Ottant’anni sono passati. Il 29 settembre 1944 una pattuglia di soldati tedeschi della Wehrmacht del presidio di Felina se ne stava andando tranquillamente (a man squassand) verso Roncroffio.
Giunti poco prima del casello, alcuni partigiani sparano improvvidamente (nessuno de dubita!) su di loro uccidendone uno, di nome Ernst, e ferendone gravemente un altro.
Si sapeva che sparare sui tedeschi in vicinanza di un abitato avrebbe provocato la rappresaglia tante volte minacciata dallo stesso maresciallo Kesserling e ripetuta dal quotidiano di Reggio Il Solco Fascista: l’incendio del paese e l’uccisione di un determinato numero di ostaggi, anche consapevolmente innocenti.
Ciò che avvenne nel tardo pomeriggio di quell’indimenticato San Michele con l’uccisione di quattro innocenti persone: Giuseppe Bussi (49 anni), di suo suocero Luigi Borghini (81 anni), del nipote Gino Borrini (29), dell’amico Vittorio Manfredi (49 anni). E, subito dopo, dell’incendio del paese.
Se ne è fatta commemorazione sabato 28 settembre con una messa nella chiesa di Roncroffio, seguita, immediatamente, dal ricordo di alcuni superstiti dell’eccidio. È stato un momento in cui l’attenzione dei presenti è stata quanto mai intensa. Sembrava lontano nel tempo, come mai più potesse ritornare, che intere famiglie venissero fatte bersaglio degli spari di soldati invasori; che per vendetta si potesse incendiare un intero paese dando cinque soli minuti a donne e bambini per mettersi in salvo. Eppure, le cronache ci dicono che ancora corrono nel mondo ideologie (pervagantur in mundo, e si sa bene donde viene e cosa significhi questa espressione) che portano a far stragi quotidiane non solo di soldati combattenti, ma di persone che chi li uccide sa perfettamente essere innocenti.
I fatti di Roncroffio sono stati commemorati ufficialmente anche nella Sala del Consiglio Comunale di Castelnovo ne’ Monti con la ricostruzione storica dell’eccidio e del contesto locale di guerra in cui è avvenuto.
Le due commemorazioni, sempre troppo ristrette ne tempo rispetto all’evento da commemorare, non hanno potuto scendere in particolari della vita delle famiglie coinvolte dalle uccisioni. Qualcosa ha detto la signora Clara Borghini, vedova di Giuseppe Bussi, in un suo libro di poesie del 1977: Basta una vita, 44 pagine di ricordi di quel San Michele del settembre 1944 che ha sconvolto la vita sua e della sua famiglia.
Rimembranze del cuore lacerato che pure cerca di vivere perché una mamma è indispensabile alla vita dei figli piccoli, ancor più se il papà è stato ucciso dai mitra nazisti. Incubi delle notti di guerra quando si cerca una luce, fosse pure un barlume, per uscirne e aver fede nel futuro. Clara ne parlerà anche in una intervista apparsa su La Libertà del 24 dicembre 1944. E quel barlume, non spento mentre fugge all’incendio della sua casa, è la solidarietà della parrocchia; in particolare di don Giuseppe Iemmi che sollecita le famiglie felinesi ad aiutare chi è rimasto senza più nulla; che dopo quattro giorni di terrore ottiene dal Comando felinese della Wehrmacht di poter seppellire le quattro salme, seppure senza la partecipazione della gente, trasportate a Felina su di un bross trainato da un par di vacche.
Qui, nel cimitero di Felina, nel Natale 1944, accadde qualcosa di importante. Qualcosa che ci spiega come e perché si possa uscire dalla guerra e sanarne le ferite, se pure le cicatrici resteranno per sempre.
Le tombe delle vittime di Roncroffio, e in particolare quella di Giuseppe Peppino Bussi, erano accanto a quella del soldato tedesco che si chiamava Ernst.
Clara, che pure non aveva mancato di costruire il presepio per i suoi bimbi, si reca al cimitero per portare un fiore su quelle tombe. Ma i suoi occhi di madre non possono non cadere anche quella del racconto:
Sul nudo cumulo / una croce di legno / un nome inciso: / Ernst…
Travolti dalla stessa folgore / i miei morti ho visitato / nella pace / del piccolo cimitero / di paese.
Come me sconsolata / sotto lontani cieli / piange forse una madre / stasera.
Per il suo dolore, / soldato straniero, / la tua tomba /orno di un fiore /d’una preghiera.
Non è un fatto semplice. Non è sentimentalismo materno. Non è un “buonismo natalizio”. È la nitida percezione di una fraternità il cui solo riconoscimento può garantire la pace; può eliminare le frontiere ideologiche che contrappongono nazione a nazione; può abbattere i confini economici che separano il presunto paradiso dei ricchi dalle tribolazioni dei poveri.
Questa è davvero una “poesia di Natale”, che dice la sostanza di perdono e di fraternità del Natale cristiano. Ed è bello riportarla nell’ottantesimo anniversario dell’eccidio di Roncroffio. Una poesia per la pace ancor oggi così attesa e così desiderata per la salvezza del mondo.
(Dal Bollettino di Felina nr.4)