Vi voglio raccontare il mio ultimo giorno dell’anno festeggiato fuori casa, per la prima volta.
Avevo quasi quindici anni e mio fratello Nello che aveva dieci anni più di me decide di portarmi con lui, non a ballare al “Gatto Verde” o in teatro, questo non lo ricordo bene dove si festeggiava in quell’anno, ma alla festa che i giovani avevano organizzato in parrocchia.
Era quel periodo che la Pieve era stata lasciata da poco, perché bisognosa di grandi restauri, perciò la canonica non esisteva più lassù.
Il nuovo arciprete arrivato in quell’anno, don Dino Carretti, che ricordo con reverenza e affetto, aveva idee molto innovative, già pensava a una nuova chiesa nel centro del paese e la canonica l’aveva già portata vicino all’Oratorio sempre in centro, pagando l’affitto di un appartamento, in casa di Cagni.
Perciò i ragazzi avevano organizzato la festa dell’ultimo dell’anno nel teatrino delle suore, che sorgeva vicino all’Oratorio.
Partivo con mio fratello a piedi lungo quel sentiero che in mezzo alla neve molto alta ci portava in paese.
Appena arrivati a Bagnolo altri ragazzi si unirono a noi, io unica femmina d’altronde molto timida, camminavo un passo indietro, sulle orme di quel fratello che mi portava con lui, ma mi ignorava, che voleva farmi da padre e mi faceva anche soggezione.
I pensieri si affollavano nella mia mente, dove mi portava? Come avremmo passato la serata? Mi pentivo di aver accettato di andare con lui, non ero mai uscita di casa la sera prima di allora.
Arrivati alla Sarzassa ci aspettavano altri ragazzi, Alberto Primavori “Rigadìn”, Piero Cagnoli, Giacomino Del Pozzo, Giuseppe Mareggini, ecc… Sempre e solo maschi che mi ignoravano e io che diventavo sempre più piccola, anzi vi dirò che volevo sparire, anche se nessuno faceva caso a me.
Finalmente arriviamo al teatrino tutto illuminato, la sala completamente sgombra, i sedili ravvicinati ai muri facevano da corona a quello spazio che serviva per far posto ai giochi che si sarebbero fatti quella sera.
Ecco che arriva l’Elide Silvetti e l’Ermanna Simonazzi, che conoscevo, avevo interpretato qualche particina in qualche commedia con loro, mi prendono e mi portano nella stanzetta di fianco al palco e lì trovo la mia amica Iolanda Cavazzoni e altre ragazze che si stavano preparando per fare uscite sul palco e intrattenere i partecipanti.
Una mi mette in mano un foglio, pro memoria e mi dice:
“Leggilo dovrai ricordarti tutto”.
Mentre l’altra mi fa indossare una tuta di maglia aderente di colore rosso con dietro una lunga coda a virgola col cappuccio dove spuntavano due corna, infine sopra al tutto mi infilano una cotta da chierico.
Intanto mi spiegavano con poche parole, che dovevo imitare Vittorio Ruffini (che fra l’altro ricordo con tanto rispetto), ma allora eravamo giovani e spensierati ed era in quel tempo che lui era combattuto fra la Chiesa e il credo politico in voga a quei tempi.
Quindici anni non sono molti, se guardo le quindicenni di adesso, ma noi che eravamo cresciuti con la guerra eravamo molto più maturi, perciò mi misi in un angolo a studiare la mia particina.
Attori si nasce non si diventa in così poco tempo, quando toccò a me farmi avanti sul palco, io non esistevo più impersonavo il personaggio che mi avevano appioppato e gli applausi e le risate furono molte.
Intanto l’Iride Agosti non più molto giovane, ma sempre in mezzo a noi, aveva imbandito un tavolo con tortellini dolci, panettone ciambella e molti bicchieri e bottiglie di spumante da aprire a mezzanotte.
Intanto giocavamo tutti alla “patacca” e i maschi si divertivano a far correre le femmine, poi era arrivato Bruno Simonazzi che raccontava barzellette come un vecchio attore di teatro e faceva spanciare dal ridere, mentre don Cilloni suonava al pianoforte una canzone un po’ osè in voga in quel periodo “Vola stornello a pungolo”.
A mezzanotte tappi che volavano per aria, baci, abbracci e auguri, urlati da un mucchio di ragazzi e ragazze felici di iniziare un nuovo anno.
All’una in punto già tutti col cappotto indosso, ci salutavamo per far ritorno a casa, avevamo fatto le “ore piccole” dovevamo sbrigarci se volevamo trovare la porta col catenaccio ancora aperto e la mattina dopo svegliarci in tempo per la messa cantata delle dieci.
Non vi sembra che i tempi siano un po’ cambiati negli ultimi settant’anni? Sarà meglio o sarà peggio? Ancora lascio a voi la risposta.
(Elda Zannini)