Quando ero piccola il periodo della quaresima veniva rispettato.
In tante case praticavano il digiuno Quaresimale, saltando la colazione del mattino, in casa mia no, mio padre diceva che non si poteva lavorare e digiunare:
“Quello lasciamolo fare ai preti, che non hanno nient’altro da fare”.
Allora la mamma molto credente, non ci metteva lo zucchero nel caffelatte, (per riconoscere la quaresima) che noi poi affamati come eravamo non ce ne accorgevamo neanche e lei si sentiva quella benedetta coscienza a posto.
A inizio quaresima, il giorno delle ceneri, era d’obbligo recarci in chiesa alle sette del mattino, per ricevere l’imposizione delle ceneri e poi di corsa giù a scuola, che Mario stava già suonando la campanella.
Io entravo compunta col mio mucchietto di cenere sulla fronte, mentre mio fratello Nilo, se l’era ben pulita col fazzoletto da naso, per non essere preso in giro dai compagni di classe.
In quel periodo, poi in casa mia, non era un problema evitare di mangiare carne il venerdì di quaresima, perché in casa mia tutti i giorni erano venerdì.
Un bel piatto di riso con le verdure, non dico minestrone, perché solitamente erano “patate e fagioli”, qualche frittata allungata con pane grattugiato e un goccio di latte, se le uova non bastavano per cinque persone e pane a volontà quello non ci è mai mancato come il latte, procurato dalla nostra adorata “Zerbina”.
Così si chiamava la capra della famiglia, anzi devo essere più precisa lei faceva parte della famiglia, bianca con qualche chiazza caffelatte, amata e vezzeggiata da tutti quanti.
Pensate che è stata venduta, a mia insaputa, quando mi sono sposata e mi trovavo in viaggio di nozze.
L’hanno fatto quando ero lontana per non vedermi piangere.
Pensate che me la portavo dietro tenendola con una leggera catena, anche quando facevo qualche passeggiata lungo la via di Carnola, con Giuliano conosciuto da poco.
E sì care le mie ragazzine, lui mi ha accettata anche con la capra, e non me lo faceva pesare per niente, anzi dimostrava che la cosa lo divertiva.
Era un vero signore sotto tutti i punti di vista e chi lo ha conosciuto lo può confermare.
Adesso torniamo alla quaresima, in quel periodo esisteva “l’Azione Cattolica” e io facevo parte delle “Beniamine” mentre mio fratello Nilo essendo più grande era negli “Aspiranti”.
Devo ricordare che era ancora quel triste periodo, che ancora in chiesa gli uomini e le donne erano divisi in due file diverse, i maschi da una parte e le femmine dall’altra e queste molto spesso prendevano il torcicollo a forza di sbirciare.
Perciò anche i ragazzi dell’Azione Cattolica si ritrovavano alla Pieve col campo sportivo, le femmine invece dalle Suore col teatrino.
Passavamo delle belle domeniche il pomeriggio, a parte quella mezz’ora di insegnamento tenuto dalla “Delegata”, dopo potevamo giocare, ridere, scherzare o preparare qualche recita nel nostro “teatrino”.
Ricordo con piacere e un po’ di malinconia la delegata di noi diventate “Aspiranti” la allora Signorina Paola Marconi, la sua semplicità, la sua dolcezza, quella carezza che ti sfiorava la fronte, quel modo di raccontarci la Bibbia e il Vangelo, questo poi te lo saresti portato dietro tutta la vita.
Le gite che ci faceva fare col pulmino dell’ospedale guidato da “Pulèk”, una volta ne aveva caricato una decina e ci aveva portato a Reggio in Ghiara, poi dai suoi nonni che avevano una tenuta (se non sbaglio) verso Mancasale.
Era il periodo dell’uva matura e ci sguinzagliarono in mezzo al (vidur) vigna a staccare grappoli e a gustarcela.
Eravamo ancora negli anni quaranta, la guerra era finita da poco e per noi queste erano cose sublimi.
Al ritorno parecchie fermate ce n’era una che soffriva il mal d’auto, o aveva poi mangiato troppa uva?
Vedete ho cominciato pensando di parlarvi solo di quaresima, ma poi come spesso succede ai vecchi, sono andata oltre al seminato. Perdonatemi ma sono troppi i ricordi che si affollano nella mia mente e se mi metto a raccontarli non la finisco più. Come le passeggiate che questa delegata ci faceva fare fino alla Pietra e dopo la messa la colazione al sacco sedute su quel sasso chiamato “Testa di cavallo” e il circolo che facevamo attorno a Padre Colombano, il benedettino cieco, che mostrava come faceva a sapere che ora era, aprendo il suo “cipollotto” e col tatto leggerissimo delle sue dita sfiorava le lancette e non sbagliava neanche di un secondo, ora basta qualche ricordo lo devo serbare per la prossima volta.
Elda Zannini