“Da una tua idea”
Io naturalmente ho la testa piena di idee e molto spesso non le
ricordo tutte, perciò leggo il titolo, e qui non mi resta che far
continuare a lui.
Pietro racconta:
“Come ho ripetuto più volte, i migliori anni della mia adolescenza
e della mia fanciullezza, li ho trascorsi coi miei nonni a Vetto.
Di quegli anni non ho dimenticato niente, tanto meno i profumi
della sua terra, dei suoi frutti, della stalla e non pensate che
queste siano scemenze: la terra profuma e i suoi profumi,
variano.
Se piove variano con l’umidità, oppure coi residui del frumento,
del granturco, dell’erba fresca messa ad essiccare al sole per
ricavarne fieno, anche il letame ha un profumo particolare “non
puzza, ma profumo”.
Tutti questi odori, però se volete un consiglio, non annusateli
soltanto con le narici, ma usate il cuore e vi accorgerete che ogni
profumo diverso cambierà i battiti del vostro cuore e vi farà
ricordare.
Ora vi voglio spiegare, a modo mio, ciò che il mio odorato sentiva:
Il profumo forte e intenso del fieno essiccato, ti coinvolgeva
subito, considerato solo nutrimento per gli animali, nel
dopoguerra il famoso “creen” veniva usato per fare materassi e
da qualche decennio viene anche usato come terapia per curare
certe malattie, non parliamo certamente degli allergici.
Poi vi voglio parlare del profumo di un “cavagn” cesto d’erba
tagliata per i conigli, lì i vari profumi delle erbe si mischiano
diventandone uno solo diverso da tutti.
Il profumo stuzzicante di un cesto di ciliegie, amarene o fichi
appena colti.
L’amaro profumo di un secchio di ghiande, che simpaticamente
veniva definito come “il caffè dei maiali” (vedete qui si vede che
Pietro è nato tardi, io vi posso assicurare che durante la guerra
tante persone facevano abbrustolire le ghiande che poi venivano
macinate e mischiate a un po’ di caffè), ma adesso lasciamolo
continuare:
Poi un cestino pieno di pomodori e cipolle raccolte nell’orto che
col loro sapore dolce e agro bastavano per insaporire il
pinzimonio.
Il profumo del grano col suo “lòcc” dove io il pomeriggio con la
scusa di cercare le uova, mi ci arrotolavo chiudendo gli occhi per
assaporarlo meglio.
Tutti quei profumi dei frutti di stagione, servivano ai nonni anche
come calendario.
Non scorderò mai il profumo della stalla, mi ripeto non erano
odori, ma profumi, lì passavo parecchio tempo ed era la mia
seconda casa, accudivo le mucche, rifacevo loro il letto con
strame pulito, scartocciavo il granoturco e quando dai tetti dei
capanni, il gelo faceva penzolare i “candelotti” io lì stavo al caldo.
Pietro
Ora tocca a me, ma non mi resta che ringraziare questo prezioso
amico che con soltanto due parole mie, ha ricavato questo
bellissimo e istruttivo racconto.
Vorrei tanto che lo leggessero i giovani, specialmente quelli che
stanno cercando ciò che non troveranno mai, leggete ciò che ha
scoperto questo signore nella sua giovane vita e che poi nel
tempo si è ampiamente riscattato, ma non si vergogna di parlare
del suo passato e questo non tutti lo fanno. Grazie Pietro.
Ora però vi voglio accennare quali erano i miei profumi preferiti
“No ragazzine, non erano in bottiglietta, li sentivo e odoravo
mentre camminavo per quella lunga strada inghiaiata che univa
casa mia e il paese. Profumo di un aiuola di violette che avevano
fatto capolino, sul ciglio della strada, dei gladioli chiamati
volgarmente “spadun” e delle “serenelle” spuntate sui cespugli
attorno alla casa di Merinell, e il bersò degli Onfiani, le giorgine e
le orchidee della signora Magnani, i gigli nel giardino del
maresciallo Mannarino il profumo degli ippocastani, dei pini che
ricoprivano monte Bagnolo e potrei andare avanti ancora, ma
tanto non capireste ora siete imbevuti dai gas delle macchine e
dei motorini, ma vi assicuro che anche se indossate il profumo più
costoso che ci sia in commercio il giorno d’oggi, non riuscirete
mai a sostituire i miei profumi”.
Elda