Una comitiva assortita della montagna ha fatto visita ieri a San Patrignano, comunità per il recupero delle dipendenze. L’uscita è stata organizzata dall’associazione di genitori AGIRE, e vi hanno partecipato nonni, adulti e la classe 2°M del liceo delle scienze sociali dell’Istituto Cattaneo.
Arrivati a San Patrignano si ha l’impressione di entrare in un microcosmo parallelo. Il primo impatto è l’ordine, la cura dei luoghi. Vigneti, stalle di cavalli e allevamenti bovini, allevamenti di cani, campi sportivi, un ospedale, un palazzetto dello sport, un teatro, scuole, bambini che giocano. Una città completa, lì sospesa tra le prime colline di Rimini. Successivamente si iniziano ad incontrare centinaia di giovani lì residenti che lavorano, corrono, fanno sport, ma non sono mai da soli.
Ad accoglierci Gianluca, 41 anni, lì da 5. Con semplicità si rende disponibile alle mille domande che subito vengono alla mente dei visitatori. Ci racconta la sua storia, un passato di tossicodipendenza, lo spaccio, 3 anni di carcere poi l’indulto e la comunità. “Sono rimasto perché il posto mi ha dato tanto, e io ho dato tanto a questo posto. Ora faccio il falegname, e sono responsabile di 9 giovani che mi sono stati affidati. Sono come figli.”
Sul sistema di recupero non ci è dato molto sapere. Ascoltando i racconti si evince che qui si arriva, previo un colloquio, dopo aver sospeso da un po’ le sostanze, seguiti in strutture che fanno accoglienza fuori. Dopo di che viene si è affidati a un “anziano” che segue il singolo in tutto e per tutto. Il lavoro e il sostegno di chi è qui fanno il resto.
Entriamo in un salone immenso per il pranzo, capace di accogliere più di 2000 persone. Schiere di giovani in divisa pronti a servirci. Le tavolate sono apparecchiate con una cura particolare da cui si intuisce che la disciplina, la regola e l’ordine sono parte integrante e indispensabile per il percorso di chi è qui.
Gianluca sta con noi tutto il tempo, ci racconta che sta seguendo un progetto fatto con l’università di Milano per il recupero del legno delle botti con cui si stagiona il vino. Architetti e designer hanno fatto il progetto per costruire mobili d’autore. Nel tavolo a fianco al nostro, lì tra la folla di commensali, riconosciamo un ospite eccellente: Letizia Moratti, ex ministro dell’istruzione, da sempre sostenitrice della comunità con il marito Gianmarco.
Sorride e saluta tutti i ragazzi come se fossero suoi parenti. Alla richiesta di un insegnante a fare una foto insieme acconsente con naturalezza.
Proseguiamo la nostra visita e partecipiamo in un teatro all’incontro con altri ragazzi che salgono sul palco e iniziano a narrare la loro storia. Questa parte ci investe come un tifone e ci travolge.
Lando, 23 anni di Sassari, un ragazzo semplice, con un italiano che inciampa per l’emozione e per il suo vissuto in strada, ci trascina dentro alla sua vita e ci inchioda in pochi minuti con la sua autenticità. Nessuno ha il coraggio di respirare. Cresciuto in una famiglia umile, il padre col vizio di bere, l’ambiente familiare che percepisce un luogo caldo e sicuro.
Poi là fuori, alle medie, le prime esperienze con l’hashish, le droghe di sintesi, lui e la sorella giù a rotta di collo in una spirale di morte, di autodistruzione, di sostanze e di sfide, di fughe da se stessi, dentro alla dipendenza che ti mangia l’anima, fino all’eroina in vena.
Sull’orlo del suicidio decide di vivere e di entrare in comunità, accompagnato dal padre, in lacrime, che gli promette di non bere più nemmeno lui.
Un racconto agghiacciante, crudo, spontaneo, senza nascondere nulla, mettendo a nudo le proprie paure.
Altre storie ci vengono raccontate, un unico filo rosso le accomuna: “ero timido, mi mancava qualcosa, sentivo di non riuscire a emergere, guardavo gli altri e mi sembravano tutti più disinvolti, capaci. Io mi sentivo inadeguato, insoddisfatto di me. Ho provato la droga, mi è piaciuto l’effetto. Riuscivo a divertirmi, a essere un galletto, mi sentivo padrone del mondo. Avevo trovato la soluzione. Ero a posto. Peccato fosse una soluzione finta. “
“Arrivando a San Patrignano ti accorgi che la droga ce l’hai dentro, che non sai ‘stare’. Sei abituato ad alterarti e non sei capace di relazionarti agli altri se non attraverso bugie, finzioni. Chi si droga non si conosce, smette di sentire. Stai qui e stai male, perché devi imparare tutto di nuovo. Chi eri ‘prima’, piano piano.”
Mario, Matteo, Giovanni: cambiano i loro nomi ma li accomuna un passato di dipendenza forte.
“Ero dipendente dal giudizio degli altri, mi sentivo sempre insicuro. Ma mai avrei pensato di ridurmi così. Avevo il terrore degli aghi, mi facevano schifo i drogati. Eppure mi si ci sono ritrovato. Ogni volta mi veniva il dubbio’ mi farà male?’ tuttavia sceglievo di farmi del male, sceglievo di ‘farmi’, di scappare dai problemi, volevo nascondere a me stesso la mia fragilità e mi illudevo di risolvere tutto così. Invece eccomi qui con la mia insicurezza, la mia inadeguatezza, son sempre io, Lando, ma ora non scappo più, non mi nascondo più.”
“Mi sveglio al mattino contento di essere quello che sono, contento di me” dice Giacomo. “Accetto la mia sensibilità, mi piaccio così, mi vado bene. Non ho paura di essere quello che sono e quello che sono stato. Mi piace guardare in faccia la gente e conoscere. Sono affamato di vita, mi sto diplomando a 26 anni. Forse mi laureerò un giorno. Con i miei genitori ora ho un rapporto di amore totale. Quando vedo qualcuno che ‘si fa’ provo tanta pena, rabbia, penso al tempo che stanno perdendo, alla vita buttata via.”
Un messaggio importante per i nostri ragazzi che sono lì ad ascoltare rapiti, attoniti: “ Ricordatevi che potete scegliere. Scegliete di essere voi stessi, non scappate. Fate delle vostre fragilità la vostra forza.”
Molto hanno insistito per far parlare i nostri studenti: "non sottovalutate le vostre scelte. Avreste mai detto un giorno da bambini che avreste fumato? Ora molti di voi fumano sigarette. Valutate sempre i passi che fate. Prendetevi delle responsabilità. Abituarsi a prendere degli impegni, coltivare passioni vi terrà lontani dalle dipedenze."
Cosa possiamo fare come genitori? "Esserci."
Usciamo di lì con un silenzio profondo nel cuore. Con la sensazione di aver ascoltato la vita, qualcosa di vero e autentico che ci fa pensare tutti.
I ragazzi che si vedono quotidianamente tentati dalle sostanze che girano travestite da coraggio. Maschere pret-à-porter per una allegria finta che nasconde anime di vetro. I nonni che ai loro tempi i problemi erano ben diversi e che guardano come stranieri questa gioventù che ha tutto e non sa star bene. Noi genitori che spesso abbiamo affogato d’amore i nostri figli impedendogli di imparare a “fare senza”.
Facciamo l’ultima foto con i ragazzi di San Patrignano che salgono con noi sul pulman.
Grati per questa testimonianza.
Che bella, questa esperienza, soprattutto educativa, utile per non criticare senza conoscere. Un plauso agli organizzatori e ai ragazzi che hanno partecipato. A casa nostra una comunità così non c’è, ma se si vuole vedere e conoscere un altro tipo di sofferenza si può andare al Simap locale, dove ci sono persone attanagliate dalla malattia mentale e dallo stigma. Anche qui c’è una grande sofferenza e noi famigliari siamo impotenti di fronte a tanto dolore. Ci sarebbe bisogno di parlare di questo nelle scuole, affinchè i ragazzi si rendessero conto che la malattia mentale non è una colpa o una scelta di vita, ma è qualcosa che condiziona l’esistenza del malato e delle famiglie, spesso in modo irreversibile.
(Commemto firmato)