discepoli intorno al proprio Maestro e al suo gesto più grande e impegnativo: lo spezzare il pane.

E questo, in fondo, fa ricordare un monastero nel nord Italia, quando anni fa, rientrando in cella, vi trovavo scritto dietro la mia porta, sobriamente: “L’eucarestia la celebriamo il giorno del Signore. Gli altri giorni si prega. Scusate”.

(Renato Zilio,  missionario dei migranti  a Londra, autore di “Dio attende alla frontiera”)