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UNO SGUARDO SUL MONDO CON GINO FONTANA

Uno sguardo sull’America alla vigilia delle elezioni

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Gino Fontana

Presidente dopo Presidente, la politica estera americana è stata influenzata da elementi ideologici e dal pensiero di diverse scuole e orientamenti. Proviamo a capire, a pochi giorni dalle elezioni negli Stati Uniti d'America del 2024, quali sono le principali scuole di politica estera americana conversando con il nostro esperto Gino Fontana, per la rubrica “Uno Sguardo sul Mondo”.

Storicamente troviamo quattro correnti di pensiero nella politica estera americana. Ognuna incarna diverse posizioni e si fa portatrice di valori contrapposti. Quali sono le principali correnti di pensiero?

Iniziamo con i jacksoniani, che prendono il nome dal Presidente Andrew Jackson, in carica dal 1829 al 1837. I jacksoniani credono fortemente nell’eccezionalismo americano e nella diffusione dei valori.  Di cosa si deve occupare il Governo secondo questa visione? Principalmente ha il compito di garantire la maggiore libertà individuale possibile e proteggere la sicurezza dei propri cittadini all’interno dei confini della nazione. La politica estera non rientra tra le priorità principali, e sono per il minimalismo in ogni circostanza. I jacksoniani diventano interventisti quando sentono l’avvicinarsi di una minaccia esistenziale. Per citare un esempio di occasionale fervore interventista, prendiamo la guerra al terrorismo internazionale dopo l’11 settembre, per poi ritornare su posizioni di politica estera meno interventista, dopo le catastrofi dei conflitti mai risolti in Medio-Oriente o quello in Afghanistan. In sostanza, i jacksoniani solo occasionalmente hanno sostenuto un maggiore interventismo, preferendo invece il mantenimento del prestigio americano (anche se questo comporta tuttavia un certo impegno al di fuori dei propri confini).

Un’altra scuola che si accosta ai jacksoniani, ma con alcune differenze è quella dei jeffersoniani, da Thomas Jefferson, terzo Presidente degli Stati Uniti dal 1801 al 1809. Come i jacksoniani, non condividono una politica estera molto attiva, ma possono tramutarsi in interventisti se percepiscono una minaccia per il Paese. Sono convinti che per ridurre i costi e i rischi, si debba limitare la presenza globale degli Stati Uniti. Sono favorevoli a promuovere la libertà in patria, ma contrari ad aumentare le spese militari e ad intervenire oltre oceano. Uno dei più famosi jeffersoniani attuali è Bernie Sanders. Per i jeffersoniani, il focus è la politica interna, la risoluzione dei problemi interni americani e non di altre parti del mondo. Sono anche contrari alla condivisione di sovranità con altri Paesi o istituzioni internazionali.

Dalla parte opposta, tra le scuole di pensiero favorevoli ad un maggiore impegno internazionale, troviamo gli hamiltoniani e i wilsoniani.

Per gli hamiltoniani, (dal generale Alexander Hamilton, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, il cui volto è raffigurato sulla banconota da 10 dollari), la priorità è la difesa dell’ordine internazionale liberale in cui l’America deve giocare un ruolo da protagonista. La ragione è soprattutto per i benefici economici che il libero commercio globale procura agli Stati Uniti. Questo è alla base del consenso interno alla nazione, oltre che per reperire le risorse necessarie alla difesa degli interessi americani nel mondo. Tra gli hamiltoniani famosi troviamo Hillary Clinton, Mitt Romney e Joe Biden.

Accanto agli hamiltoniani troviamo i wilsoniani (da Woodrow Wilson, Presidente dal 1913 al 1921, famoso per i suoi 14 punti), i quali condividono la necessità di un impegno attivo degli Stati Uniti in politica estera. Tuttavia, la loro priorità risiede nella difesa e tutela dei valori liberaldemocratici. Gli Stati Uniti devono porsi come leader della comunità internazionale, difendendo i valori liberaldemocratici, diffondendo la democrazia, i diritti umani e ponendo il primato del diritto internazionale. Alcuni wilsoniani si definiscono internazionalisti liberali, ovvero prediligono la partecipazione all’interno delle istituzioni internazionali, mentre altri sono noti come neoconservatori, con posizioni più a favore di azioni unilaterali.

Ci sta dicendo che sia Repubblicani che Democratici possono condividere una medesima scuola di pensiero. Questi orientamenti si rispecchiano anche nei due partiti tradizionali?

Certo, con altrettante distinzioni. In tempo di elezioni, la politica estera è sempre un argomento di grande scontro ideologico. Prendiamo ad esempio i democratici tradizionali. Possiamo considerarli la vecchia guardia, convinti di un’idea di governo capace di modellare la società in modo positivo e difensori della leadership globale degli Stati Uniti. Sostenitori del multilateralismo, si oppongono all’orientamento neoliberista e ritengono che gli Stati Uniti dovrebbero guidare e rafforzare le istituzioni internazionali, diffondendo i valori americani nel mondo.

Dalla parte opposta dei democratici, troviamo i repubblicani tradizionali. I repubblicani tradizionali sono promotori del governo minimo, tagli alle tasse e ai programmi di pubblica assistenza. Sul campo militare, le forze armate statunitensi devono primeggiare per capacità, abilità di fronte a tutte le altre e sono a favore del loro impiego all’estero. Tuttavia, vi è una contraddizione di fondo, ovvero una politica estera ambiziosa e influente, non può esimersi dall’avere un “governo forte”, capace di intervenire economicamente e gestire effetti e reazioni che tale politica può causare internamente.

Dal lato dei Repubblicani troviamo un ulteriore gruppo, quello dei libertari. Si potrebbe definirli i sostenitori dello “governo minimo”, ovvero quella visione che limita i poteri dello Stato nell’economia e nella vita quotidiana. In sostanza, meno tasse, meno burocrazia, mercati non regolamentati e così via. La libertà e l’autodeterminazione dei singoli sono considerati i più alti fini politici. Dal canto loro, in politica estera lo Stato non dovrebbe intervenire più di tanto. In particolare, a differenza dei Repubblicani tradizionali, i Libertari sostengono che gli Stati Uniti dovrebbero ridurre il proprio sforzo militare al di fuori dell’Occidente. Infine, sono convinti che per mantenere la sicurezza basti affidarsi alla potenza nucleare e alla protezione geografica offerta dalla vastità degli oceani Atlantico e Pacifico.

All’interno dei Democratici tradizionali, si differenzia invece il gruppo dei progressisti. Tra loro troviamo il già citato Bernie Sanders e Alexandra Ocasio-Cortez. Promuovono una visione dello Stato cosiddetta “interventista”, che si oppone a quella dei Libertari, sostenendo che lo Stato debba dotarsi di Istituzioni forti, e con la possibilità di intervenire sull’economia al fine di ridurre le diseguaglianze, l’ingiustizia, promuovere riforme legislative e regolamentare i mercati. Il focus tuttavia, rimane su ciò che il governo può fare “in casa” e non all’estero. In politica estera, vi sono alcune profonde divisioni: alcuni progressisti vorrebbero un maggiore impegno da parte degli Stati Uniti per promuovere i diritti umani, altri sostengono invece che questo maggiore interventismo potrebbe condurre ad interventi militari e a sostenere governi autoritari. Gli “astensionisti” si oppongono al confronto tra USA e Cina per evitare di dare inizio ad una nuova guerra fredda. Inoltre, sostengono che l’Europa debba provvedere autonomamente alla propria difesa e fare di più per promuovere una “balance of power” in Asia. Si potrebbe riassumere la visione progressista in un: “fare un po’ meno all’estero per dedicare tempo e risorse ai problemi interni”.

1 COMMENT

  1. Nulla di nuovo sotto il sole, o tutto il mondo è paese, verrebbe da dire nel leggere queste righe, posto che le “quattro correnti di pensiero nella politica estera americana”, con le eventuali sfumature e varianti qui percepibili, sembrano potersi assimilare alle differenti posizioni talora presenti all’interno delle nostre forze politiche (o loro coalizioni), guardate da un lato con diffidenza e disapprovazione quali possibili causa di tensioni e incrinature, oppure, al contrario, viste con favore, e dunque promosse, come articolazione delle sensibilità che va ad arricchire l’alleanza (due diverse valutazioni a seconda del versante politico nel quale si determinano le differenti posizioni, nonché dell’orientamento politico di chi si trova a darne un giudizio).

    P.B. 04.11.2024

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