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Cosa causerà la recessione in Appennino?

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La recessione è una fase economica che, come la morte, sfalcia impietosa tra le persone e le attività. Le aree più deboli, quindi, ne risentiranno maggiormente. L'Appennino è tra queste e, forse, ne avrà leggermente minori riflessi solo per quanto di - temiamo poco -  primario resta. Dove per primario c'è da interndersi l'agricoltura e, con essa, la liquidità costantemente fornita dal Parmigiano Reggiano. Per il resto la situazione economica e finanziaria sta assumendo connotati davvero preoccupanti e da ultimo l’Ocse decreta un 2012 di recessione per Italia che si tradurrà in minore produzione e maggiore disoccupazione.

Poco importa che l’andamento borsistico del 28 novembre sia stato positivo, nonostante i vari avvertimenti che da più parte parlano di recessione per l’intero continente europeo. Da tempo ormai le borse si muovono sulla base di criteri diversi da quelli strettamente economici.

Occorre – per gli osservatori – focalizzare l’attenzione sui dati di economia reale, e questi sono davvero poco entusiasmanti.

La recessione interessa in modo più rilevante l’Europa, mentre gli Usa pare abbiano rallentato in modo meno deciso la loro crescita. A fronte di questo  scenario di decrescita sempre più oscuri sono i motivi che stanno alla base del diniego della Germania al via libera alla Bce nella nuova funzione di “prestatore di ultima istanza”.

L’autorizzazione alla Bce per le operazioni di allentamento quantitativo stile Federal Riserve statunitense è ormai indicato dalla maggior parte degli esperti quale unica possibilità di raffreddamento della crisi dei debiti sovrani che attanaglia il vecchio continente.

Eppure, la Germania oppone ancora una ferma resistenza, che - almeno ufficialmente - è motivata dai pericoli inflazionistici; questi però – a fronte di scenari sempre più  recessivi – paiono davvero una ipotesi ben lontana dal realizzarsi, quanto meno nel breve periodo. Una possibilità di ammorbidimento della posizione della cancelliera Merkel  pare aprirsi a seguito del risultato preoccupante dell’ultima asta dei Bund tedeschi; solo circa i 50% dei titoli offerti in asta è risultata venduta, e di questa quota la maggior parte risulta essere stata acquistata dalla stessa Bundesbank. Ormai è ben chiaro che gli investitori ritengono a rischio anche i titoli sovrani tedeschi, perché quando la nave affonda, neppure i passeggeri di prima classe possono salvarsi.

Il contagio a già colpito il cuore della zona euro, toccando Francia e Germania i cui spread si stanno innalzando inesorabilmente. E già vi è stato il sorpasso dello spread tedesco rispetto ai Treasury Usa e ai titoli sovrani inglesi, fatto che non accadeva ormai da svariati anni, a dimostrazione della criticità dell’attuale situazione.

Nonostante ciò, in questi giorni l’attenzione viene spostata sulla funzionalità del fondo salva-stati, vale a dire su di un fondo che non avrà mai la capacità di fuoco illimitata della Bce (il fondo non “stampa” moneta, contrariamente a quanto è in potere della  banca centrale europea).

Il fondo salva-Stati si finanzierebbe solo sul mercato, emettendo obbligazioni che dovrebbero essere acquistate dagli investitori. Tuttavia, di fronte al contagio esteso ormai anche ai paesi tripla A dell’eurozona (vedi Francia e Austria) come è possibile razionalmente sperare che gli investitori acquistino obbligazioni garantite da Stati ormai in profonda crisi?

Il paradosso oggi è proprio questo; l’Europa sta concentrando i suoi sforzi nella proposta di una soluzione che ormai è vecchia e non più appetibile per i mercati. Con conseguenze, certo, drastiche per i più fragili, noi tra loro. Il tempo è già scaduto, ma gli stati continuano a pensare di essere loro a dettare l’agenda dei mercati. Niente di più sbagliato.

I meccanismi di disinvestimento che gli investitori istituzionali possono mettere in campo sono molto veloci, e lo smobilizzo degli asset europei può concretizzarsi in brevissimo tempo (e appunto sono già iniziati, come appare evidente nel caso dell’Italia). Gli Stati si muovono come elefanti, mentre i mercati corrono come ghepardi.

Non c’è competizione sul piano della velocità di risposta agli scenari critici. E mentre gli Stati discutono, si incontrano, litigano, affinano strumenti, riflettono….. l’economia reale crolla, zavorrata come è da  costi per interessi sui debiti sovrani non più sostenibili, che drenano le risorse vitali per dare impulso ad una crescita economica che diventa ogni giorno di più un miraggio. E di ciò lo vivono sulla loro pelle le aziende reggiane che vedono adombrarsi scenari davvero preoccupanti, con crisi di liquidità e perdita di mercati

I maggiori economisti vedono già chiaramente orizzonti di ristrutturazione dei titoli pubblici di alcuni stati dell’area euro, Grecia in primis; le agenzie di rating hanno già declassato il Portogallo a livello spazzatura, e avvertono a gran voce sul rischio di default multipli di Paesi europei; i costi di assicurazione per il rischio default degli emittenti sovrani (i cosiddetti Cds credit default swap) sono in aumento, anche per la Germania.

E quale è la risposta degli Stati? prendere tempo, discutere, guardarsi con sospetto, ognuno ancorato ai propri nazionalismi ormai provinciali...  così non si va da nessuna parte, o meglio si imbocca una sola strada, che è quella della deflagrazione della zona euro. Che ci riguarerebbe da molto vicino.

 

(Rossella Ognibene)