Negli ultimi mesi, la Peste Suina Africana (PSA) è diventata un tema ricorrente, soprattutto per i frequenti sequestri di alimenti privi di certificazioni. Solo poche settima fa i NAS di Parma hanno scoperto e confiscato 37 chili di carne di cinghiale in un albergo-ristorante dell’Appennino reggiano. Un blitz che rientra in un’intensificazione dei controlli per bloccare la circolazione di carne suina non tracciabile, considerata un pericoloso veicolo di contagio.
Ma cos’è davvero la PSA? Può colpire l’uomo? E perché sembra essere un problema sempre più pressante?
Modalità di contagio ed effetti sull’uomo
Stando a quanto riporta l’ EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, «La peste suina africana è una malattia virale dei suini e cinghiali selvatici che causa un'elevata mortalità negli animali da essa infettati». Il virus che la provoca è innocuo per l’uomo, ma le sue ripercussioni socio-economiche sono devastanti nei territori colpiti. La malattia provoca la morte di numerosi animali, imponendo restrizioni sugli spostamenti di maiali, cinghiali selvatici e dei loro derivati, con pesanti perdite economiche per il settore zootecnico. Inoltre, il costo delle misure di contenimento e la lunga durata necessaria per eradicare il virus, spesso anni, aggravano ulteriormente la situazione. Al momento purtroppo non esistono vaccini né cure. È comunque fondamentale ricordare che neanche l’eventuale ingestione di carne infetta può creare problemi alle persone; quindi, non c’è rischio per la salute umana ma rappresenta un potenziale pericolo per gli allevamenti.
Tra i sintomi più comuni della PSA si registrano febbre, aborti, emorragie e decessi improvvisi.
Maiali e cinghiali selvatici sani possono contrarre la Peste Suina Africana in diversi modi. L’infezione avviene spesso per contatto diretto con animali infetti, ma anche attraverso vie indirette, come l’ingestione di prodotti derivati da animali contaminati o l’esposizione a indumenti, veicoli o attrezzature già infettati. In alcune aree, un ulteriore fattore di rischio è rappresentato dalle punture di zecche molli infette, che possono trasmettere il virus. Questa molteplicità di modalità di contagio rende la prevenzione particolarmente complessa e richiede rigorose misure di controllo.
Il virus è molto resistente, persiste per diversi mesi nell’ambiente e nelle carcasse degli animali morti, nella carne non cotta o poco cotta e sopravvive per mesi in alcuni salumi.
Origini e diffusione
La Peste Suina Africana è endemica nell’Africa sub-sahariana, dove fu scoperta per la prima volta. In Europa, tra il 1995 e il 2007, la malattia era presente solo in Sardegna. Tuttavia, nel 2007, un focolaio in Georgia segnò l’inizio di una rapida diffusione nei Paesi vicini, interessando maiali e cinghiali selvatici. Nel 2014 i primi casi nell’Unione Europea furono registrati tra i cinghiali degli Stati baltici e della Polonia. Da quel momento, la PSA si è estesa ad altri Stati membri dell’UE, ai Paesi confinanti e, negli anni più recenti, ha raggiunto anche Asia, Oceania e alcune regioni delle Americhe, confermandosi come una minaccia globale per il settore suinicolo.
Secondo le ultime indagini sembra che la malattia sia stata reintrodotta nel centro e nord Italia a gennaio 2022 e si sia diffusa inizialmente nelle popolazioni di cinghiali selvatici.
Le regioni ad oggi interessate dall’infezione sono Piemonte, Liguria e Lazio, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Calabria e Campania.
Come i cittadini possono contribuire a fermare la diffusione della PSA
Anche i cittadini possono svolgere un ruolo importante nel contenimento della Peste Suina Africana seguendo alcune semplici indicazioni fornite dal servizio sanitario regionale. Se durante una passeggiata nei boschi o in campagna, magari mentre cerchi funghi, ti imbatti in una carcassa di cinghiale o nei suoi resti, la prima cosa da fare è segnalarlo ai servizi veterinari dell’Ausl. Puoi contattarli al numero unico regionale 051 609 2124. È utile memorizzare la posizione geografica del ritrovamento tramite il cellulare e, se possibile, scattare una foto per facilitare l’intervento degli esperti.
Un’altra misura fondamentale è evitare di abbandonare nell’ambiente avanzi o rifiuti alimentari, in particolare se contengono carne di suino, cinghiale o salumi. Questi scarti possono diventare un pericoloso veicolo di infezione per altri animali.
Inoltre, quando rientri da una zona potenzialmente contaminata, è importante adottare alcune precauzioni igieniche: cambiare le scarpe, riporle in un sacchetto e pulirle accuratamente prima di utilizzarle nuovamente. A questo link trovate l'elenco dei comuni, costantemente aggiornato, inseriti nelle zone di rischio I e II presenti in Emilia Romagna.
Le parole di Giorgio Micagni, veterinario e direttore del Servizio veterinario dell’Ausl di Reggio Emilia
Per saperne di più sulla PSA e sulla situazione del nostro territorio, abbiamo fatto due chiacchiere col dottor Giorgio Micagni, veterinario e direttore del Servizio veterinario dell’Ausl di Reggio Emilia
Dottor Micagni cosa ci può dire sulla Peste Suina Africana?
«È una delle malattie più gravi per i suini. Porta alla morte della quasi totalità di tutti gli animali infettati. Quando colpisce la carica virale, la mortalità raggiunge quasi il 100%. Inoltre, il virus ha questa caratteristica di grande resistenza che rende molto difficile l’eradicazione. Sopravvive anche nelle carni e negli alimenti se non trattati adeguatamente. Purtroppo, i numeri dei contagi sono in aumento».
In Sardegna sono riusciti ad eliminare il virus dopo circa 40 anni. Cosa si può fare per eradicare la PSA?
«In Sardegna c’erano realtà diverse dalla nostre aree zootecniche. Avevano una grossa commistione tra cinghiali molto vicini agli allevamenti e i suini. Qui invece abbiamo grandi concentrazioni di animali e numeri più importanti di cinghiali, anche perché negli anni non è stato messo in atto un sistema di abbattimento giusto e salvaguardato. Il fatto di avere moltissimi allevamenti e molti cinghiali favorisce la diffusione della malattia».
Al momento esiste un vaccino?
«No, al momento non esiste alcun vaccino, anche se sono in corso numerose ricerche, soprattutto in Cina e nel sud-est asiatico, dove la carne di suino rappresenta un elemento fondamentale dell'alimentazione. In Cina, infatti, la PSA ha creato un vero e proprio problema sociale. Per quanto ci riguarda, il virus è inizialmente arrivato dall’Est Europa per poi diffondersi in altri paesi. Fermarne la propagazione è estremamente complesso: gli unici ad esserci riusciti sono quegli Stati che hanno agito tempestivamente e che dispongono di territori favorevoli, come il Belgio, caratterizzato da vaste pianure. Purtroppo, l’Italia non gode delle stesse condizioni vantaggiose».
Gli allevamenti intensivi favoriscono la diffusione della malattia?
«La situazione è decisamente complessa. Attualmente, ci sono molti allevamenti di grandi dimensioni, concentrati soprattutto in Lombardia, con una vasta rete di macelli, ma anche in Emilia, Veneto e Piemonte. La presenza di numerosi macelli, salumifici e il trasporto di grandi quantità di prodotti a base di carne suina favoriscono inevitabilmente la trasmissione della malattia. Se, inoltre, questi allevamenti si trovano vicino a zone con una significativa presenza di cinghiali, come accade in diverse regioni del Nord Italia, il rischio aumenta ulteriormente.
La soluzione sono gli allevamenti in biosicurezza, che comportano più salute, più resistenza e più tenacia nel combattere la malattia. In più stiamo lavorando per fare formazione tra gli allevatori, aumentando contemporaneamente i controlli nelle strutture».
Immagino serva un gran lavoro di squadra per risolvere la situazione…
«È complicato applicare tutte queste norme in maniera immediata, ed è proprio questo il problema principale. La nostra provincia si trova al confine con l'area di diffusione della malattia, e stiamo lavorando intensamente, partendo da un’attività di informazione rivolta ad allevatori e cacciatori per sensibilizzare la comunità. È un compito impegnativo, soprattutto perché richiede di mettere d’accordo figure con interessi diversi, ma stiamo facendo il massimo. Persino durante l’alluvione abbiamo dovuto considerare il rischio della PSA e garantire la sicurezza nel trasporto dei maiali mentre li trasferivamo dagli allevamenti».
Può farci qualche esempio?
«Per quanto riguarda i cinghiali, stiamo adottando diverse misure. Abbiamo messo in atto piani di contenimento e programmato in modo ragionevole il numero di abbattimenti necessari, anche alla luce di eventi tragici come il recente incidente di Marco Gentili. Inoltre, proprio in questi giorni, abbiamo avviato la ricerca attiva delle carcasse tramite una realtà specializzata, per monitorare meglio la situazione. Tuttavia, queste operazioni richiedono un enorme sforzo di coordinamento. Coinvolgiamo Protezione Civile, cacciatori, animalisti, Nas e forestali, riunendo tutte le figure interessate per garantire un approccio serio e collaborativo. È essenziale l’impegno di tutti, perché la mancanza di coordinamento in alcune zone ha già favorito la diffusione della malattia.
Nella provincia di Reggio Emilia, la situazione ci interessa particolarmente: non siamo solo allevatori, ma anche grandi trasformatori, con salumifici che esportano in tutto il mondo. L’arrivo della peste suina africana ci penalizza gravemente dal punto di vista dell’export, mettendo a rischio un settore fondamentale per l’economia locale».
Le persone come possono aiutare?
«Il numero unico regionale (051 609 2124, ndr) fa riferimento a Castelnovo ne’ Monti, da dove si organizzano gli interventi per verificare e rimuovere le carcasse infette. Questo è fondamentale, considerando che il virus può sopravvivere per mesi, soprattutto in inverno. È un lavoro complesso, ma il numero unico rappresenta uno strumento essenziale. Anche il contributo dei cittadini, con le loro segnalazioni, è di grande importanza per affrontare questa situazione».
Il tema dell’abbattimento: le inchieste di Report e Food for Profit con Giulia Innocenzi
Giulia Innocenzi, giornalista e attivista impegnata «per i diritti di tutti, compresi quelli degli animali», si è espressa da tempo sul tema della Peste Suina Africana e sull’abbattimento dei suini infetti. Nel documentario Food for Profit, realizzato insieme a Pablo D’Ambrosi, ha indagato i legami tra l’industria della carne, le lobby e il potere politico, portando alla luce dinamiche poco trasparenti.
Più di recente, Giulia Innocenzi è tornata a occuparsi della PSA attraverso il programma Report, per cui lavora, evidenziando l’aumento dei casi negli ultimi mesi. In particolare, la giornalista ha denunciato i metodi mortificanti, come l’elettrocuzione (molto criticata), con cui vengono soppressi gli animali in caso di positività nell’allevamento. Non solo: Innocenzi lamenta anche le condizioni critiche di alcune strutture che, a suo dire, sarebbero una delle cause principali della propagazione delle malattie. Specie negli allevamenti intensivi, l’infestazione di topi e la scarsa attenzione alla biosicurezza di alcuni allevatori rischia di creare seri danni all’intero settore e soprattutto aggiunge sofferenza a quella che già vivono i maiali.
Per Giulia, che ha documentato le sue inchieste con immagini e video degli allevamenti di cui parla, le istituzioni devono monitorare le condizioni delle strutture in zone di restrizioni. Molti di questi allevamenti ricevono fondi pubblici sia come risarcimento in caso di abbattimento, ma anche per attuare le misure di biosicurezza. Tuttavia, stando a quanto dice Innocenzi, il virus è tornato a diffondersi proprio per queste mancate accortezze.