Archilea Ghidoni nasce ad Albinea di Reggio Emilia il 2 novembre, giorno della Commemorazione dei fedeli defunti del 1936, da mamma Paolina e papà Pasquino, prima di cinque sorelle tra cui sr Agostina, anche lei poi diventata Carmelitana Minore della Carità. Fa la sua prima Professione il 28 settembre 1960 prendendo il nome di suor Eugenia di S. Pietro e di S. Paolo e i voti perpetui otto anni dopo.
In 65 anni di vita consacrata, tante sono state le case della carità in cui è passata: Scandicci, Casalgrande, Fosdondo, Castellarano, Pietravolta, San Giovanni di Querciola, Vitriola, Roma. Ma quelle in cui è rimasta più a lungo sono state Cagnola, Piacenza e Fontanaluccia.
Negli ultimi tempi si era indebolita, ma nessuno pensava che sarebbe partita per questo viaggio… E così se ne è andata velocemente, in una notte, nascendo alla vita nuova il 6 febbraio, lo stesso giorno in cui abbiamo ricordato il compleanno di don Mario Prandi. Non possiamo non immaginare con simpatia che le sia andato incontro insieme a suor Maria e don Aldo e tanti altri amici con cui Eugenia ha condiviso la sua vita di Carmelitana Minore della Carità.
(suor Katia Ferrari)
Il mio ricordo di suor Eugenia parte con il nostro primo incontro. Novembre 1992, io ho 26 anni e ho da poco iniziato un anno di leva. Suor Gianna mi accompagna nel mio primo cambio di casa, da Fosdondo a Cagnola, e mi introduce nell’ufficio dove ci accoglie questa suora di mezza età che pare conoscerla da molto tempo e volerle molto bene (e questo mi conforta) ma che parla in maniera così strana che capisco un terzo di quel che dice (e questo invece mi angustia non poco). “Non ti preoccupare che poi imparerai a capire quello che dice” mi rassicura la Gianna, intuendo il mio disagio.
In quel mese di leva, imparai non solo a capire il suo modo di esprimersi, un mix di dialetto reggiano, salti concettuali, citazioni di suor Maria, battute fulminanti e condanne dei peccati (perché poi “Dio è buono, ma non buonissimo!”).
Imparai soprattutto uno stile di donna consacrata: semplice e forte nella fede (ricevuta dalla famiglia d’origine, amatissima), con i manicotti neri sulle braccia e il doppio grembiule a proteggere l’abito nei lavori manuali (igiene degli ospiti, cucina, lavanderia...) ma anche amante della lettura e del silenzio, fedelissima alla preghiera e alla liturgia, possibilmente cantata e possibilmente stonata.
Non nascondeva la sua fragilità: una salute fisica malferma, su cui il suo grande senso dell’umorismo le permetteva di scherzare o di lasciarci sorridere per le sue autodiagnosi condite da una terminologia medica alquanto originale. Ma anche dei suoi limiti culturali non si vergognava, e con grande libertà dettava lettere e scriveva biglietti che rimanevano scolpiti nel cuore di chi li riceveva.
Al termine del mio mese a Cagnola, fece recapitare a suor Gianna (allora formatrice) la seguente valutazione sulla mia persona: “Antonella è una brava ragazza, mangia di tutto e non fa niente soggezione”.
Amava i piccoli, da cui volentieri si faceva aiutare per le necessità sue o della casa: così l’Edda serviva Messa, l’Anna andava a pagare il pesce, la Ghido le portava il golfino... con gli ospiti era madre e padre: spassosa e tenera, ma anche severa e distaccata, quando riteneva necessario sgridarli (e per l’occasione coniava aggettivi mirati, tipo all’Edda: “liquefatta”!!!).
Amava però anche i grandi, cioè chi esercitava l’autorità: Presidente, Sindaco, Papa, Vescovo, Cardinale... il suo nome da religiosa pare le sia stato suggerito dall’amico d’infanzia Camillo Ruini in ossequio a Pio XII, al secolo Eugenio Pacelli. Da cui sr Eugenia (detta “la Pacelli”) dei Santi Pietro e Paolo (colonne della Chiesa).
Anche ai Superiori e ai formatori della nostra Famiglia riservava pensieri e dedicava molte preghiere (singolare che proprio a questo suo ultimo saluto non possano essere presenti perché impegnati in India...). Per i sacerdoti in genere nutriva una stima incondizionata (forse ereditata dal padre custode del seminario estivo di Albinea), a partire da Mons Tavaroli, suo confessore e direttore spirituale, ma don Mario Prandi le incuteva invece un certo timore, che sr Maria sapeva temperare con le sue attenzioni materne (come sr Eugenia stessa racconta nella sua testimonianza in “Dio è amore”).
Don Aldo Orienti (parroco di Cagnola per più di 50 anni) fu il pastore con cui condivise il tratto più lungo di cammino, dal maggio 1969 (pochi mesi dopo l’apertura della cdc) fino al 1998 (con altri passaggi intermedi). Furono circa 25 anni di una relazione a dir poco dialettica: profonda stima reciproca ma anche sopportazione vicendevole delle rispettive manie, obbedienza sì ma senza rinunciare alla propria autonomia, comunione spirituale e battaglie memorabili. Comprensibile che don Aldo ne uscisse con il soprannome di “gattone arruffato” (coniato da sr E o da sr Maria?). Ho assistito personalmente all’ultimo incontro tra i due, avvenuto nel 2016, quando don Aldo era ormai allettato da più di un anno e sempre meno capace di comunicare; l’Eugenia venne a trovarlo e, nel raccomandargli di fare il bravo, aggiunse: “E se no, io poi uso il bastone...” e gli strappò un sorriso.
Nel 2000 arriva a Piacenza, la Casa nata in episcopio per volontà del vescovo Luciano Monari. La Pacelli si ritrova al cuore di una Chiesa Diocesana! In questo cuore ha saputo starci con amore anche in una fase di invecchiamento, che non le ha tolto lo spirito battagliero di chi individua i suoi obiettivi e li persegue ad ogni costo. Il suo sostegno alla missione del Pastore è passato attraverso la cura dei suoi collaboratori, in particolare di don Giuseppe (a cui preparava ogni mattina una macedonia di frutta fresca con spremuta di limone per un pieno di vitamine).
Nell’ ambiente curiale, così formale nei rapporti, spiccava per la genuinità delle sue uscite, tra cui quella famosa davanti al vescovo Luciano e al neo eletto Antonio Lanfranchi, entrambi apprezzati da lei per la loro stima della piccolezza evangelica: “Mo che due vescovini!”.
Preoccupata per tutto ciò che poteva minare la vocazione presbiterale, vigilava sui seminaristi che hanno condiviso con la casa tanta vita: in profonda sintonia con l’eredità paterna, manteneva su ciascuno di loro uno sguardo attento, che la abilitava poi a condividere con il loro formatore le sue personalissime intuizioni. Siamo state insieme a Piacenza per tre anni e mezzo, a una decina d’anni di distanza da quel mese a Cagnola e con ruoli molto differenti: io, subito dopo i Voti Perpetui, alla mia prima esperienza da responsabile, e lei da sorella anziana protesa a custodire e consigliare i giovani, fossero preti, seminaristi, suore o volontari. Lo scarto generazionale ha richiesto opportune mediazioni, che la Provvidenza non ci ha fatto mancare.
Anche in quella casa cittadina ha trovato “angeli custodi” pronti ad accompagnarla ovunque (soprattutto Paolo e Valter) e piccoli rubacuori che ci ammoniva di non far diventare più importanti del Santissimo. Ha amato e si è sentita amata e l’ho vista partire a malincuore nel 2007 per quella che sarebbe diventata la sua ultima destinazione: Fontanaluccia.
Da lì era partita 48 anni prima, poco più che ventenne. Lì ha vissuto gli ultimi 18 anni della sua esistenza terrena. Lì il bastone è stato il suo pastorale. A questo punto lei direbbe: “A siv mat???”.
(suor Antonella Bussetti e suor Ines Talignani)