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Riceviamo e pubblichiamo

«Vasco Rossi, suo padre, timori e ricordi condivisi»

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Riceviamo e pubblichiamo da un nostro lettore

In questi giorni ha destato scalpore un post di Vasco Rossi (anima appenninica) in memoria del padre prematuramente scomparso nel 1979 a 56 anni, anche per la intensa usura che la detenzione nel campo di concentramento nazi-fascista di Dortmund gli ha procurato. Un ambito storico e culturale, che Vasco Rossi (e non solo!) percepisce giustamente riaffiorare diffusamente. Mi ha toccato profondamente. E’ stato inevitabile per me ricordare l'analogo vissuto di mio nonno, Alfredo Campi dal Brolo di Cola, classe 1916, partito come soldato di leva e poi ritrovatosi a combattere, con la gloriosa Divisione Alpina Brigata Tridentina.

Ha dolorosamente conosciuto una guerra ideologica terrificante, combattendo nei fronti di Albania, Grecia, buona parte dei Balcani e dell'Europa in fiamme.

Venne poi sottoposto a una prigionia terrificante a Dachau in un campo di concentramento, nel quale si salvò grazie alla sua abilità ed intraprendenza di uno stimato artigiano che le permise dopo oltre un anno di essere libero.

Nonostante fosse un uomo allo stremo fisicamente, come non bastasse, dovette cimentarsi al fronte Russo a -60 gradi, con una dotazione a dire poco imbarazzante. Salvò se stesso miracolosamente dal congelamento, mise in salvo anche molti suoi commilitoni, tanti altri rimasero morti tra i ghiacci della sciagurata ritirata dalla Russia.

Al termine della guerra, rimase al Brennero chiuso in un carro bestiame stracolmo di sopravvissuti in condizioni disumane, per scontare la quarantena sanitaria prima di rientrare in Italia.

Una volta rientrato al Brolo è stato agricoltore, carpentiere, muratore, falegname, stagnino, ombrellaio, parrucchiere, cavadenti, cacciatore, musicista e tanto altro.

Conosciuto per la sua eccletticità, ha fatto immensi sacrifici per costruirsi un futuro. Per me era immortale, un uomo dolce e a volte severo, ma dava sicurezza e coraggio, una certezza assoluta.

Gli volevo un bene incalcolabile, è venuto a mancare nel 1976 quando non aveva ancora compiuto i 60 anni, era in pensione da 20 giorni, per me che avevo 12 anni è stato un duro colpo, un vuoto incolmabile, un dolore inenarrabile. Credo anch'io che mi sia stato tolto precocemente, ingiustamente, piegato da una guerra e da un contesto storico oscuro, che sento riecheggiare in questo tempo di deriva.

(Gianluca Seregni, Milano)