Con Trump alla Casa Bianca come cambia la politica estera americana? Lo chiediamo al nostro esperto Gino Fontana, per la rubrica “Uno Sguardo sul Mondo”.
America First "Again"! Trump è riuscito a sconfiggere, ancora una volta, la rivale democratica con un risultato quasi eclatante.
Cosa possiamo aspettarci dalla politica estera dell’amministrazione Trump?
Sicuramente l’imprevedibilità, seguendo quella linea che lo ha contraddistinto durante il suo primo mandato. Ma vediamola nei tre teatri principali mondiali che toccano l’opinione pubblica americana, ma anche europea: la guerra in Ucraina, la guerra israelo-palestinese e l'indo-pacifico
Partendo dal teatro europeo, Trump ha dichiarato più volte dal palco che da Presidente porrà fine alla guerra in Ucraina in breve tempo. Tuttavia la nuova amministrazione si insedierà alla Casa Bianca solo a gennaio: in questi due mesi dobbiamo monitorare l’evolversi della situazione internazionale. Trump potrebbe fare pressione sia su Mosca che su Kiev per fare in modo che entrambi arrivino all’accordo; potrebbe addirittura minacciare di non inviare più armamenti a Kiev, oppure fare pressione su Mosca minacciando di aumentare il sostegno militare a Kiev. Altro tema è come potrebbe reagire Mosca a possibili minacce.
Per quanto riguarda gli alleati della NATO, storicamente divisi sulle loro posizioni per quanto riguarda i diversi teatri internazionali, potrebbero essere presi poco in considerazione, nonostante la minaccia di Putin sia più preponderante rispetto ad altre.
Sul fronte medio-orientale, l'amministrazione sicuramente sarà al fianco di Israele, con la volontà altresì di favorire il riconoscimento di quest'ultimo da parte degli Stati arabi, sulla linea degli Accordi di Abramo. Quindi rafforzare il legame con gli alleati nella regione per arrivare alla pacificazione del conflitto con il riconoscimento di Israele degli altri attori della regione.
Infine le relazioni con la Cina, il principale avversario di Washington. Probabilmente dovremo aspettarci misure protezionistiche nei confronti della Cina e una postura americana meno garantista nei confronti di Taiwan. Questo potrebbe spingere Pechino ad un maggiore dinamismo in politica estera cercando di aumentare la propria influenza all'estero, in particolare in Africa e nell'Indo-Pacifico, prendendo maggiore slancio per sfidare la leadership globale americana.
E’ senz’altro legittimo e comprensibile che ci si interroghi sul come evolverà la politica estera americana, anche in materia di multilateralismo e globalizzazione, così come occorrerà vedere, più in generale, in quale modo si svilupperà l’azione di governo del nuovo inquilino della Casa Bianca, e se riuscirà a mantenere gli impegni enunciati, ma ci si dovrebbe anche, o innanzitutto, porre una qualche domanda sulle ragioni che hanno portato a far sì che dalle urne USA sia uscito il risultato che conosciamo (e per molti inaspettato).
Si sente dire che il nuovo Presidente ha riscosso un consenso trasversale, proveniente da differenti categorie sociali, alcune delle quali a tradizione non repubblicana, e se così è stato significa verosimilmente che sono maturate aspettative comuni nell’elettorato di quel Paese, indipendentemente dalla rispettiva appartenenza sociale, forse sul piano valoriale oltre che economico, o riguardo al problema immigrazione e sicurezza, ma fors’anche in tema di rapporti internazionali del che il nuovo Presidente dovrà tener giocoforza conto (almeno io penso).
P.B. 07.11.2024