Chi è Pietro? Oggi mi va di raccontarvi di questo signore che io chiamo, amico di penna, altra qualifica non saprei dargliela. Fisicamente non l’ho mai visto, non so se è alto o basso, grasso o secco, conoscendo la sua età, posso dirvi che sicuramente, non è giovane, anche se è tra quelli che non arrivano agli ottanta e io chiamo ragazzi. Come l’ho conosciuto? In modo molto semplice, circa tre anni fa, lui cercava l’ultimo mio libro, non trovandone più in vendita, si è rivolto a Redacon. Una giornalista di quel giornale, mi ha chiesto se poteva dargli il mio indirizzo elettronico, tutto lì.
Da allora, abbiamo cominciato a raccontarci e a conoscerci, io con le mie varie storie che anche voi leggete su questo giornale e lui le storie, di Vetto, che ritiene il suo paese d’origine, anche se non è nato lì, ma a Como (questo io l’ho saputo da poco), ma lì erano nati i suoi nonni, sua madre e suo fratello maggiore. E in quel paese lui ha trascorso buona parte della sua infanzia.
Il computer è uno dei miracoli di questi tempi moderni, anche se proprio lì sopra, noi amiamo molto parlare del passato. Pietro è una persona di origini umili, ma è riuscito a emergere nella vita, lavorando di giorno e studiando di notte, per raggiungere il suo scopo e questo ci tengo a farlo sapere specialmente a quei ragazzini che non prendono la scuola seriamente. Ciò però non toglie che in lui sia rimasto il suo animo gentile, educato, amante della terra d’origine dei suoi nonni e di sua madre, il Faillo di Vetto d’Enza, anche se il lavoro e i casi della vita lo hanno portato a vivere lontano, verso quel di Padova.
E’ felicemente sposato da quasi cinquant’anni ha una figlia e un’adorabile nipotina di nome Alba. Il suo nome completo è: Geom. Pietro Guazzetti, con questo spero di aver accontentato i miei lettori molto curiosi e lui che mi ha permesso di farlo, ma ora leggete ciò che ha scritto ultimamente.
Un tuffo nel passato
Torno con la mente al paese che ho nel cuore Vetto d’Enza, ai suoi detti, alle sue abitudini e alle sue tradizioni, tra queste quella che oggi vi voglio raccontare: negli anni 60 e forse anche prima e senz’altro dopo gli anni 2000, a Vetto nella tarda sera del trenta aprile, per tutta la nottata fino all’alba del primo maggio, per abitudine, divertimento o tradizione, ognuno nascostamente, si impossessava di oggetti appartenenti ad altri, prendendoli dai giardini, dai capanni, dalle aie o cortili dei vicini (rastrelli, cesti, falcetti, ecc.).
Certe volte anche cose più preziose come il giogo che si metteva alle mucche per tirare il carro e un mio amico mi ha ricordato che una volta avevamo prelevato una Brossella ossia un biroccio, degli scuri di una finestra e anche la metà di un cancello. Tutto questo prelevare diventava poi un simpatico baratto sulla piazza principale del paese. Tutti questi oggetti venivano messi tutti in ordine e ben visibili, la mattina del primo maggio, su questa piazza. Tutto questo prendeva l’aria di un gioco collettivo, perché ti accorgevi che davanti a te c’era un tuo amico che aveva qualcosa di tuo così diventava un simpatico baratto, però contrattato cioè io do una cosa a te, ma tu dai una cosa a me.
Lo scopo principale di questo trambusto era quello di tener occupate le persone il primo maggio festa dei lavoratori in quegli anni, quel giorno veniva rispettato da tutti nessuno muoveva una foglia, non si andava nei campi, non si puliva la stalla, unica cosa che si poteva fare, era dar da mangiare alle mucche e mungerle così non muggivano. L’altro scopo era quello di socializzare, ridere, scherzare anche con le persone che abitavano nelle frazioni o nei paesi vicini che per l’occasione, arrivavano sulla piazza. Il divertimento più grosso per noi ragazzi era quello di portare via oggetti da quella casa dove i proprietari stavano svegli anche alla notte per impedire che venisse loro a mancare qualcosa dicendo: “A me quest’anno non la fanno”.
Pietro Guazzetti