In Italia su una popolazione di 60,8 milioni di residenti, lavorano solo 22,3 milioni di persone, ovvero il 36,8%. Ormai lavora un italiano su tre. Per essere una repubblica fondata sul lavoro, forse si incomincia a scorgere qualche incongruenza. Pil oltre -3% in sei anni; l'economia è andata giù di ben oltre un 3%, e In questo periodo sono stati persi 450.000 posti di lavoro.
Vediamo invece i dati della Germania: PIL più 6,3% cumulato dal 2007 per il prodotto interno lordo, benché nel solo anno dopo il crac di Lehman, vale a dire nel 2009, l'economia tedesca sia caduta del 5%. Nello stesso periodo la Spagna ha visto la disoccupazione salire dal 9% fino al 25% circa; un tale livello è paragonabile solo alla quota dei senza lavoro negli Stati Uniti al culmine della Grande depressione degli anni ’30.
Ma il dato più sorprendente riguarda l'Italia: nel Paese la disoccupazione ufficiale resta relativamente contenuta al 10,8%, meno della metà che in Spagna. Abbiamo già visto però che questo dato non tiene conto dei cassaintegrati che ormai sono una cifra improponibile. In realtà dunque tra “scoraggiati” che non cercano più il lavoro, cassaintegrati, prepensionati, falsi invalidi, donne a casa per assenza di asili nido dove lasciare i figli, si raggiunge una misura importante di popolazione della quale non si teine conto nei dati di disoccupazione ufficiale; solo per questo motivo i dati italiani appaiono (sulla carta ma non nella sostanza) molto migliori che in Spagna o in Grecia. A realtà dei fatti, depurata dai dati inattendibili delle disoccupazione ufficiale ben distanti da quella reale, abbiamo un dato concreto: ha un posto di lavoro regolare appena un italiano ogni tre, meno che in quasi tutti gli altri Paese europei. Spagna inclusa.
Secondo Eurostat gli occupati in Italia sono (al primo trimestre di quest'anno) 450 mila in meno che nel 2007, quando esplose quella che allora si chiamava la crisi dei subprime. Oggi su una popolazione che l'ufficio statistico europeo valuta in 60,8 milioni di residenti, lavorano solo 22,3 milioni di persone. I lavoratori regolari in Italia raggiungono la quota del 36,8%, superiore - di poco - solo a quella della Grecia; ben poco consolante se si pensa che questo Paese ha “cifre” di disoccupazione e di caduta del Pil (meno -15% dal 2007) in tutto simili a quelli della Grande depressione americana. Già da tempo economisti paragonano l'economia italiana a una piramide rovesciata, la cui base formata da chi produce si restringe sempre di più. Se si eliminasse l'apporto degli stranieri, fra i quali svolge un'attività una quota più elevata di persone (circa il 44%), emergerebbe che i cittadini italiani effettivamente al lavoro sono poco più di uno su tre. A ciò deve anche aggiungersi che la «base stretta» della piramide è l'età media decisamente elevata della popolazione. Nel nostro Paese vivono molti più anziani che in Spagna o in Grecia. L'italiano «di mezzo», quello più giovane di metà della popolazione e più vecchio dell'altra metà, oggi ha 43,8 anni. È uno dei livelli più alti al mondo con il Giappone (45,4 anni) e la Germania (45,3). Al contrario nell'economia tedesca lavora il 47,3% della popolazione totale.
Altra caratteristica italiana è altrettanto nota; la partecipazione delle donne al lavoro è fra le più basse dei Paesi avanzati.
L’esperienza tedesca. Il 16 agosto 2002 – dieci anni fa - il direttore del personale della Volkswagen, Peter Hartz, consegnava all'allora cancelliere Gerhard Schröder una nuova proposta sul welfare e il lavoro in Germania. Si chiamava «Agenda 2010». La proposta prevedeva di ridurre e poi togliere il sussidio ai disoccupati che rifiutassero un'offerta di lavoro; il manager della Volkswagen, cogestita con i sindacati, consigliava al cancelliere di rifondare l'intero sistema di tutele sul punto di lavoro. Centinaia di migliaia di persone sarebbero scese in piazza contro Schröder nei due anni seguenti, al punto che il cancelliere non sarebbe stato rieletto. Oggi in Germania la musica è ben diversa da quella italiana. E lo spartito che oggi i tedeschi suonano all’Italia viene da loro esperienze dolorose, che giustamente non vogliono “regalare” a chi quelle scelte non le ha sapute o volute fare. Inutile tendere la nostra mano senza “condizioni”; quella nostra mano resterà vuota. Ovvero le condizioni imposte saranno “greche”: il nostro Paese le saprà accettare ?
Vorrei ricordare a colui che ha scritto questo articolo che in Italia esiste un tessuto industriale che in Europa è secondo solo alla Germania. In Spagna non hanno mai avuto industrie o pma. Il nostro è il secondo paese esportatore d’Europa, cosa che la Spagna non è mai stata. La tragedia della Spagna è che loro hanno sempre e solo puntato sull’edilizia, in Italia questa ha sempre rappresentato solo una minima parte del pil, ed infatti non abbiamo avuto nessuna bolla. Quindi informarsi un po’ meglio e smetterla di piangersi addosso. Il problema dell’Italia è la crescita, ma le basi ci sono, il tessuto industriale e manifatturiero esiste eccome! Il problema della Spagna è una economia tutta da reinventare.
(Arezzo)
195 miliardi di sofferenze lorde nel nostro sistema bancario; di questi miliardi, 107 sono di sofferenze nette, le nostre banche possono ormai finanziarsi unicamente in BCE essendo escluse (ritenute non affidabili) dal mercanto interbancario. Se si perde anche l’ultima A di rating (che ci ha lasicato solo genzia fitch) il collaterale che le nostre banche devono fornire a BCE per accedere ai prestiti aumenterà del 30%, come vede io sono informata e posso dire che di questo passo il nostro sistema imprenditoriale si sgretola. Non sarà certo la nicchia di export a consentire la crescita, magari lo fosse, credo che guardare in faccia la realtà non significhi piangersi addosso ma prendere atto che la svolta è ormai alle porte e non sarà “lieve”. Abbiamo appreso qualche giorno fa che anche il membro tedesco più “morbido” nel board BCE chiede che a fianco delle rigide condizioni per accedere agli acquisti di bond sovrani, occorra anche la supervisione del FMI. Io ho ben presente cosa significa questo, quindi non vivo di illusioni ma di dati concreti.
(Rossella Ognibene)
Premesso che la percentuale degli occupati si calcola sulla forza lavoro e non sulla popolazione residente, qui non si tiene conto di una bazzeccola come l’economia sommersa italiana, di cui già Friedman diceva: “se l’Italia si regge ancora è grazie al mercato nero ed all’evasione fiscale che sono in grado di sottrarre ricchezze alla macchina parassitaria ed improduttiva dello Stato per indirizzarle verso attività produttive”. Senza tenere conto del sommerso non si spiegherebbero neanche i numeri dell’articolo che, se letti a prescindere da altri dati, sono numeri di un’economia già collassata da un pezzo. In ultimo, è vero che la Germania è stata brava e ha fatto le riforme per tempo, ma allo stato attuale sarebbe già più che sufficiente che la piantasse di fomentare l’instabilità dei mercati (non senza trarne qualche vantaggio…) con le continue e contraddittorie uscite dei suoi esponenti politici.
Salute.
(R.S.)
La Germania invece trae vantaggio dal walzer dello spread eccome e si finanzia a tassi negativi e noi paghiamo la differenza; è questo il paradosso della pseudo Unione Europea. E anche se nessuno ne parla ci sono stati che hanno già pronta un exit strategy dall’euro. Se va bene siamo commissariati solo per i prossimi 5-7 anni.
(Lorenzo Fabbiani)