Negli anni cinquanta e primi anni sessanta a casa nostra il Santo Natale si viveva già dalla vigilia.
Mia madre cominciava già nel primo pomeriggio a preparare i cappelletti per il giorno dopo e mi chiedeva di aiutarla.
Questa richiesta mi faceva piacere, mi faceva sentire importante.
Il mio compito era quello di metterli tutti in fila uno per uno, girati tutti dalla stessa parte, poi contarli e separare i più piccoli dai più grossi, giustificando questo che la differenza di dimensioni faceva differenza anche nei tempi di cottura. A questo poi io non ho mai creduto, questa differenza era dovuta alla sua stanchezza, quando aveva la schiena a pezzi e i crampi nelle mani per finire in fretta il ripieno li faceva grandi.
La sera della vigilia poi si cenava presto e il menù era tassativamente da magro. Perché si cenava presto direte voi? Perché in quegli anni per poter ricevere la Comunione, bisognava essere digiuni almeno da tre ore.
La mia famiglia non frequentava assiduamente la chiesa, ma ne rispettava le regole, come del resto rispettava alcune regole basi della vita, così faceva anche quando si avvicinava al sacramento della Comunione.
Arrivo al giorno del Santo Natale, che in quegli anni non era occasione per scambi di regali, perché non avevamo niente, però era occasione di scambio di baci e abbracci e perché no visto il clima sereno e famigliare ci scambiavamo qualche parola che durante l’anno non si sarebbe più detta.
Un emozione molto commovente per tutti, invece era quando mio padre alzava il piatto per farsi servire e sotto trovava la mia letterina.
Una letterina dove con parole semplici e una calligrafi da bambino tutta storta gli dicevo quanto gli volevo bene.
Terminato il pranzo giocavamo tutti a tombola, con quelle cartelle di cartone e i numeri estratti segnalati da fagioli, che ogni tanto scivolavano via, e la persona addetta all’estrazione doveva ripeterli tutti.
Quei Natali, gli occhi lucidi di mio padre quando leggeva ciò che gli avevo scritto, non li dimenticherò mai.
Mi avvilisce invece il modo come adesso si festeggia la nascita di Nostro Signore iI “Santo Natale”, negli anni 50 la miseria e la fame la facevano da padroni, ma c’era tanta serenità, armonia, voglia di stare uniti ai propri cari.
Da un po’ di tempo invece questo giorno non è più così è vissuto come un giorno di vacanza, di festa, un’occasione per scambiarsi regali, o per fare un viaggio, e Gesù dove lo lasciamo? Ci stiamo scordando che Lui è venuto al mondo in questo giorno per salvarci?
(Pietro Guazzetti)