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Elda racconta: l’Epifania di Pietro

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L’EPIFANIA DI PIETRO

L’Epifania tutte le feste le porta via, questo vecchio proverbio, ci
fa tornare al “tran–tran” giornaliero, ciò non toglie che io dia
un’occhiata agli anni passati.
Negli anni 50 in casa nostra, come in tante altre famiglie la
miseria faceva da padrona, non si parlava e non si sapeva di quel
Babbo Natale che portava doni.
Che io ricordi, però esisteva già il calendario dell’avvento.
Ho sempre desiderato tanto averne uno! Quei disegni, quei
colori, quei luccichii, quel vedi e non vedi, mi hanno sempre
affascinato e incuriosito, ma purtroppo, anche se me ne ero fatto
una ragione, non ne ho mai avuto uno.
Quando andavo dal fornaio a prendere il pane e vedevo il
calendario dell’avvento appeso al muro, cercavo di immaginare,
di indovinare cosa ogni finestrella nascondesse, ma non ci ho mai
preso una volta.
Tornando ai regali, unico dono che in quegli anni consideravo un
regalo, erano le vacanze di Natale date dalla scuola e se la
maestra mi dava pochi compiti il regalo era doppio.
Qualche regalino allora ce lo portava la Befana, già dai primi
giorni di dicembre la mamma mi ripeteva spesso, che se non
facevo i compiti la befana mi avrebbe portato solo carbone e
nient’altro.
Quella dolce forma di compromesso oltre a farmi ubbidire, mi
creava un’aspettativa e metteva in movimento la mia
immaginazione.

La mattina dell’Epifania, dopo una notte agitata andavo in cucina
e trovavo appesa ai ferri della stufa una calza multicolorata e
rigonfia.
Con piacevole ansia e curiosità la staccavo per vedere cosa la
Befana mi aveva portato.
Secondo voi cosa ci trovavo?
Qualche pezzo di carbone dolce, qualche caramella al miele
“Ambrosoli”, qualche noce caduta dall’albero del nonno e
qualche prugna secca, alle volte anche qualche cioccolatino
piatto a forma di moneta ricoperto da carta stagnola color oro.
In quel periodo, ancora bambino, per creare un po’ di armonia in
famiglia, l’ultima serata dell’ultimo dell’anno, verso mezzanotte
io e mia mamma buttavamo dalla finestra, come gesto
scaramantico, piatti, bicchieri o tazze vecchie e scheggiate.
Io mi divertivo tantissimo, finalmente dopo un anno che mi
sentivo ripetere “non toccare perché si rompe” finalmente
potevo sfogarmi.
Più tardi, nell’età dell’adolescenza, queste cose non attiravano
più la mia attenzione, non mi emozionavano più.
Mi batteva forte il cuore invece il trentun dicembre, quando con
altri amici e amichette ci incontravamo in casa di qualcuno per
aspettare l’anno nuovo, ascoltavamo musica che produceva un
registratore “Geloso” a nastro girevole.
Vi dirò che quella per le mie orecchie non era musica, ma una
melodia che ti entrava nell’anima.

Quelle serate dolci, armoniose, ingenue, senza malizie o vizi, mi
davano tanta gioia, anche se la serata prevedeva una regola fissa
inderogabile.
Dovevo rientrare a casa al massimo un’ora dopo la mezzanotte,
se rientravo più tardi, non avrei potuto più uscire di casa il sabato
sera per parecchi mesi.
Punizione molto severa e forse inadeguata, ma certamente molto
educativa e ancora oggi da neo nonno dico grazie papà, grazie
mamma. Pietro Guazzetti.