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Il disagio giovanile: ruolo della famiglia e della società

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Riceviamo e pubblichiamo.

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Sono ormai innumerevoli le iniziative di svariata paternità e con un’ampia gamma di patrocinanti che si tengono ogni anno per analizzare i costumi di vita e i modelli educativi della nostra società, col lodevole intento di trovare una qualche risposta alla questione giovanile, e in particolare al disagio incombente ormai da anni su questa fascia di età, senza contare la piaga della tossicodipendenza che insieme all’alcolismo sembra essere in continua ed inarrestabile espansione.

Si tratta di un terreno molto delicato e complesso e la prima parola al riguardo spetta indubbiamente agli specialisti ed agli esperti della materia - pedagogisti, sociologi, psicologi, giuristi, ecc. - dai quali ci si aspetta che possano fornirci indicazioni e soluzioni al riguardo, ma ognuno di noi se ne deve comunque occupare, visto che i giovani sono il nostro futuro e il mondo degli adulti deve rimanere pertanto al loro fianco (anche se sui modi con cui farlo le opinioni non sono sempre concordi).

In questo campo (e non solo) si sta oggi riscoprendo il ruolo fondamentale della famiglia, dopo che per decenni era stato sminuito e minimizzato, salvo poi dover ammettere che la funzione genitoriale è insostituibile e determinante per la crescita dei figli. Al punto che adesso, non sempre a ragione, la diffusa indocilità dei nostri ragazzi, che sfiora talvolta l’impertinenza, anche in ambito scolastico, viene imputata alle famiglie, colpevoli di non saper impartire le più elementari regole del vivere.

In sostanza, dopo il fallimento delle altre formule, si vorrebbe ora reintrodurre un po’ di disciplina e di buona educazione e si chiede di fatto alle famiglie di farsene carico. Qui calza a pennello un vecchio adagio, “serve a poco chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati”, ma non dobbiamo comunque essere pessimisti, a condizione però di non bendarci ancora una volta gli occhi.

Anche quei nuclei famigliari che non senza fatica si sono salvati dalla demolizione ideologica operata per anni contro la famiglia hanno davanti un impegno educativo molto arduo e difficile, se la società che abbiamo intorno non fornisce modelli e parametri di riferimento. Non tutti i genitori, infatti, possono avere le doti e la personalità per “negoziare” in continuazione coi propri figlioli quanto è loro concedibile oppure no, mentre semmai hanno amici cui tutto viene permesso.

In passato, all’incirca fino agli anni sessanta, valevano un po’ per tutti alcuni denominatori, come il senso del rispetto, del dovere, del pudore, della creanza e della reputazione. Non ci rendevano di certo perfetti ma ci tenevano lontano dagli eccessi e quanto imparavamo in famiglia lo si ritrovava pari pari fuori dall’uscio di casa e ciò facilitava il compito formativo dei nostri genitori.

Poi sono arrivati i “cattivi profeti” a dirci che quelli erano soltanto “sensi di colpa” di una società antiquata, dei quali dovevamo sbarazzarci per diventare evoluti e moderni.

Al posto dei valori sono così subentrate le trasgressioni, e il permessivismo, con tutte le conseguenze che la nostra società si porta ancora addosso. E’ vero che talvolta i valori sono un po’ retorici, ma è certamente meglio un po’ di retorica rispetto al rischio di trovarsi con un grande e rovinoso vuoto morale.

C’è chi dice che le nostre società sono ormai divenute troppo multiformi ed eclettiche per essere ingabbiate dentro valori stabili e inamovibili. E’ una opinione rispettabilissima, ma forse non la pensa esattamente così il popolo statunitense che da oltre due secoli continua a nutrire una devozione “sacrale” per la propria bandiera, a dimostrare che buoni sentimenti collettivi possono essere duraturi e irrinunciabili.

Forse pure noi dovremmo rispolverare qualcuna delle semplici ma preziose regole di una volta. Sarebbe un aiuto in più per dar manforte ai nostri giovani e alle loro famiglie, specie quelle meno “strutturate”.

(Giovanni Ferrari, coordinatore PdL di Vetto)