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Elda racconta: Ancora le case sparse

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ANCORA LE CASE SPARSE

Continuo a raccontarvi di queste case sparse disseminate sotto la Pietra sul versante di Castelnovo.

Ero rimasta a ca’ di Pattino, bene continuando a salire, passando davanti agli abitanti che vi ho presentato, la strada che c’è ancora “ma ora bella asfaltata” allora solo poco più di un sentiero girava a sinistra e si arrivava a casa della “beccaccia”. No! Umberto!... Non era un uccello, ma una vecchia signora sopranominata così, per colpa del suo naso pronunciato e per la sua voce che gracchiava senza posa.

Era sposata con Mosè, che se non sbaglio era fratello di Antenore Magnani, il fondatore del famoso “caffè”. Quando Mosè l’ho visto per la prima volta era già paralizzato dalla vita in giù e stava seduto in un angolo del cortile al sole con qualche cuscino attorno.

Poi ho continuato a vedere questa signora anche parecchi anni dopo, dal momento che suo figlio Mario era diventato un nostro vicino di casa (un giorno vi racconterò di lui così saprete la “vita” che facevano certe mogli una volta).

Torniamo a quella casa lassù, molto vicina al famoso “Campo Pianelli” ora diventata di proprietà di Nello il rosso e delle sue sorelle.

Lì vicino c’era un pozzo di acqua purissima e gelata, che in estate ti ristorava dopo la salita, io e mio fratello Nilo andavamo con una zappa a scavare in quel che noi ignorantemente chiamavamo “Cimitero degli Etruschi” e quando trovavamo qualche frammento di coccio, era una grande soddisfazione. Ora chi leggerà questo ci taccerà da “vandali”, ma allora noi non sapevamo che erano ritrovamenti preziosi alla storia, perciò quando mio fratello me li chiese da regalare a un suo professore glieli ho dati ben volentieri per togliere quella cassettina di cocci, da sotto il mio letto.

Dalla casa della Beccaccia, la strada proseguiva per arrivare sulla sommità della Pietra, ma prima trovavi la casa della “cieca”      l’Adelaide. Quella era una bella casetta divisa in tre parti uguali, dall’alto al basso, abitata dai tre fratelli Bellini.

Al piano terra tre cucine, con entrate indipendenti e sopra ad ognuna naturalmente la camera da letto alla quale si accedeva con una scaletta interna di legno.

Vi abitavano questi tre fratelli: Adelaide diventata cieca poco dopo il matrimonio con “il Gabriello” maresciallo di cavalleria in pensione, un bell’uomo, distinto, educato, vittima innocente della moglie molto esigente.

Bellissima donna, molto amica di mia madre, si faceva accompagnare a casa mia molto spesso, così se ne andava con una bottiglia di latte o una pagnotta di pane appena sfornato.

Per lei era una cosa naturale, sì da noi il pane non è mai mancato, ma non ce n’era poi tanto in abbondanza, se mia madre non glielo dava spontaneamente, lei lo richiedeva, adagiata nella sua cecità pensava che tutti le dovessero qualcosa.

Ha continuato a farsi accompagnare da noi fin che non è nato il mio ultimo figlio, per ringraziarmi di avergli messo il nome di suo marito. Poveretta non le ho detto che il nome l’avevano scelto i fratelli, che non sapevano certamente chi era il “Gabriello”.

Torniamo pure lassù dove abitava anche una sua sorella Giuseppina, già molto malata di Parkinson, tremava in continuazione, lei era sposata con un Milanese “al Giuvanìn” portalettere già in pensione, loro avevano un figlio naturale “il Mario”, che io non ho mai visto e uno in affido si chiamava  “Jones”, lui è stato amico di giochi, mio e di mio fratello Nilo loro erano d’età, non ho mai più saputo niente di lui.

Poi nella terza parte di quella casa abitava il fratello maschio “Tugnin” detto “il lupastrello” un misantropo molto conosciuto per questo suo modo di vivere solo con le sue capre e le sue pecore che avevano il libero ingresso in casa sua.

Parlava molto poco a monosillabe, mia madre sempre molto ospitale, alle volte riusciva a cavargli qualcosa di più.

Quando scendeva in paese si fermava sempre da noi comprava le caramelle “Valda” quelle verdi e zuccherate e me ne allungava una manciata, io guardavo quella mano sporca con le unghie nere, mi si rivoltava lo stomaco, ma per non essere maleducata, o forse quelle caramelline piene di zucchero, mi attiravano molto, allora chiudevo gli occhi e raspavo nella sua mano.

Povero Lupastrello in fin dei conti era buono e molto educato e rispettoso, non ho mai sentito uscire dalla sua bocca una parolaccia o una volgarità.

Ora le poche volte che passo di lassù, mi si stringe il cuore, vedere che di quella casa è rimasto solo un mucchio di macerie.

Era un posto molto bello, in mezzo al verde con tutte le aie acciottolate, il muro di cinta che la circondava, sempre con qualche passante o contadino, seduto lì a fare due chiacchiere con chi trovava, prima di scendere dal sentiero più veloce, ma anche più ripido e con qualche gradone, che portava direttamente ai Pavoni.

A chi ha comprato tutto ciò lasciando andare tutto in malora posso dire:

“Tu non hai capito proprio niente della Pietra”.

Lì vicino sta ancora in piedi la vecchia casa che si era costruito il quarto fratello Bellini, Filippo in dialetto “Flép”, prima di essere chiamato a difendere l’Italia nella 1° guerra mondiale senza far più ritorno come altre migliaia di italiani mandati a morire come in tutte le guerre.

Quando rivedo questa casetta ormai vacillante, che io anni fa volevo comprare, ma l’odierno padrone me l’ha rifiutata ci lascio ancora un pezzetto di cuore.

(Elda Zannini)