Ca’ di Pattino, questo nome in dialetto “Patìn” o “Gudàs” era il nome che prendeva il testimone di nozze o il padrino di battesimo, non voglio intromettermi in interpretazioni inutili.
Mi risulta che questo borgo è molto antico e prima che Castelnovo diventasse tale, lassù esisteva “l’Anagrafe” del paese e c’è da crederci, vista la vicinanza del molto nominato “Campo Pianelli”.
Andiamo avanti con i miei ricordi di ottant’anni fa:
Ci si arrivava dall’Arbiaccio, la famosa fontana che dava inizio al paese di Castelnovo, come Fontana Guidia ne segnalava la fine.
Da lì partiva una mulattiera sassosa erano sassi arrotondati e se non guardavi dove appoggiavi i piedi ti scivolavano sotto le suole.
Una ripida salita che esiste ancora, allora era posta di fianco all’Arbiaccio, a questa fontana così importante (chissà perché poi l’hanno spostata, questo non sono mai riuscita a capirlo) poi un breve falsopiano fino al vecchio acquedotto e da lì in su dovevi affrontare un’altra lunga salita ripidissima, che quando i contadini scendevano col carro tirato dalle mucche, da dietro, uno con una fune cercava di frenare per non farle travolgere.
Arrivati nella breve parte pianeggiante, alla tua sinistra, staccata dalle altre sorgeva la casetta di Aldo Romei, molto carina vi arrivavi da una breve e larga careggiata che voleva assomigliare a un viale, sulla sinistra l’orto ben curato e alberi da frutta ricordo le amarene che sembravano grappoli di fiori rossi.
Ti trovavi davanti a questa casetta con gli scuretti dipinti di verde, un portoncino marrone e il grande sorriso di Rosa, la padrona di questa casetta linda e ordinata.
Mia madre ogni volta che passava di lì si fermava a salutarla e a respirare un po’ di buonumore.
Questa signora aveva tre figli, Romeo detto il “Lungo” per la sua altezza, eterno fidanzato della Pia dei Pavoni, poi sposati e sopranominati l’articolo “il” lui alto e lei bassina, Franco commesso nei negozi dei Capanni e una ragazzina di nome Ilde.
Questa era molto intelligente e colta, era bravissima a lavorare a maglia e a ricamare, tutte doti indispensabili a quel tempo per una donna se voleva trovare marito (ridete pure voi ragazzine) difatti lei non poteva contare sulla sua bellezza, ma il suo comportamento signorile, suppliva il resto.
Più tardi poi l’ho conosciuta più a fondo e ho potuto apprezzare le sue doti, anzi mi ha insegnato molte cose.
Continuiamo a salire per arrivare dopo circa cinquanta metri a Ca’ di Patino.
La prima casa che trovavi era quella abitata dai mezzadri dell’Afra dalla Croce.
Il capofamiglia Minghetto, persona originalissima, nel parlare e nel vestire ti colpiva subito quel cappello rovesciato e schiacciato in modo molto buffo, la moglie Anita, molto religiosa non mancava mai alla messa domenicale, sei figli, tre maschi e tre femmine.
Già in quel tempo le prime due femmine erano a servizio a Milano, anzi vi dirò che una ha poi sposato il suo padrone, un dottore che era rimasto vedovo e lei praticamente aveva allevato la sua bambina che l’amava come fosse stata sua madre.
Come vedete le favole esistevano ancora, anche se ora non ci credete più.
Qui nella casa di Ca’ di Patino erano rimasti:
Miro rosso di capelli, ma signorile nel portamento, poi anche lui si era trasferito in quel di Milano, dove ha continuato gli studi di ragioneria.
Alberto mio caro amico, assomigliava alla madre capelli scuri, delicato, sensibile, forse troppo, a diciotto anni ha fatto una brutta fine, questa “Pietra” è molto bella, ma la devi guardare da lontano specialmente quando i cattivi pensieri ti inseguono, lui non è riuscito ad aspettare che i dissidi col padre si aggiustassero, non ha chiesto aiuto a nessuno si è fidato solo di questa Pietra.
Continuiamo a raccontare di questa famiglia, poi c’era Nello il rosso conosciuto in tutto il paese, lui non si è mai mosso dalla Pietra e devo ricordare Bernardina la più piccola, aveva la mia stessa età, mia amica da piccola, poi anche lei trasferita e sposata in quel di Milano ci incontriamo sempre per la festa dei morti al cimitero.
Torniamo al borgo, un po’ più su, abitavano i Manvilli, i fratelli Arturo e Renzo, loro avevano allevato con tanto amore Gino, figlio illegittimo di una loro sorella che poi aveva trovato un uomo che la sposava, a patto che lei rinunciasse al figlio (grandi realtà dolorose del passato), allora le donne dovevano sposarsi per forza per togliere una bocca dalla famiglia.
Sempre in quel borgo, nella stessa casa sulla destra abitava “Jusfun” Giuseppone gelosissimo della moglie “Minghina” Domenica.
Una volta quei ragazzacci suoi vicini, hanno messo una camicia in testa al gatto, che l’ha trascinata dal “gataròl” il buco lasciato nella porta apposta per lui, l’ha portata dentro alla cucina e raccontavano sbellicandosi dalle risa che in quella casa era successo il finimondo. Loro avevano due figlie, Adelia e Delfina, ricordo benissimo quest’ultima, intelligentissima e sfortunata, era nata focomelica, le mancava tutto l’avambraccio sinistro, lei era studiosa era diventata professoressa d’italiano e insegnava in città. Non li ho più visti da allora.
Sempre in quella casa, ma a piano terra abitava Abele, vedovo con tre figlie, la bellissima Melania, Franca altrettanto bella la cui cugina, Serena, aveva sposato il fotografo Ficcarelli e la più piccola Germana due anni più di me che adorava il padre.
Ricordo che mia sorella era amica delle prime due, qualche volta mi portava con lei e io ero affascinata dal profumo che usciva dalla scatola di cipria e dal rossetto che tenevano sul comò in camera.
Ecco Ca’ di Patino era tutto lì un piccolo borgo, gente laboriosa, onesta, si rispettavano l’un l’altro, ognuno viveva bene o male la propria vita, questo era ciò che ti riservava quel piccolo borgo sotto la parte bassa della Pietra di Bismantova.
(Elda Zannini)