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L’Appennino è donato… all’Italia che legge

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“Il profumo della farina calda” è l’ultima fatica di Armido Malvolti. Un bel colpo se, come abbiamo preannunciato, è pubblicato da Aliberti editore (394 pagine, 18 euro) e da oggi, venerdì 21 ottobre, sarà di nuovo possibile leggere del nostro Appennino in tutte le librerie d’Italia. A partire da un titolo che è una sfida: fare conoscere il profumo della materia prima per il pane a chi, fatto in casa, non lo ha mai sentito perché figlio di un’altra generazione.

E, certo, come non notare l’infilata di Raffaele Crovi, Giovanni Lindo Ferretti e, ora, Armido Malvoti, che si definisce “autodidatta”, una ristretta schiera di contemporanei che raccontano della vita tra le nostre montagne, tra il Novecento e il Duemila, con una particolare devozione per il particolare, magari nel raccontare, anche, quello che si è perso negli ultimi cinque lustri. Armido lo fa in un’opera dove si spazia dalla vita contadina del fascismo e del dopoguerra all'Argentina dei generali fino all'Italia dei nostri giorni, dove sono le tradizioni a dover lottare per resistere. La storia appassionante di un addio e di un ritorno, di una valle e del sogno di rinascita di un uomo che non vuole arrendersi al tempo.

LA TRAMA

Quando Mario Fontana torna in Italia, dopo più di trent’anni trascorsi in Argentina, è un cinquantenne sposato, ricco e affermato, ben diverso dal giovane figlio di mezzadri partito alla volta del Sud America in cerca di avvenire. Ma non è solo lui a essere cambiato: della valle in cui è cresciuto, un tempo vivace e laboriosa, non c’è più traccia se non nei ricordi.

Ed è proprio ai ricordi che Mario si lascia andare, in un appassionato racconto volto a trasmettere a Diego e Valentina, i figli adolescenti, la testimonianza della vita passata: dagli anni della dittatura fascista e della Resistenza fino all’ascesa sociale ed economica nell’Argentina di Perón e di Videla. Tuttavia il vero obiettivo del suo ritorno è un altro: quello di ridare vita ai luoghi della sua infanzia, creando una piccola società autosufficiente insieme agli amici di un tempo. Ma a qualcosa non aveva pensato… Riuscirà Mario a portare a termine il suo piano? E a quale prezzo?

L’ANALISI

Un romanzo quasi epico, dove le grandi opzioni della storia si intrecciano e si scontrano con la vita quotidiana della gente comune. Un pezzo della nostra storia, ma anche una forte e fresca idea di futuro che in questi tempi di decadenza assoluta dona speranza e induce il lettore a riflettere: “Se Mario ce l’ha fatta rimboccandosi le maniche e non rinnegando mai il proprio passato, idee politiche e convinzioni religiose comprese, perché non dovrei farcela io?”

“La precisione della rievocazione storica si intreccia con l’ambizioso progetto del protagonista, quello di restituire la vita alla campagna che lo ha visto nascere; un viaggio attraverso i decenni alimentato dalla volontà di recuperare la memoria di luoghi e tradizioni perdute. Non è certo un caso che le pagine forse migliori di questo romanzo siano attraversate proprio dai sapori, dagli odori e dai colori delle campagne, richiamando alla mente quelle di Verga, di Pavese o di tanta ‘letteratura rusticana”’ nel disegno utopico e insieme arcaico – e proprio per questo modernissimo – di trasmettere alle nuove generazioni l’amore per il profumo della farina calda”, scrive Clementina Santi, presidente Associazione scrittori reggiani.

Pierfausto Vedani, amico personale di Piero Chiara, è stato uno dei fondatori del Premio letterario Piero Chiara, su Varesenews ha scritto di Armido che rende un “territorio montano stupendo, dove per tradizione il pensiero e la scrittura sono stati e sono coltivati con vero spirito di servizio alle comunità”.

UN’ISPIRAZIONE VERA

Il libro, pur di fantasia, si è ispirato a un personaggio realmente esistito: il comandate partigiano Prato, Aristide Papazzi e, proprio in queste ore su Facebook lo scrittore castelnovese lancia un appello.

“Nella parte che racconta episodi della guerra (1943-45) e del dopoguerra – scrive su un post Armido - c'è un personaggio, un comandante partigiano, di nome Campo (nome di battaglia). Nella costruzione di questo personaggio mi sono ispirato a una persona realmente esistita che ho avuto la fortuna di incontrare un paio di volte tanti anni fa, una persona che passava spesso da casa dei miei genitori in tempo di guerra e che qualche volta si fermava a dormire: si tratta di Aristide Papazzi, nome di battaglia Prato, sindaco di Ciano d'Enza nel dopoguerra. So che è deceduto circa 25 anni fa ma, nonostante abbia chiesto, non mi è stato possibile rintracciare parenti. L'aiuto che vi chiedo, amici, è che se conoscete un parente di Aristide di segnalarmelo così che possa almeno regalargli il libro”.

Intanto la prima presentazione sarà a Castelnovo, sala concerti Istituto Merulo, la sera del 7 novembre.

(Gabriele Arlotti) 

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Armido Malvolti

ARMIDO MALVOLTI è nato a Castelnovo ne’ Monti (Reggio Emilia) nel 1943. Autodidatta, da sempre dedica alla lettura e alla scrittura ogni momento libero. Nel 1997 ha pubblicato il suo primo romanzo, Era bionda l’altra Valentina (edizioni Diabasis). Per Aliberti ha pubblicato nel 2005, insieme a Lorenzo Costi, il thriller I duri hanno due cuori, con prefazione di Luciano Ligabue, e nel 2008 Romanzo di una fisarmonica, biografia del musicista Paolo Gandolfi. Nel 2010 è uscito Vivremo alla grande (Mup editore), affresco di vita adolescenziale scritto con due ragazzi di quattordici anni, Linda Parmeggiani e Francesco Baroni. Ha collaborato con la «Gazzetta di Reggio» e attualmente scrive sul mensile «Tuttomontagna».