Home Cultura Elda racconta: Ca’ d’Bugin
elda racconta

Elda racconta: Ca’ d’Bugin

402
0

Torniamo a raccontare delle case sparse sotto la Pietra.

Ca’ di Bugino, in dialetto (Ca’ d’Bugin), ho pensato, ho chiesto, ma nessuno ha saputo dirmi il significato di questo vecchio nome (Bugino), da piccola immaginavo un bue piccolo e forse sarà stato così.

Anche questa faceva parte delle case sparse e si trovava a neanche mezzo chilometro da casa mia, sulla strada di Carnola e perpendicolare alla casa di Secondo, naturalmente a una certa distanza. La strada allora era solo inghiaiata e passava in mezzo a una siepe altissima, poi con una ripida salita, in mezzo al bosco degli Agostini di Bagnolo di Sopra, infine la spianata dove sorgeva questa casa, molto bella e curata per quei tempi, tre piani, a destra la stalla e il fienile, a sinistra l’abitazione.

Al centro un bel portone, entravi e trovavi una grande scala che portava ai piani superiori.

A piano terra una saletta e una grande cucina con al centro una di quelle stufette di ghisa che emanava un calore stupendo, la panca di legno scuro, munita di schienale e spalliere, un cuscino che serviva quando gli uomini, volevano schiacciare il pisolino pomeridiano.

Ecco vi dirò, di uomini in quella casa c’era solo Venanzio il capofamiglia, che faceva il commerciante di mucche e praticamente non era mai a casa, e il vecchio Pèpo, che era solo un inquilino, lui al terzo piano aveva camera e cucina per conto suo, ma i pasti li consumava con la famiglia. Non erano neanche parenti, ma lui veniva trattato dalle tre figlie di Venanzio come un nonno con affetto ed educazione, insomma faceva parte della famiglia.

Ricordo questa persona con piacere, leggeva molto, la sua stanza era piena di libri e giornali, in bella vista c’era sempre (l’Avanti) lui era un socialista di Saragat, questo lo so, perché si fermava sempre a parlare di politica con mia mamma che era monarchica.

La moglie di Venanzio si chiamava Maria, ma tutti la chiamavano col diminutivo Marijna, forse per non confonderla con mia madre che aveva lo stesso nome.

A questa Marijna avevano messo anche un soprannome (la Braghéra ed ca’ d’ Bugin) che significava che in casa sua “le braghe” i pantaloni li portava lei, cioè era lei che comandava.

Difatti, quando suo marito era assente per il suo lavoro di commerciante di mucche e si recava in toscana, anche per più di una settimana, allora per le bestie ancora non c’erano i camion e il tragitto lo facevano a piedi un pezzo per giorno.

Allora era lei che mandava avanti la campagna e i capi di bestiame che tenevano nella stalla, che io ricordo molto grande e piena di animali, con l’aiuto di un garzone a giornata.

Io quella casa, da piccola l’ho frequentata più delle altre, prima di tutto era più vicina alla mia, ma poi lì trovavo la Gina una bimba un po’ più grande di me, ma poi la Marijna mi insegnava a filare la lana, mi aveva fatto una piccola “ròcca” con sopra una manciata di lana e un piccolo fuso che conservo ancora e mi insegnava anche a fare la calza coi quattro ferri, lei sapeva che in quel periodo mia madre presa dal suo dispiacere non aveva tempo per me.

Ma ve lo immaginate voi, che queste donne di una volta, trovavano il tempo per dedicarsi anche ai bambini che non erano suoi? Voi non potete sapere, come gli insegnamenti di questa signora poi mi sono serviti.

Venanzio desiderava tanto un maschio e Nostro Signore l’ha esaudito e in quella casa, dopo tre femmine, era arrivato Giacomo, sembrava un bambolotto, ma lui non era questo, ma un angelo che una brutta polmonite ha riportato lassù, lasciando nel dolore tutta la famiglia.

Come vedete, se ci guardiamo attorno di persone completamente felici non ce ne sono.

Poi naturalmente la vita continua e la Marijna ricominciò a dare ordini a destra e a manca e Venanzio quando mi trovava per la strada assieme a mia madre che pascolavamo la capra, mi prendeva e mi metteva sotto a un braccio come un pacco dicendo:

“Questa bimba la porto a casa mia, là di donne non ce ne sono e io ho bisogno di qualcuno che mi pesti l’acqua delle galline”

Io mi divincolavo con tutta la forza che avevo e lui:

“Ma guardate, non riesco a tenerla sembra “un’arsentèla” una lucertola.

Io poi chiedevo a mio padre come si faceva a pestare l’acqua alle galline e lui si sbellicava dal ridere e io ne sapevo meno di prima.

Elda Zannini