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Cirillo Dallari, Remo Grasselli, Afro Vasirani: tre uomini, tre storie per non dimenticare

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La consegna delle medaglie d'onore ai deportati e internati in Germania è occasione per ripetere insieme ai nomi la storia, sempre uguale e sempre diversa, di chi alla Storia ha pagato il prezzo più alto. Ricordiamo anche noi allora tre cittadini originari di Casina: Cirillo Dallari di Sarzano, Remo Grasselli di Pianzo e Afro Vasirani di Beleo. Soltanto quest’ultimo ha potuto ricevere il riconoscimento dalle mani del prefetto Antonella De Miro nel corso della cerimonia svoltasi venerdì in prefettura; per Cirillo Dallari, deceduto più di vent’anni fa, lo ha ritirato il figlio Luigi, accompagnato dal primo cittadino Gianfranco Rinaldi; per Remo Grasselli, anch’egli deceduto, la figlia Lucia con accanto Mirca Carletti, sindaco di San Polo, residenza attuale della figlia. Afro Vasirani, oggi residente a Villaminozzo, ha avuto una soddisfazione in più: a indossare la fascia tricolore era il nipote Fabio Vasirani, consigliere comunale di minoranza, delegato dal sindaco Luigi Fiocchi a rappresentarlo.

L'artigliere Cirillo Dallari su uno dei cavalli affidati alle sue cure

Tre nomi tre storie. Quella di Cirillo Dallari, classe 1917, catturato il 12 settembre 1943 in Croazia, ce la ricorda la figlia Miriam Antonella, maestra a Paullo:
“Ha sempre raccontato la sua esperienza con dolore ma con l'orgoglio di aver fatto il proprio dovere. Il suo racconto era simile a quello di tutti gli altri: viaggio, dopo la cattura, in carri bestiame, vita al limite della sopravvivenza nel campo. La loro "arma" era il cucchiaio, che tenevano sempre nascosto nel taschino della giacca, pronto all'uso se durante il trasferimento al lavoro (nei campi o in miniera) si fosse presentata l'occasione di rubare un po' di cibo alle galline o ai maiali. Mangiavano, di nascosto, bucce di patate arrostite sul tubo della stufa o, in quanto cacciatore, qualche capo di selvaggina catturato con trappole. Il cibo passato al campo, da solo, difficilmente sarebbe stato sufficiente per sopravvivere. Anche la popolazione civile, in particolare le donne, viste le loro condizioni, a volte cercava di aiutarli, a proprio rischio e pericolo, passando loro di nascosto una pagnotta di pane. Durante il lavoro in miniera aveva avuto un piccolo incidente: aveva lasciato l'ultima falange del dito medio destro sotto un carrello pieno di carbone che glielo aveva tranciato. Su consiglio di alcuni compagni non si è rivolto all'infermeria, perché era già capitato spesso che dall'infermeria non si uscisse vivi. Liberato in aprile, giunse a Casina in luglio. Quando è arrivato a casa, una persona l'ha riconosciuto e ha esclamato: "E' tornato il figlio della povera Cesira"! Ha saputo così, da quel povera, che mentre lui era via sua mamma era morta".

 

Remo Grasselli è stato per oltre due anni prigioniero nei lager nazisti e destinato al lavoro coatto. Nato nel 1913, primo di undici figli di una famiglia di contadini, militare nel 1935 nel 24° Battaglione Mortai da 81 allo scoppio della guerra, nel 1940 viene richiamato sotto le armi: Albania, Grecia, confine jugoslavo.

Anche al fronte il pensiero è a casa, alle molte lettere fa seguito qualche vaglia, a volte 150 lire a volte 250, i risparmi della sua paga di soldato: "Nonostante rischiasse la vita come soldato ed in Albania si fosse ammalato anche di malaria - sottolinea la figlia Lucia con commosso orgoglio- mio padre si preoccupava perché non poteva aiutare i genitori nel lavoro dei campi".

Che cosa avrà provato quel 10 settembre del 1943, catturato a Durazzo e deportato nel campo di lavoro di Gellenau Glatz sul confine con la Polonia? Il lavoro in un’officina dove si costruivano pezzi per aerei senza altro cibo che brodaglie di radici e rape gli fa perdere quindici chili in un anno. Con il passaggio a lavorare presso una famiglia tedesca di contadini, qualche patata cotta sotto la cenere è forse la salvezza, qualcosa da ripetere dopo il ritorno a casa nel 1946, a una nuova famiglia, a una vita che conserva gratitudine per tutto ciò che ai più sembra normale.

Afro Vasirani è uno dei testimoni che hanno consentito di ricostruire la prigionia in uno dei campi più terribili, Kahla, ben documentato da Cleonice Pignedoli nel dvd “Cavalli 8 uomini 40”. L’espressività del suo viso ben rende sia il dolore sofferto che una nuova e più grande forza e consapevolezza se non serenità, la capacità di comprendere e reagire alle vicende della vita e di inserirle in un contesto più ampio che ho trovato in tanti nel corso delle numerose interviste.

Classe 1924, quando arriva l’8 settembre Afro è a Pinerolo, a un corso per sottoufficiali. Scappa, ritorna a casa a Beleo, allora comune di Ciano d’Enza, e aiuta i primi gruppi di partigiani a raggiungere Villaminozzo. Viene costretto a presentarsi alla leva della Repubblica di Salò, sotto la minaccia di mandare il padre in Germania. Viene inviato sulla linea Gustav a combattere a fianco dei tedeschi. Scappa una seconda volta ma viene infine catturato a Migliara. Rientra dalla Germania in condizioni precarie di salute. Si sposa, ha due figli, va a lavorare a Milano e al ritorno si stabilisce a Villa Minozzo.

Proprio da testimonianza raccolta nella sua casa di Carniana  da Cleonice Pignedoli il 14 aprile 2004 ci riporta in presa diretta a quei giorni: “Sono stato catturato a Migliara l’11 agosto del 44 , siamo stati portati a Reggio, poi a Fossoli di Carpi, da lì a Verona e da Verona in Germania a Kahla. Abbiamo fatto tappa al Brennero e poi direttamente a Kahla.

A Migliara ero nel campo a caricare il grano,  hanno preso Comi, il povero Comi, Peppo, che il cognome non me lo ricordo [Ferri], di Ca d’ Oress , N. B. da Marola . Lui l’hanno lasciato andare subito, poi quel bravo dottore di Casina, eh ogni tanto la memoria scappa, Omero da Casa Pietro, un maresciallo che abitava a Marola a far campagna, l’avevano preso anche lui, e el fiul d’ Vinin da Miara, Cesare.

A Kahla son morti Cesare [Zanetti], Peppo che era il genero del cantoniere del comune che aveva sposato la Vittoria e il povero Comi.

Quelli che son morti sono ancora sottoterra là, scavavano le fosse  dentro la pineta..

Ero al lager 7B , in quella valle dove passava un fiumiciattolo, io avevo la pleure e loro mi buttavano addosso dei secchi d’acqua gelata da quel fiume lì.

 Io non potevo più lavorare e loro mi venivano a prendere per fare la legna per il “burò” , come dicevano loro, per scaldarsi e dopo io crollavo, andavo in terra e  loro mi buttavano addosso l’acqua gelata e poi dicevano di andare in baracca e io piano piano tornavo in baracca. 

Per fortuna una crocerossina dopo tanto è passata dalla mia baracca, ha mandato gli infermieri, mi ha portato in infermeria, ha cominciato a farmi delle punture, un po’ di carne abbrustolita, dopo venivano i tedeschi a “fare la revisione”, chi stava bene doveva andare al lavoro e lei mi nascondeva nella sua camera e così son stato lì fino alla liberazione. Non mi ricordo come si chiamava, c’ho pensato tanto… Era una triestina, dopo ha sposato il barbiere del campo, un romano,  è andata a finire a Roma. Non sono rimasto in  contatto, siamo arrivati a casa che eravamo così sfiniti e anche privi di memoria, per nostra fortuna. [---]
Io alla Liberazione l’ho caricata di roba
( la crocerossina) perché c’han dato tre giorni di mano libera.. per andar nelle case.. e lei aveva avuto una bambina con questo romano, e allora c’ho portato carrozzina, tutta la bella roba che trovavo l’ho data a lei, delle pellicce, ogni ben di Dio. Del male non ne ho fatto ai tedeschi perché c’ho perdonato, però quella roba lì ce l’ho fregata. Non era un rubare era una beneficenza, un dovere che avevo verso quella donna. Per me non ho portato che due panni militari.

Eravamo diventati come le bestie, uno fregava all’altro il pane, a chi moriva portavano via la tessera, non davi più peso alla vita, non vedevi l’ora di morire e poi la fortuna ha voluto così, forse la mia povera mamma che era morta  ha pregato dal cielo …

Come si poteva vivere? Bastonate, poco mangiare, lavorare, dalla mattina alle 5 venivi giù alla sera, andavi in fila in squadra a prendere un mescolino di roba una fettina di pane e il mangiare non era niente per quello che si faceva…

Portavamo su dei sacchetti di cemento su per la montagna, ci mettevano tutti in fila con i sacchetti in spalla e poi c’eran dei bambini, io dico, con dei fucili, se ti fermavi ti bastonavano. Tanti poi morivano lì. Quando si tornava indietro alla mattina si vedevano i morti nei prati che morivano durante il lavoro.

E così …. Prima ho fatto il manovale e il muratore che facevamo tutti i “burò” nel campo. Poi mi han mandato a portar su il cemento e da lì mi han mandato dentro (le gallerie) a fare i mattoni a mano e poi mi han messo sulla ferrovia.

Era dicembre , eravamo nudi e scalzi, siamo andati via d’estate con due scarpette leggere e dopo ci mettevamo i sacchetti di cemento nei piedi e  addosso per ripararci.

Avevano degli italiani che comandavano lì, erano peggio dei tedeschi.. Alla sera quando ci davano da mangiare , quei criminali dicevano: “Ce n’è rimasto, mettetevi in fila” e poi ci buttavano contro i cani.. Comi il primo che è morto, è morto per un’infezione alle gambe dove l’avevano morsicato i cani, ha avuto la cancrena . E’ stato uno dei primi a sentire la fame , è morto dopo poco, dalla cancrena, morsicato dai cani…

Tanti quando sapevano che arrivava il fronte li han mandati nel campo di sterminio e tanti che conoscevo son rimasti là .

Quando m’han preso Beleo era sotto Ciano , con me c’era Bruno Zannoni di Gombio, Egidio Zini di Carpineti. Era in una baracca vicino, ci vedevamo tutte le sere.

Mi son malato alla fine di febbraio, dopo non ne potevo più, ero ridotto 34 chili.

Siam stati fortunati che il 4 aprile sono arrivati gli americani e dopo qualcuno è morto per troppo mangiare. Gli americani buttavano giù biscotti, cioccolata. Dopo siamo rimasti una settimana sotto i russi, loro facevano bollire una pecora con le patate. A Kahla eravamo in migliaia tra  russi, polacchi, anche delle donne e famiglie. Era una cosa tremenda vedere queste donne con il piccone. Loro come freddo erano attrezzati, gente forte, rossa, robusta. Chi moriva subito erano i belgi, facevano delle pance così poi morivano… tanti sono morti . Tutte le mattine si caricava i camion come caricare la legna, da una parte lo scavatore e via… la fossa comune , morti, calce e terreno , era poco distante dal campo....

Ho pensato di farla finita ma poi pensavo: e se domani viene la Liberazione…?!

Dopo la Liberazione andavamo a Erfurt  con gli americani e poi loro prendevamo su delle donne e ballavano, gli americani si son divertiti, ma noi avevamo poco da ballare.”
Remo Grasselli è stato per oltre due anni prigioniero nei lager nazisti e destinato al lavoro coatto. Nato nel 1913, primo di undici figli di una famiglia di contadini, militare nel 1935 nel 24° Battaglione Mortai da 81 allo scoppio della guerra, nel 1940 viene richiamato sotto le armi: Albania, Grecia, confine jugoslavo.

Anche al fronte il pensiero è a casa, alle molte lettere fa seguito qualche vaglia, a volte 150 lire a volte 250, i risparmi della sua paga di soldato: "Nonostante rischiasse la vita come soldato ed in Albania si fosse ammalato anche di malaria - sottolinea la figlia Lucia con commosso orgoglio- mio padre si preoccupava perché non poteva aiutare i genitori nel lavoro dei campi".

Che cosa avrà provato quel 10 settembre del 1943, catturato a Durazzo e deportato nel campo di lavoro di Gellenau Glatz sul confine con la Polonia? Il lavoro in un’officina dove si costruivano pezzi per aerei senza altro cibo che brodaglie di radici e rape gli fa perdere quindici chili in un anno. Con il passaggio a lavorare presso una famiglia tedesca di contadini, qualche patata cotta sotto la cenere è forse la salvezza, qualcosa da ripetere dopo il ritorno a casa nel 1946, a una nuova famiglia, a una vita che conserva gratitudine per tutto ciò che ai più sembra normale.

Afro Vasirani è uno dei testimoni che hanno consentito di ricostruire la prigionia in uno dei campi più terribili, Kahla, ben documentato da Cleonice Pignedoli nel dvd “Cavalli 8 uomini 40”. L’espressività del suo viso ben rende sia il dolore sofferto che una nuova e più grande forza e consapevolezza se non serenità, la capacità di comprendere e reagire alle vicende della vita e di inserirle in un contesto più ampio che ho trovato in tanti nel corso delle numerose interviste.

Classe 1924, quando arriva l’8 settembre Afro è a Pinerolo, a un corso per sottoufficiali. Scappa, ritorna a casa a Beleo, allora comune di Ciano d’Enza, e aiuta i primi gruppi di partigiani a raggiungere Villaminozzo. Viene costretto a presentarsi alla leva della Repubblica di Salò, sotto la minaccia di mandare il padre in Germania. Viene inviato sulla linea Gustav a combattere a fianco dei tedeschi. Scappa una seconda volta ma viene infine catturato a Migliara. Rientra dalla Germania in condizioni precarie di salute. Si sposa, ha due figli, va a lavorare a Milano e al ritorno si stabilisce a Villa Minozzo.

Proprio la testimonianza raccolta nella sua casa di Carniana  da Cleonice Pignedoli il 14 aprile 2004 ci riporta in presa diretta a quei giorni:

Sono stato catturato a Migliara l’11 agosto del 44 , siamo stati portati a Reggio, poi a Fossoli di Carpi, da lì a Verona e da Verona in Germania a Kahla. Abbiamo fatto tappa al Brennero e poi direttamente a Kahla.

A Migliara ero nel campo a caricare il grano,  hanno preso Comi, il povero Comi, Peppo, che il cognome non me lo ricordo [Ferri], di Ca d’ Oress , N. B. da Marola . Lui l’hanno lasciato andare subito, poi quel bravo dottore di Casina, eh ogni tanto la memoria scappa, Omero da Casa Pietro, un maresciallo che abitava a Marola a far campagna, l’avevano preso anche lui, e el fiul d’ Vinin da Miara, Cesare.

A Kahla son morti Cesare [Zanetti], Peppo che era il genero del cantoniere del comune che aveva sposato la Vittoria e il povero Comi.

Quelli che son morti sono ancora sottoterra là, scavavano le fosse  dentro la pineta..

Ero al lager 7B , in quella valle dove passava un fiumiciattolo, io avevo la pleure e loro mi buttavano addosso dei secchi d’acqua gelata da quel fiume lì.

 Io non potevo più lavorare e loro mi venivano a prendere per fare la legna per il “burò” , come dicevano loro, per scaldarsi e dopo io crollavo, andavo in terra e  loro mi buttavano addosso l’acqua gelata e poi dicevano di andare in baracca e io piano piano tornavo in baracca. 

Per fortuna una crocerossina dopo tanto è passata dalla mia baracca, ha mandato gli infermieri, mi ha portato in infermeria, ha cominciato a farmi delle punture, un po’ di carne abbrustolita, dopo venivano i tedeschi a “fare la revisione”, chi stava bene doveva andare al lavoro e lei mi nascondeva nella sua camera e così son stato lì fino alla liberazione. Non mi ricordo come si chiamava, c’ho pensato tanto… Era una triestina, dopo ha sposato il barbiere del campo, un romano,  è andata a finire a Roma. Non sono rimasto in  contatto, siamo arrivati a casa che eravamo così sfiniti e anche privi di memoria, per nostra fortuna. [---]
Io alla Liberazione l’ho caricata di roba
( la crocerossina) perché c’han dato tre giorni di mano libera.. per andar nelle case.. e lei aveva avuto una bambina con questo romano, e allora c’ho portato carrozzina, tutta la bella roba che trovavo l’ho data a lei, delle pellicce, ogni ben di Dio. Del male non ne ho fatto ai tedeschi perché c’ho perdonato, però quella roba lì ce l’ho fregata. Non era un rubare era una beneficenza, un dovere che avevo verso quella donna. Per me non ho portato che due panni militari.

Eravamo diventati come le bestie, uno fregava all’altro il pane, a chi moriva portavano via la tessera, non davi più peso alla vita, non vedevi l’ora di morire e poi la fortuna ha voluto così, forse la mia povera mamma che era morta  ha pregato dal cielo …

Come si poteva vivere? Bastonate, poco mangiare, lavorare, dalla mattina alle 5 venivi giù alla sera, andavi in fila in squadra a prendere un mescolino di roba una fettina di pane e il mangiare non era niente per quello che si faceva…

Portavamo su dei sacchetti di cemento su per la montagna, ci mettevano tutti in fila con i sacchetti in spalla e poi c’eran dei bambini, io dico, con dei fucili, se ti fermavi ti bastonavano. Tanti poi morivano lì. Quando si tornava indietro alla mattina si vedevano i morti nei prati che morivano durante il lavoro.

E così …. Prima ho fatto il manovale e il muratore che facevamo tutti i “burò” nel campo. Poi mi han mandato a portar su il cemento e da lì mi han mandato dentro (le gallerie) a fare i mattoni a mano e poi mi han messo sulla ferrovia.

Era dicembre , eravamo nudi e scalzi, siamo andati via d’estate con due scarpette leggere e dopo ci mettevamo i sacchetti di cemento nei piedi e  addosso per ripararci.

Avevano degli italiani che comandavano lì, erano peggio dei tedeschi.. Alla sera quando ci davano da mangiare , quei criminali dicevano: “Ce n’è rimasto, mettetevi in fila” e poi ci buttavano contro i cani.. Comi il primo che è morto, è morto per un’infezione alle gambe dove l’avevano morsicato i cani, ha avuto la cancrena . E’ stato uno dei primi a sentire la fame , è morto dopo poco, dalla cancrena, morsicato dai cani…

Tanti quando sapevano che arrivava il fronte li han mandati nel campo di sterminio e tanti che conoscevo son rimasti là .

Quando m’han preso Beleo era sotto Ciano , con me c’era Bruno Zannoni di Gombio, Egidio Zini di Carpineti. Era in una baracca vicino, ci vedevamo tutte le sere.

Mi son malato alla fine di febbraio, dopo non ne potevo più, ero ridotto 34 chili.

Siam stati fortunati che il 4 aprile sono arrivati gli americani e dopo qualcuno è morto per troppo mangiare. Gli americani buttavano giù biscotti, cioccolata. Dopo siamo rimasti una settimana sotto i russi, loro facevano bollire una pecora con le patate. A Kahla eravamo in migliaia tra  russi, polacchi, anche delle donne e famiglie. Era una cosa tremenda vedere queste donne con il piccone. Loro come freddo erano attrezzati, gente forte, rossa, robusta. Chi moriva subito erano i belgi, facevano delle pance così poi morivano… tanti sono morti . Tutte le mattine si caricava i camion come caricare la legna, da una parte lo scavatore e via… la fossa comune , morti, calce e terreno , era poco distante dal campo....

Ho pensato di farla finita ma poi pensavo: e se domani viene la Liberazione…?!

Dopo la Liberazione andavamo a Erfurt  con gli americani e poi loro prendevamo su delle donne e ballavano, gli americani si son divertiti, ma noi avevamo poco da ballare.”

1 COMMENT

  1. Sono un parente di Afro Vasirani, sono cugino della moglie, non conoscevo la storia di Afro. Quando lo vedrò gli esprimerò la mia solidarietà per le vicissitudini che ha passato. E’ una persona speciale, questo Afro, un galantuomo da citare da esempio ai giovani. Se l’avessi saputo sarei andato volentieri alla cerimonia nella quale è stato premiato. Tanti auguri a Afro.

    (Domenico Amidati)